N. 85 - Gennaio 2015
(CXVI)
PASSAGGI REMOTI
LE PORTE SPARITE DELLE MURA SERVIANE - PARTE I
di Federica Campanelli
A
eccezione
dell'arcaica
roccaforte
palatina
nota
come
Roma
Quadrata
(VIII
secolo
a.C.),
di
cui
nulla
rimane,
le
più
antiche
fortificazioni
di
Roma
sono
databili
alla
prima
metà
del
VI
secolo
a.C.
quando
il
quinto
re
Tarquinio
Prisco
(dal
616
al
578
a.C.)
deliberò
l'ampliamento
dei
confini
del
pomerio.
Il
progetto
fu
di
fatto
attuato
dal
suo
successore,
Servio
Tullio
(re
dal
589
al
539
a.C.)
che
estese
ulteriormente
la
città
già
in
rapida
espansione,
includendovi
il
Viminale
e
l'Esquilino.
Le
Mura
Serviane
propriamente
dette,
sono
quindi
relative
a
questo
periodo.
Esse
avevano
un
perimetro
di
circa
7
chilometri
e
racchiudevano
le
quattro
regioni
(o
tribù
urbane)
in
cui
fu
suddivisa
la
città:
Suburana,
Esquilina,
Collina,
Palatina.
Le
barriere
erano
costituite
di
piccoli
blocchi
di
Cappellaccio
(tufo
granulare
locale),
i
cui
pochi
resti
sono
stati
rinvenuti
sul
Palatino,
Quirinale,
Campidoglio
ed
Esquilino.
L'edificazione
delle
Mura
Serviane
comunemente
dette,
è
invece
del
IV
secolo
a.C.,
dunque
di
età
repubblicana.
L'invasione
gallica
di
Brenno
del
390
rese
necessario
il
consolidamento
del
più
antico
sistema
difensivo,
ma
la
costruzione
non
iniziò
che
il
378,
a
dodici
anni
dall'occupazione,
per
esser
poi
portata
a
termine
intorno
al
352.
Le
fortificazioni
si
componevano
di
terrapieno,
detto
agger,
fossato
e
mura.
Le
mura
in
opus
quadratum
erano
lunghe
11
chilometri
circa,
per
un'altezza
di
10
metri
e 4
di
spessore;
comprendevano
grandi
blocchi
di
tufo
litoide
o
semilitoide
di
Grotta
Oscura,
materiale
ampiamente
utilizzato
fino
al
100
a.C.
circa.
Per
la
realizzazione
di
tale
opera,
l'Urbe
si
avvalse
anche
della
maestranza
siracusana,
la
quale
aveva
già
realizzato
– per
Dionisio
I di
Siracusa,
tiranno
dal 405
al 367
a.C.
– un'imponente
cinta
muraria
di
circa 30
chilometri:
le
cosiddette
Mura
Dionigiane,
erette
tra
il
406
e il
397
a.C.
e
convergenti nel
Castello
Eurialo
sull'Epipoli, uno
dei
cinque
quartieri
della
Pentapoli
siracusana.
.
Mura
dionigiane
(Siracusa)
Delle
porte
urbiche
della
Roma
regia
e
repubblicana
–
complice
non
solo
il
tempo
demolitore
ma
anche
pesanti
interventi
di
urbanizzazione
susseguitisi
fino
all'epoca
moderna
quando,
ad
esempio,
nel
1872
si
procedette
alla
distruzione
dell'antica
Porta
Collina,
tra
le
più
importanti,
per
fare
spazio
al
Palazzo
delle
Finanze
–
rimangono
scarse
testimonianze;
tuttavia
si
ritiene
che
queste
non
fossero
state
monumentali
costruzioni
come
in
uso
nel
vicino
Oriente,
ma
piuttosto
capolavori
di
tecnica
edilizia,
sull'esempio
delle
porte
di
Paestum
e
Pompei.
Si
ritiene
che
lungo
il
tracciato
dall'ansa
del
Tevere,
che
accoglie
l'isola
Tiberina
alle
pendici
del
Campidoglio,
si
trovassero
le
porte
Flumentalis,
Triumphalis
e
Carmentalis.
Porta
Flumentalis
Non
vi
sono
notizie
inequivocabili
circa
la
sua
esatta
collocazione.
