N. 22 - Marzo 2007
I
MARMI DEL PARTENONE A LONDRA
Una
protesta
studentesca per la restituzione
di
Antonio
Montesanti
Si è svolta ad Atene, il 30 gennaio 2007, l’ultima protesta greca per richiedere ancora una volta la
restituzione dei marmi del Partenone al governo
inglese.
Il termine di Pentecontaetía indica, nella
storiografia greca, un periodo di 50 anni circa, che
va dalla fine delle Guerre Persiane (478 a.C.)
all’inizio della Guerra Peloponnesiaca (431 a.C.), e
che viene considerato, in assoluto, il più prospero
per la Grecia.
Nell’ultima fase, tra il 447 e il 432 a.C., che è anche la più splendida, di quel
periodo aureo, venne innalzato sulla collina più
importante della città di Atene,
insieme all’intero complesso monumentale dell’Acropoli,
il Partenone
tempio e simbolo della città e ora dell’intera
nazione.
Su mandato
di Pericle e progetto degli ingegneri Ictino e
Callicrate,
la supervisore generale e realizzatore della “grafica
ornamentale” del tempio venne affidata al più sublime di tutti
gli scultori, Fidia, coadiuvato nel progetto dal
collega Calamis. Al più grande artista del marmo
mai esistito e alla sua scuola, costituita da allievi,
apprendisti e scalpellini, si devono le realizzazioni
dei capolavori che ornavano l'edificio templare che
viene considerato, per materiale, stile, proporzioni
e misure, il più perfetto mai costruito dalla
civiltà ellenica.
La
struttura, esternamente in stile dorico, oltre alle statue frontonali dei timpani orientale ed occidentale, che
rappresentavano rispettivamente la nascita di Atena
e la disputa tra quest’ultima e Poseidone per la
città, aveva una decorazione scultorea perimetrale
della trabeazione, basata su 92 metope figurate,
intervallate da triglifi: 32 su ogni lato lungo e 14
su ognuno di quelli corti. Ad Est era rappresentata
la Gimantomachia, ad Ovest l’Amazzonomachia, a Sud
la Centauromachia lapitica e a nord la Guerra di
Troia.
La cella all’interno dell’involucro dorico era invece in
stile ionico e per questo decorata da un fregio
corrente lungo il perimetro esterno del naos
per 160 m ca., formato da 115 pannelli, che
rappresentavano la processione sacra delle Panatenee
che si svolgeva ogni 4 anni in onore della vergine Atena, protettrice della
città.
Nel periodo successivo alla caduta dell’Impero Romano
d’Occidente, il tempio dedicato alla dea cittadina,
divenne chiesa bizantina della Madonna, detta
Theotokos (Madre di Dio), mentre durante
l'Impero Latino diventò chiesa cattolica romanica.
Con la caduta di Atene sotto l’Impero Ottomano
(1456), il tempio cristiano venne tramutato in
moschea.
Preservatosi sommariamente intatto, carico di
aggiunte successive fino al XVII sec., il Partenone
subì il primo e più devastante colpo da parte dei
Veneziani quando, durante l’assedio del 26 settembre
1687, gli Ottomani lo trasformarono della polveriera
della fortificazione annessa all’Acropoli che il
capitano Francesco Morosini ordinò di attaccare con
l’artiglieria pesante: una palla di bombarda,
proveniente dalla prospiciente collina di Filopappo,
prese in pieno il tempio facendone esplodere
interamente il lato sud.
Le sculture crollarono quasi tutte al suolo e non
vennero mai più raccolte se non alcuni frammenti per
essere usati come souvenir dai viaggiatori
nordeuropei.
Gli interi cicli scultorei, per la maggior parte
frantumati al suolo, divennero oggetto d’interesse
solo nel 1799 quando lo scozzese Thomas Bruce,
settimo Earl
Scozzese di Elgin – o più semplicemente Lord Elgin –
ambasciatore britannico presso l’Impero Ottomano,
chiese al governo turco il permesso di collezionare
alcuni frammenti del Partenone caduti durante
l’assedio veneziano.
