N. 33 - Settembre 2010
(LXIV)
l'aquila rugby 1936
passione abruzzese per l'ovale
di Simone Valtieri
Il
rugby
aquilano
si
può
riassumere
in
un
semplice
nome
e
cognome,
quello
di
Tommaso
Fattori.
Nato
a
Foligno
nel
1909,
il
giovane
e
robusto
ragazzo
umbro
dedica
gran
parte
della
sua
vita
alla
palla
ovale.
Gioca
a
Roma,
nel
ruolo
estremamente
faticoso
e
usurante
di
pilone,
prima
nella
Lazio,
poi
nella
Roma
Olimpic,
disputando
anche
dieci
partite
con
la
maglia
della
nazionale
prima
di
intraprendere
la
carriera
di
allenatore.
All’Aquila
giunge
nel
1938,
per
prendere
le
redini
della
giovane
formazione
messa
in
piedi
un
paio
d’anni
prima
da
Guglielmo
Zoffoli,
allievo
ufficiale,
giocatore
nel
ruolo
di
estremo
della
Roma
e
della
Nazionale.
Zoffoli
era
di
stanza
nel
capoluogo
abruzzese
dal
1936
e,
appena
arrivato,
si
era
subito
prodigato
nell’arruolare
giovani
atleti
dediti
a
corsa,
salti
e
lanci,
per
convertirli
alla
nobile
arte
del
rugby.
La
squadra
messa
in
piedi
era
un
po’
raffazzonata
ma
piena
di
giovani
interessanti
e
dediti
al
sacrificio,
tant’è
che
Fattori,
con
il
materiale
umano
a
disposizione
e
con
la
sua
esperienza
riuscì
subito
a
conseguire
risultati
più
che
interessanti.
L’Aquila
rappresentava
il
terreno
ideale
per
far
crescere
giovani
talenti,
in
quanto
dotata
di
impianti
all’avanguardia
costruiti
negli
anni
Trenta,
di
un
buon
bacino
di
giovani
ma
non
ancora
di
organizzazioni
e
circoli
sportivi
consolidati.
Fu
così
che
nell’immediato
dopoguerra
lo
stesso
Fattori
decide
di
costituire
la
“Polisportiva
L’Aquila
Rugby”
iscrivendola
ai
campionati
nazionali.
Polisportiva
perché
il
buon
Tommaso
si
prodigava
nel
divulgare
nel
capoluogo
abruzzese
un
numero
notevole
di
discipline,
sempre
con
un
occhio
di
riguardo
per
quegli
atleti
che
risultavano
idonei,
per
caratteristiche
fisiche,
mentali
e
per
generosità,
a
vestire
la
maglia
bianconera
della
neonata
società
rugbistica.
La
prima
soddisfazione
a
livello
nazionale
arriva
presto,
nel
1950,
quando
la
formazione
giovanile
si
aggiudica
la
prestigiosa
Coppa
Cicogna,
trofeo
assegnato
al
vincitore
del
campionato
under
19.
Nella
stessa
stagione
la
squadra
dei
grandi,
al
suo
primo
anno
di
serie
B
dopo
una
sola
stagione
di
Prima
divisione,
iniziava
a
far
parlare
di
sé.
Gli
abruzzesi
erano
diventati
una
minaccia
per
tutte
le
squadre
della
serie
cadetta,
in
particolare
per
le
romane,
da
quattro
anni
protagoniste
della
bagarre
per
ottenere
un
posto
in
serie
A. I
bianconeri
arrivano
secondi
e si
qualificano
addirittura
per
lo
spareggio
col
Rugby
Genova,
penultima
in
Serie
A,
per
giocarsi
la
qualificazione
nella
massima
serie.
I
giovani
di
Fattori
usciranno
sconfitti
per
22-3
contro
la
meglio
attrezzata
e
più
esperta
formazione
ligure,
ma
trarranno
insegnamenti
utili,
grazie
ai
quali
riusciranno
l’anno
seguente
a
dominare
la
serie
B
ottenendo
la
promozione
nell’olimpo
del
rugby
nazionale
a
soli
tre
anni
dall’iscrizione
in
Prima
divisione.
E’
un
piccolo
miracolo
sportivo.
L’Aquila,
infatti,
negli
anni
Cinquanta
è un
“paesone”
dove
tutti
si
conoscono
e
dove
una
partita
di
rugby,
che
vede
impegnati
giovani
locali,
coinvolge
e
interessa
l’intera
comunità.
Alle
spalle
della
squadra
vi
era
un
gruppo
di
validi
dirigenti
che
si
fidava
cecamente
delle
scelte
del
tecnico.
Inoltre
il
carattere
degli
abitanti
della
zona,
gente
semplice
e
generosa,
ben
si
sposava
con
lo
spirito
di
una
disciplina
tanto
brutale
nell’apparenza,
quanto
nobile
nella
sostanza.
Persone
semplici
e
generose
proprio
come
Fattori,
figura
che
aveva
ormai
conquistato
tutti
in
città.