È
comunque
certo
che
la
porta
si
aprisse
sul Vicus
Tuscus
('via'
o
'borgo
etrusco'),
antica
via
commerciale
che
metteva
in
comunicazione
il
Foro
Romano,
tra
il
Campidoglio
e il
Palatino,
e
l'area
tra
Circo
Massimo
e
Foro
Boario.
La
via
era
adibita
a
centro
economico
originariamente
della
comunità
etrusca
stanziatasi
nel Velabro.
Porta
Triumphalis
Nonostante
la
sua
importanza
simbolica,
la
Triumphalis,
collocata
nell'area
sacra
di
Sant'Omobono
al
Foro
Boario,
in
prossimità
dei
templi
gemelli
di
epoca
serviana
intitolati
alla
Mater
Matuta
e
alla
Fortuna,
non era
che una
porta
temporanea,
aperta
lungo
la
linea
del
pomerio.
Più
che
porta urbica
doveva
essere
un
arco-porta
quadrifronte,
utilizzato
per
la
commemorazione
di
grandi
vittorie
o
per
accogliere
cortei
funebri
di
eccezionale
importanza,
così
come
suggeriscono
le
parole
di
Tacito
e Svetonio
riferendosi
alle
esequie
di
Augusto:
"[...]
Poi
si
presero
decisioni
sulle
onoranze
funebri
e,
tra
esse,
quelle
risultate
più
significative
furono
di
far
passare
il
feretro
sotto
un
arco
di
trionfo,
secondo
la
proposta
di Asinio
Gallo,
e
quella
di
mettere
in
testa
al
corteo
le
denominazioni
delle
leggi
fatte
approvare
da
Augusto
e i
nomi
dei
popoli
da
lui
vinti
[...]"
(Tacito,
Annales,
I,
VIII).
"[...]
I
senatori,
gareggiando
in
zelo
per
rendere
grandiosi
i
suoi
funerali
e
onorare
la
sua
memoria,
emisero
un
gran
numero
di
mozioni
diverse;
tra
l'altro
arrivarono
perfino
a
proporre
alcuni
che
il
corteo
funebre
passasse
per
la
porta
Trionfale,
preceduto
dalla
vittoria
che
si
trova
nella
curia,
mentre
i
figli
e le
figlie
dei
cittadini
più
in
vista
cantavano
nenie
[...]"
(Svetonio,
De
vita
Caesarum,
Divus
Augustus,
II).
Ancora:
Cicerone,
nell'arringa
contro
Lucio
Calpurnio
Pisone,
proconsole
in
Macedonia
dal
55
al
57
a.C.,
fa
intendere
senza
mezzi
termini
come
la
Porta
Triumphalis
fosse
preclusa
a
uomini
considerati
indegni:
"[...]
come
se
io
dovessi
sapere
ciò
o
qualcuno
di
voi
abbia
udito,
oppure
tenga
alla
questione
da
quale
porta
tu
sia
entrato,
che
solo
non
è
quella
Trionfale,
porta
che
prima
di
te
si
aprì
sempre
ai
consoli
Macedoni;
sei
stato
trovato
solo
tu
tale
da
non
trionfare
a
partire
dalla
Macedonia
dopo
aver
arraffato
un
potere
consolare"
(Cicerone,
Orationes.
In
L.
Calpurnium
Pisonem,
XXIII).
Porta
Carmentalis
Sul
Vicus
Jugarius,
tra
Foro
Romano
e
Foro
Olitorio,
alle
pendici
del
Campidoglio,
si
apriva
la
porta
a
due
fornici
detta
Carmentalis.
L'appellativo
trae
origine
dalla
prossima
Ara
di
Carmenta,
santuario
dedicato
alla
ninfa
madre
di
Evandro,
mitico
eroe
arcade
connesso
alla
fondazione
di
Roma.
La
fama
della
Carmentalis
è
legata
alla
Battaglia
del
Cremera
(477
a.C.),
combattuta
tra
la
città
etrusca
di
Vejo
e
Roma.
A
quella
spedizione
contro
i
veienti
parteciparono
poche
centinaia
di
combattenti
romani,
tutti
appartenenti
alla
gens
Fabia,
i
quali
lasciarono
la
città
di
Roma
attraversando
l'arco
destro
della
Porta
Carmentalis.
I
Fabii
furono
così
sterminati,
eccetto
il
tre
volte
console
Quinto
Fabio
Vibulano.
Da
allora
l'accesso
al
varco
fu
interdetto
e la
porta
venne
ricordata
con
l'epiteto
di
Scelerata.
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