“Collezionati” con lo scopo di abbellire la sua
nuova proprietà, per la sua giovane moglie in
Scozia, come scriverà nella sua corrispondenza
privata, pubblicizzò invece la sua intenzione con
l’obbiettivo “culturale” di voler implementare
l’arte moderna in Gran Bretagna dando l’opportunità
agli artisti Inglesi di osservare uno tra gli esempi
più elevati di arte di tutti i tempi.
Le autorità turche concessero dapprincipio
esclusivamente il permesso di riprodurre le
sculture, ma poi grazie all’opera di convincimento
del cappellano dell’ambasciata Britannica, Philip
Hunt, nei confronti di Lord Elgin la richiesta si
trasformò in acquisizione degli originali. Dopotutto
la persona che insinuò questo pericoloso baco nella
mente dell’ambasciatore era anche colui che non
aveva avuto alcun tipo di scrupolo a suggerire uno
smontaggio ed una ricostruzione su suolo inglese
dell’intera cittadella di Micene, incoraggiandolo ad
ottenere un documento che consentisse all’entourage
di Elgin ad agire in piena libertà, quella stessa
che “…gli permettesse di portar via qualunque
scultura che non si trovasse sulle strutture o sulle
mura dell’Acropoli”.
La richiesta del diplomatico inglese sopraggiungeva
dopo due battaglie fondamentali per gli equilibri
mediorientali e per l'intera area del mediterraneo
orientale allora intermente ottomano; l’una navale (detta anche battaglia
del Nilo) e l’altra terrestre, ambedue presso la
baia di Abukir del 1798 e 1799. Nella prima gli
inglesi, guidati da un giovanissimo Horatio Nelson,
sconfiggevano sonoramente la più forte flotta
francese ed imponevano il blocco all’armata
napoleonica di terra, mentre nella seconda i turchi,
sbarcati con l’intento di occupare la città,
cenivano
annientati dalle truppe napoleoniche.
Era quindi necessaria, all’Impero Ottomano una
basilare alleanza con gl’inglesi per fermare
l’avanzata di Napoleone nei loro sultanati. È
naturale che Thomas Bruce sfruttò abilmente questa
situazione per ottenere, con un appello che giunse
direttamene al sultano in Istanbul, l’autorizzazione
di cui aveva bisogno.
In poco più di un anno Lord Elgin impiegò circa 300
operai ed una somma immensa (62.440 sterline), che
lo condurrà da li a breve alla bancarotta, per
asportare il maggior numero di fregi e statue
possibili: rimosse tra quelle cadute e quelle ancora
in situ 39 metope esterne, 83 m ca. di
fregio interno pari a 56 pannelli, 17 statue frontonali ed una cariatide
dell'Eretteo. Molti capolavori
vennero ulteriormente lesionati o frammentati
durante l’asporto. Dal 1801 anno dello smontaggio,
ne passarono altri 4 prima che iniziassero il loro
viaggio verso
l’Inghilterra a causa dell’infuriare della guerra
napoleonica.
Nel 1805 i marmi furono imbarcati alla volta
della nazione atlantica, che intanto era entrata in guerra
con la Turchia, ora alleata dei francesi, che a loro
volta si erano stabiliti ad Atene e che tentarono di
sottrarre 80 casse di reperti. In una fuga disperata
la nave naufragò presso
Cerigo (Cythera) e 12
casse caddero in acqua per essere recuperate solo
nel 1807 dallo stesso Elgin che finalmente nel 1812
li fece pervenire a Londra stoccandoli sotto una
misera tettoia a Park Lane, nel giardino di una casa
presa in affitto. Il fumoso, umido e soprattutto già
inquinato clima di Londra iniziò a rovinare i marmi
che il Lord of Elgin mise in vendita al proprio
governo per 60.000 sterline che, a sua volta
rifiutò, proponendo la metà del prezzo.
Dopo un vero e proprio scambio di offerte, degno del
miglior suk, Thomas
Bruce fu costretto ad accettare, per i numerosi
debiti contratti, la somma di 35.000 sterline,
l’equivalente attuale di circa 2 milioni di euro, a
fronte di una spesa complessiva, tra rimozione,
trasporto e pagamento di “incentivi” ai turchi, di
quasi il doppio.