Dedicò
l’intera
vita
ai
suoi
ragazzi,
educandoli
all’eccellenza
sportiva
e
morale,
seguendoli
sul
campo
ma
anche
nella
vita,
interessandosi
ad
esempio
del
loro
profitto
scolastico
o
dei
loro
problemi.
“Papà
Tommaso”,
com’era
chiamato
dai
suoi
giovani,
fece
innamorare
gli
aquilani
della
sua
persona
ma
anche,
e
soprattutto,
della
palla
ovale.
Negli
anni
seguenti
L’Aquila
partecipa
ai
massimi
campionati
ottenendo
risultati
sorprendenti
per
una
matricola.
Dopo
qualche
anno
di
apprendistato
e
piazzamenti
a
metà
classifica,
nel
1958
arrivano
le
semifinali
scudetto
e
nel
1959
addirittura
la
finale
assoluta,
persa
in
due
gare
contro
le
blasonate
Fiamme
Oro
Padova.
Il
1960
è
però
anno
funesto.
Pochi
giorni
dopo
la
conquista
del
secondo
titolo
giovanile
della
storia
societaria,
Tommaso
Fattori
scompare
prematuramente,
lasciando
un
vuoto
incolmabile
nei
cuori
dei
suoi
concittadini
acquisiti
che
a
furor
di
popolo
gli
intitolano
lo
stadio
comunale,
ma
lasciando
anche
ben
radicata
e
florida
la
pianta
del
rugby
nel
suolo
della
rocciosa
città
abruzzese.
Il
sogno
irrealizzato
di
“Papà
Tommaso”,
quello
di
vincere
lo
scudetto,
verrà
portato
a
compimento
proprio
dai
ragazzi
che
aveva
cresciuto
ed
allenato:
nel
1967,
dopo
una
brevissima
parentesi
in
serie
B
nel
1963-64,
conquistano
il
loro
primo
scudetto,
prendendosi
la
rivincita
proprio
contro
le
Fiamme
Oro
e
vincendo
la
finale
in
partita
unica
per
6-0.
La
pianta
era
ormai
diventata
un
albero:
contro
i
legnosi
piloni
neroverdi
-
questi
i
nuovi
colori
sociali
della
squadra
- si
infrangevano
le
mischie
avversarie.
L’Aquila
è
ormai
una
realtà
consolidata
del
rugby
italiano
e
nel
1969
arriva
il
secondo
scudetto
degli
ex-giovani
di
Fattori.
Uno
di
questi
risponde
al
nome
di
Antonio
Di
Zitti,
terza
linea
che
nel
1958
è il
primo
aquilano
della
storia
a
debuttare
in
azzurro,
in
un
match
vittorioso
per
6-3
contro
la
Romania.
Di
Zitti
sarà
in
realtà
per
l’Aquila
molto
di
più
di
questo.
Diventerà
una
bandiera,
vestendo
i
colori
neroverdi
anche
dopo
la
fine
della
carriera
da
giocatore
e
diventando
in
seguito
presidente
della
società.
Sarà
protagonista
del
celebre
“Di
Zitti
Show”,
un’azione
solitaria
che
aveva
luogo
verso
la
fine
di
molti
match
di
cui
i
suoi
compagni
di
squadra
lo
rendevano
malcapitato
protagonista.
A
risultato
ormai
acquisito,
lo
lasciavano
palla
in
mano
e
senza
sostegno
(in
pratica
senza
proteggerlo
dopo
un
placcaggio)
a
barcamenarsi
in
balia
delle
difese
avversarie
cercando
di
evitare
nerboruti
energumeni.
La
divertente
situazione
rallegrava
il
pubblico
e i
compagni
e
faceva
imbufalire
il
Di
Zitti,
pronto
però
a
riderci
su
al
termine
di
ogni
incontro
dopo
le
rassicurazioni
dei
suoi
compagni,
naturalmente
vane,
che
ogni
volta
sarebbe
stata
l’ultima.
Assieme
a
lui
vestiranno
l’azzurro
fino
alla
fine
dei
Settanta
altri
sette
giocatori
aquilani,
tra
cui
pilastri
della
formazione
neroverde
come
Angelo
Autore
e
Pierluigi
Pacifici,
mentre
nel
1972
Sergio
Del
Grande
sarà
il
primo
abruzzese
a
sedersi
sulla
panchina
della
nazionale
italiana,
sedici
anni
prima
di
Loreto
Cucchiarelli,
anch’esso
aquilano,
commissario
tecnico
azzurro
per
sette
partite
dal
1988
al
1989.
Gli
anni
Settanta
vedono
la
formazione
abruzzese
vestire
panni
della
protagonista,
bella
e
incompiuta,
della
serie
A.
Tre
volte
seconda,
una
volta
terza
e
tre
volte
quarta,
oltre
al
la
coppa
Italia
del
1973:
questo
il
bilancio
di
una
compagine
dalla
quale
emergono
altri
quindici
azzurri,
tra
cui
Giancarlo
Cucchiella,
Fulvio
Di
Carlo,
Paolo
Mariani,
Giorgio
Morelli,
Ennio
Ponzi,
ma
soprattutto
Massimo
Mascioletti,
54
caps
in
nazionale
e un
futuro
di
grande
consistenza
come
tecnico,
e
Serafino
Ghizzoni,
a
lungo
recordman
di
presenze
con
la
maglia
azzurra,
ben
60,
in
tempi
in
cui
i
calendari
internazionali
non
erano
fitti
di
appuntamenti
come
oggi.
