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N. 88 - Aprile 2015 (CXIX)

PASSAGGI REMOTI
LE PORTE SPARITE DELLE MURA SERVIANE - PARTE IV

di Federica Campanelli

 

Oltrepassato l’Arco di Gallieno (già porta Esquilina), passando da via Merulana, si giunge in via Mecenate. A circa metà del suo percorso (in direzione viale della Domus Aurea), nella seconda metà del XVIII secolo furono individuati alcuni blocchi di tufo di Grotta Oscura facenti parte della fortificazione eretta tra l’ Esquilino e il Celio.

 

I reperti non godettero mai di adeguata salvaguardia e valorizzazione, finendo probabilmente per costituire (in un’operazione di reimpiego) parte delle pareti della basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti (tali blocchi sono ben visibili all’esterno della basilica, su via Equizia).

 

Porta Querquetulana e porta Celimontana

Il percorso della cinta muraria, quindi, da porta Esquilina proseguiva a Sud, nell’area compresa tra il monte Oppio (altura meridionale del colle Esquilino) e il Celio. Si aprivano a questo punto due porte: la Querquetulana e la Celimontana. La prima, più antica (appartenente alla cinta serviana del VI secolo a.C.), ha collocazione incerta a causa della mancanza di testimonianze archeologiche inconfutabili: essa poteva trovarsi nei pressi de’ SS. Quattro Coronati, dove sono stati riconosciuti tipici frammenti serviani; secondo più recenti ipotesi, la porta sarebbe sorta sensibilmente più a Est, ovvero nell’attuale via Labicana, poco distante dalla chiesa dei SS. Marcellino e Pietro.

 

Secondo quest’ultima tesi, la Querquetulana sarebbe stata poi fatta coincidere con l’Arcus ad Isis, l’arco a tre fornici attraverso il quale si giungeva all’Iseo del monte Oppio.

 

La Celimontana è di più recente costruzione (IV secolo a.C.), e tra le due antiche porte del Celio è oggi l’unica di cui si ritiene certa l’originale collocazione: essa è stata difatti identificata con l’Arco di Dolabella e Silano.

 

 

 

La porta sorgeva a Sud-Ovest della Querquetulana e sormontava, dal II secolo a.C., il clivus Scauri. Di questo antico tracciato viario oggi si conserva una tratta che, tra piazza di San Gregorio e piazza dei SS. Giovanni e Paolo, ne conserva il titolo originale (il suggestivo clivo di Scauro), per poi cambiare nome in via Di San Paolo della Croce.

 

Quest’ultima termina nell’Arco di Dolabella e prosegue a meridione col nome di via della Navicella.

 

 

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Clivus Scauri

 

L’Arco di Dolabella e Silano, a singolo fornice, è una ricostruzione augustea, in opera quadrata di travertino, promossa dai consoli dell’anno 10, Publio Cornelio Dolabella e Gaio Giunio Silano.

 

L’altezza originale dell’arco è di circa 6,50 metri; oggi risulta interrato di un paio di metri. Sull’attico è ancora leggibile, seppur con qualche difficoltà, l’iscrizione relativa agli interventi dei consoli Dolabella e Silano:

 

P. Cornelius P. f. Dolabella / C. Iunius C. f. Silanus flamen Martial(is) / co(n)s(ules) / ex S(enatus) c(onsulto) / faciundum curaverunt idemque probaver(unt)”.

 

Nel corso dei lavori di ricostruzione della città nel 64, anno del grande incendio storicamente e ingiustamente attribuito a Nerone, l’arco fu adoperato come sostegno di quella porzione dell’acquedotto neroniano – diramazione dell’Aqua Claudia, resa necessaria per rifornire d’acqua la Domus Aurea e i quartieri limitrofi – che attraversava il clivus Scauri. In epoca severiana l’arco fu irrobustito da cortine in laterizio su ambo i lati.

 

Negli anni a venire l’arco subì ulteriori interventi di restauro e consolidamento, pur avendo perso la sua funzione già dal V secolo, quando l’acquedotto smise di essere utilizzato.

 

All’alba del Basso Medioevo l’arco fu inglobato nella struttura di un’ex abbazia benedettina poi affidata a Giovanni de Matha: il complesso di San Tommaso in Formis. Con bolla pontificia nel 1198 veniva, infatti, riconosciuto l’ordine dei Trinitari (della Santissima Trinità), fondato proprio da Giovanni de Matha e Felice di Valois.

 

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