L’Earl di Elgin venne immediatamente fatto oggetto
di numerose critiche, acerrimi attacchi e alacri
contestazioni dall’ala culturale inglese: la fama di
quello che era accaduto, ossia del vero e proprio
furto operato da un diplomatico inglese nei riguardi
di un altro paese, tra l’altro soggetto ad un altro,
raggiunse presto la madrepatria.
Il contemporaneo Edward Dodwell, studioso e
collezionista classico, nel suo “Tour topografico e
classico della Grecia” pubblicato nel 1812 inveiva
contro il permesso accordato a stranieri di
rimuovere i capolavori.
Sir Th. Bruce venne colpito da numerose invettive,
la cui più famosa si deve a Lord Bayron che
osservando l’Acropoli pronunciò la frase: “Quod
non fecerunt Gothi, fecerunt Scoti” scrivendone
poi a riguardo di chi aveva commesso il misfatto i
durissimi versi:
His mind is as barren and his heart
is as hard,
Is he whose head conceiv’d, whose
hand prepar’d
Aught to displace Athena’s poor
remains.
Sterile è il suo pensiero al pari del
suo aspro cuor
di colui la cui testa ha concepito,
di colui la cui mano ha disposto
dei poveri resti di Athena,
l’asporto.
Ancora critiche e attacchi frontali in prima persona
vennero affrontati da Elgin medesimo, p. es. durante
una festa quando venne affrontato e disprezzato
apertamente in pubblico addirittura da un eminente
membro della Società dei Dilettanti, Richard Payne
Knight.
È
comunque normale che durante la piena straripante
del neoclassicismo romantico o del romanticismo
neoclassico, non tutti si schierarono contro la
figura e l’opera di Lord Elgin: l'italiano Antonio Canova,
maggior esponente del neoclassicismo scultoreo
europeo, ringraziava l’Earl affermando che tutti gli
artisti e gli amanti gli erano riconoscenti per aver
condotto le memorabili e stupende sculture al loro
cospetto.
Benjamin Robert Hayden, il noto pittore inglese
poteva affermare: "Lei si è reso immortale, signore,
portandoli qui!”, seguito dal poeta John Keats, che
scriveva il sonetto elegiaco "On Seeing the Elgin
Marbles" (Allo scorger dei Marmi di Elgin) in
occasione del loro arrivo dalla Grecia.
I
Marmi vennero affidati al British Museum che
disgraziatamente non li preservò come molti credono…
Secondo una concezione che anche ultimamente sta
investendo parte degli studiosi anglosassoni, il
bianco dei marmi e le figure addirittura
“troppo naturali” nelle forme erano
troppo poco “attrattivi” per la sensibilità degli
inglesi. Per questo nel 1928 Sir Joseph Duveen si
offrì di rendere i marmi più “fruibili ed
interessanti al pubblico” con 2
provvedimenti: la costruzione di una galleria
interna per una migliore fruizione delle opere e
l’altro, sconcertante, di modificarli.
La più
tragica testimonianza è quella del curatore della
sezione di antichità asiatiche occidentali del museo
britannico che
ricorda con costernazione l’opera degli operai che
“giorno dopo giorno usavano spazzole metalliche,
martelli e scalpelli” direttamente sui bassorilievi
figurati e sulle statue.
Iniziava nell'immediato dopoguerra, sul filone degli
attacchi diretti a Lord Elgin di un secolo prima, una
vera e propria guerra mediatica
sull’opera del diplomatico inglese che avrebbe assunto negli anni a
seguire dimensioni internazionali.
La tremenda modifica operata nei confronti dei marmi
fu uno dei primi argomenti portati avanti dal
governo greco, nell'immediato dopoguerra, per criticare e chiedere la
restituzione delle sculture, oltre ai modi con cui
erano stati asportati i marmi un secolo e mezzo
prima; si rispondeva
oltremanica che negli anni ’50 metodi simili vennero
usati per le metope dell’Ephaisteion e –
aggiungeva il Dr. Ian Jenkins, curatore delle
antichità Greche e Romane del British Museum, che
mentre si continua a dibattere sulla “Questione
Elgin”, legata alla “pulizia” avvenuta quasi 40 anni prima
“…la Metopa Sud 1 e la Metopa Nord 32 del Partenone, due delle
sculture più belle che si trovano ancora lì, marciscano ancora sul Partenone”.
Più recentemente, una moderna commissione apposita
per studiare il caso, nominata direttamente dalla
camera dei Comuni ingelse riportava che “Nessun
altro paese può offrire un così onorevole riparo ai
monumenti di Fidia e Pericle dove le opere, salve
dall’ignoranza e dal degrado, possono ricevere
l’ammirazione e il riguardo che gli sono dovute”.
Non tutte le sculture del Partenone, comunque, sono
pervenute sino a noi. Il fregio era originariamente
composto da 115 pannelli. Di questi 94 esistono
ancora, integri o lesionati: 36 si trovano ad Atene,
56 sono al British Museum ed 1 al Louvre. Delle
originarie 92 metope, 39 sono ad Atene e 15 a
Londra. Diciassette statue dai frontoni, ed una
Cariatide, o colonna dell'Eretteo, sono
attualmente al British Museum. Si può quindi dire
che i marmi del Partenone sono quasi equamente
divisi tra Atene e Londra.
Il prominente studioso, Epaminondas Vranopoulos
nella suo scritto “Il Partenone e i Marmi di Elgin”
(The Parthenon and the Elgin Marbles) conferma che
“Gli studiosi classici e gli storici dell’arte
definiscono unanimemente il Partenone, l’unico
esempio di arte greca classica che – insistendo nella sua analisi – che il
tempio è talmente importante da divenire un simboli
unico di bellezza estetica, perfezione
architettonica, armonia con l’ambiente circostante
ed allo stesso tempo esaltazione massima dell'essere
umano nella fusione con la ragione, divenendo
essenza di democrazia. Per
questi motivi è giusto richiederne la restituzione
delle parti mancanti".
E. Vranopoulos, inoltre analizza le motivazioni del
non-rientro e della richiesta di restituzione delle
sculture. Da una parte pendono 5 motivi sul perchè
il Regno Unito rivendica la proprietà dei capolavori
che grazie all’accordo con il sultano turco furono
acquisiti legalmente; furono rimossi per prevenire
che venissero distrutti; vennero apaticamente
trascurati da parte dei greci fino ad allora; sono
stati preservati dall’inquinamento atmosferico vista
l’aria pulita di Londra; possono essere visti da
molte più persone presso il British Museum.
A
questi 5 elementi si aggiungono altre 4 ragioni per
cui il
British Museum
non è pronto a restituire i marmi fidaci: la prima
vede, giustamente, l’impossibilità da parte del
governo greco di provvedere ad luogo altrettanto
adatto
che sia in grado di conservarli, preservarli e
renderli fruibili se trasferiti; la seconda che se
Elgin non li avesse trasportati in Inghilterra, le
sculture sarebbero andate distrutte; mentre la terza
e la quarta vedono una legale acquisizione dei
capolavori da parte del
British Museum
e che la restituzione rappresenterebbe un precedente
unico per il ritorno di altre opere d’arte. Per
tutta questa serie di motivazioni lo stesso Neil
MacGregor, direttore del Museo Inglese, considera
questa evenienza "molto pericolosa".
Alle ragioni Inglesi, lo studioso greco ha contrapposto
quelle elleniche: i Turchi erano invasori ed ogni
acquisto da parte loro è intrinsecamente invalidato;
lo stesso Elgin causò, con l’asporto e col trasporto
dei capolavori ed il danneggiamento degli stessi; i
Greci furono messi a tacere nelle rivendicazioni
dallo stesso governo turco occupante; le sculture
hanno subito dei danni gravissimi durante
l’esposizione nei primi due anni a Park Lane e
dall’alto grado di inquinamento, anche attuale,
della City, oltre ai “rifacimenti” a suon di
strumenti metallici invasivi, di quelli che non
avrebbero subito se fossero rimasti ad Atene;
inoltre solamente l’Acropoli, nel 1983 ha
registrato, 7000 biglietti d’ingresso al giorno
oltre al fatto che il luogo dove si trovano ora i
marmi non rende assolutamente giustizia poiché
sarebbero certamente meglio apprezzati nel loro
“naturale” contesto ambientale e culturale.
Dal 2001 gli incontri tra Atene e Londra, nelle
persone del portavoce del governo greco Nikos
Papadikos e Robert Anderson direttore del British
Museum, si sono intensificati per la richiesta greca
di un prestito dei marmi almeno per i Giochi
Olimpici del 2004, che comunque è stato negato.
La campagna per la restituzione,
grazie alla richiesta di dialogo del Ministro degli
Esteri greco, è stata abbracciata addirittura da
alcuni membri del parlamento inglesi e sponsorizzata
da attori famosi del calibro di Sean Connery,
Vanessa Redgrave and Judi Dench che ne hanno
riportato l’attenzione su un piano internazionale.
Nel gennaio del 2002, in un’intervista alla CNN,
mentre lo scontro era ancora su toni piuttosto
forti, R. Anderson ha ribattuto che la “cosa
importante” non era mostrare i marmi nel loro luogo
d’origine, ma piuttosto “poter osservare queste
sculture in condizioni eccellenti, poterle studiare,
e connetterle, confrontarle e paragonarle con altre
antichità del mondo antico”.
Themistokles Vakoulis, archeologo presso il Centro
per gli studi dell’Acropoli ha focalizzato
l'attenzione
sull’importanza che i Greci danno alle loro “antichità”
è per l’intero popolo pari ad una forma di
venerazione, da sempre. Gli stessi ateniesi,
coscienti di quello che stava accadendo nel
1799-1801 da parte dell’Earl scozzese, protestarono
a lungo contro un provvedimento preso da un governo
straniero che dominava su di loro. Sottolinea
l'archeologo che possiamo dunque immaginare che valore possono avere
le sculture acropoliche: “I Greci
–
continua
–
amano sempre ricordare il
loro passato e per quel particolare periodo il Partenone rappresenta,
l'incoronazione dell’apice
massimo. Noi abbiamo un detto, che la cosa più
rappresentativa è il Partenone di qualcosa: per
esempio – aggiunge – la Mercedes, è il Partenone
delle automobili. Probabilmente la maggior parte dei
greci non conosceranno la differenza tra una colonna
dorica ed una ionica, ma loro sanno bene che il
Partenone è l’emblema della democrazia ateniese”.
Passate le olimpiadi e la possibilità di un prestito,
almeno per quell'occasione, ad un momento di
esaltazione seguito ad un periodo di duri scambi, Th.
Vakoulis, sconfortato aveva detto che "osservando
ciò che era fino ad allora accaduto, sono triste che
non sia successo assolutamente nulla. I marmi furono
presi durante il periodo di dominazione Ottomana,
non vi era un governo greco, e ora non c’è molto altro
che noi possiamo fare”.
Prendendo spunto dai fregi stessi, che parlano delle
vittorie mitiche degli ellenici contro stirpi e
popolazioni orientali a ricordo delle vittorie nelle
guerre persiane, sottolineava però, lo stesso archeologo,
che "Noi Greci siamo sempre ottimisti e se la
cooperazione tra Grecia e Gran Bretagna può non
essere imminente è però certamente possibile!”.
Oggi. Il 30 gennaio, circa 2000 studenti delle
scuole serali si sono impegnati in una forma di
protesta – in modo estremamente civile –
per richiedere, al governo inglese, ancora una
volta, la restituzione dei Marmi del Partenone.
I
ragazzi indossando delle casacche color arancio con la
scritta “PARTHENON-MARBLES
REUNIFICATION NOW!” (PARTENONE-MARMI.
RIUNIFICAZIONE ORA!) hanno formato intorno alla
collina dell’Acropoli una grande catena umana,
legati tutti simbolicamente gli uni agli altri con
una lunga fune, per spiegare al mondo come è forte
il nesso tra il tempio e le sue decorazioni
ornamentali, per richiamare ancora una volta
l’attenzione dell’Europa e del mondo intero, sulla
questione greco-britannica.
L’iniziativa, nata lontana dai banchi di scuola, si
è andata sviluppandosi tra gli studenti dell’intero
paese mediterraneo: tramite internet, chat rooms
e blogs, i ragazzi sono riusciti a creare una
fitta rete di sensibilizzazione al problema che ben
presto si è sviluppata in una vera e propria
campagna organizzata al meglio dal nome "Network for
the Reunion of the Parthenon Marbles" (Rete per la
riunificazione dei Marmi del Partenone) che ha
portato a scrivere circa 900 lettere di protesta, e
a raccogliere 65,000 firme per essere inviate al British Museum.
“Se si da ai giovani una causa reale, allora loro
possono appassionarsi ad essa ed agire su di essa”
ha detto Giorgos Hasiakis, segretario dell’unione
dei tutors di Atene, il quale si è impegnato
fortemente per l’organizzazione dell’evento. “I Marmi
appartengono a al loro giusto luogo d’origine e gli
studenti continueranno con azioni simili fino al
loro ritorno”.
Gli
studenti affermano che i Marmi rappresentano la loro
eredità culturale e aggiungono, così come è
realmente accaduto, che sono convinti che le loro
azioni condurranno ad una consapevolezza pubblica
così come affermato dalla diciassettenne Maria
Koudouroyianni:
"Ovviamente alcune persone saranno anche pessimiste
a riguardo ma ritengo fermamente che se crediamo
veramente in questa causa noi possiamo fare la
differenza”.
Gl’insegnanti delle scuole serali hanno aiutato i
ragazzi ad organizzare l’evento grazie al supporto
delle autorità ateniesi e la Melina Mercouri
Foundation. L’attrice ed ex ministro Greco per la
cultura, Melina Mercuri, si profuse già negli anni
’80 in una campagna dura tesa a riottenere i Marmi
considerandoli come tesoro nazionale saccheggiato.
Sfruttando dunque l’interessamento della Fondazione
attraverso la rete telematica di sensibilizzazione
costruita dagli studenti si è giunti a questo
movimento.
“Era
un sogno della Mercouri riaverli indietro, e noi
faremo in modo che il suo sogno si trasformi in
realtà” ha detto il prefetto del Pireo, Yannis
Michas, che si è unito alla protesta.
In
tutti questi anni, il British Museum si è rifiutato
di riconsegnare, o di concedere per un prestito a
lungo termine, i capolavori, respingendo duramente
ogni richiesta, adducendo come causa principale, il
fatto che i marmi non potrebbero essere protetti in
modo migliore nel museo britannico poiché
l’inquinamento di Atene li distruggerebbe.
Per
questo motivo la Grecia si sta esprimendo in uno
sforzo notevole per il completamento di un nuovo,
moderno ed efficientissimo museo ai piedi
dell’Acropoli, che ospiterebbe oltre ai capolavori
del vecchio Museo dell’Acropoli una sala del tutto
speciale e dotata di ogni accorgimento tecnico per
la conservazione, riservata ai Marmi.
Inoltre, l’attuale ministro della cultura Georgios
Voulgarakis, in questo sforzo enorme per il
rimpatrio dei Marmi sta cercando di coinvolgere
molti altri capolavori antichi saccheggiati dal
paese, e che ha come obbiettivo primario la
restituzione delle sculture fidiache. Sforzo che
lentamente sta dando i suoi frutti viste le
recentissime (autunno 2006) restituzioni di 2
frammenti scultorei del Partenone da parte
dell’università di Heidelberg (Germania) e da parte
della professoressa svedese Birgit Wiger-Angner, la
cui prozia aveva asportato il pezzo dal
dall’acropoli nel 1896.
Per il prossimo futuro Giorgos Hasiakis
ha promesso che gli attivisti insceneranno una
protesta simile a Londra proprio davanti al British
Museum.
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http://marbles.apokrisi.net/
http://www.parthenonuk.com/history_of_the_marbles.php |