Quel
periodo
però
fu
solo
il
preludio
al
glorioso
decennio
successivo.
Negli
anni
Ottanta
il
quindici
aquilano,
con
Di
Zitti
presidente
e
Cucchiarelli
in
panchina,
conquisterà
i
titoli
nel
1981
e
1982
e la
Coppa
Italia
1981,
col
grande
rimpianto
di
aver
sfiorato
lo
scudetto
in
almeno
altre
tre
nitide
occasioni
(1983,
1986,
1988).
In
campo
altri
grandi
giocatori
del
posto
nonché
futuri
azzurri,
come
Antonio
Colella,
Francesco
Pietrosanti
e
soprattutto
Gigi
Troiani,
terzo
marcatore
di
sempre
in
nazionale
con
294
punti.
A
fare
da
cornice
ai
successi
della
squadra,
un
pubblico
passionale
e
fedelissimo,
sedicesimo
uomo
in
campo
con
cui
tutte
le
squadre
che
si
presentavano
al
“Fattori”
dovevano
fare
i
conti.
L’Aquila
era
ormai
diventata
una
delle
roccaforti
del
rugby
in
Italia,
al
pari
di
Rovigo,
Treviso,
Padova,
Brescia
e
altre
città
dove
i
ragazzini
nei
cortili
si
divertivano
sempre
più
sovente
a
confrontarsi
con
gli
imprevedibili
rimbalzi
della
palla
ovale,
piuttosto
che
con
quelli
più
scontati
del
pallone
da
calcio.
Un
altro
acuto
de
L’Aquila
Rugby
coincide
con
uno
dei
più
bei
momenti
di
tutta
la
storia
della
palla
ovale
in
Italia:
lo
scudetto,
non
pronosticato,
conquistato
dai
ragazzi
di
Massimo
Mascioletti
nel
1994,
usciti
vittoriosi
per
23-14
dalla
finale
di
Padova
contro
la
corazzata
Milan,
squadra
economicamente
più
robusta
e
con
tanti
campioni
in
campo.
Nel
2000
L’Aquila
raggiunge
un’altra
finale
contro
il
Rugby
Roma,
ma
non
bastano
gli
ottomila
tifosi
giunti
dal
capoluogo
abruzzese
per
dar
manforte
ai
neroverdi.
Dal
Flaminio
tornano
a
casa
con
un
sonoro
34-17
in
tasca
ma
anche
con
l’orgoglio
di
aver
compiuto
un’impresa
degna
di
nota
in
semifinale,
sconfiggendo
a
sorpresa
i
favoriti
per
il
titolo,
la
corazzata
Benetton
Treviso,
per
19-17.
Nella
successiva
stagione
avviene
anche
il
debutto
europeo
e
L’Aquila
chiude
la
sua
esperienza
di
coppa
con
due
vittorie
su
sei
match,
contro
le
imbattibili
formazioni
transalpine
e
britanniche.
Come
sempre
avviene
nel
mondo
dello
sport,
al
culmine
di
ogni
parabola,
dopo
tanta
ascesa,
comincia
il
declino
che
porterà
L’Aquila
prima
ad
essere
relegata
nelle
zone
di
bassa
classifica,
poi,
nel
2006,
ad
un’amara
retrocessione
nella
categoria
cadetta,
dovuta
anche
ai
quattro
punti
di
penalità
inflitti
alla
società
dalla
Lega
per
aver
schierato
in
un
incontro
un
giocatore
italiano
in
meno
rispetto
a
quanto
richiesto
dai
regolamenti.
“Inaudito
perdere
4
punti
perché
non
si è
capaci
neanche
a
contare”,
il
commento
dell’ex
presidente
Di
Zitti,
che
spara
a
zero
sulla
dirigenza,
ma
nulla
si
può
fare
contro
il
verdetto
del
campo
e
della
Lega,
che
retrocede
in
serie
A2,
dopo
42
anni
di
fila,
la
gloriosa
formazione.
Il
resto
è
storia
recente
che
travalica
i
confini
sportivi
e
che
entra
di
prepotenza
nei
drammi
della
vita
quotidiana,
con
il
devastante
sisma
che
alle
3.32
del
mattino
del
6
aprile
2009
rade
al
suolo
mezza
L’Aquila
e
provincia,
sconvolgendo
la
vita
di
migliaia
di
persone.
In
tutto
questo
i
ragazzi
del
Rugby
L’Aquila
rappresentano
la
faccia
positiva
del
terremoto,
quelli
che
fin
dai
primi
minuti
dopo
la
terribile
scossa
rispondono
“presente”
all’adunata
dell’allenatore
Mascioletti
e
del
capitano
Pallotta,
e
cominciano
a
scavare
per
aiutare
i
pompieri
nell’estrarre
dalle
macerie
i
corpi
di
tantissimi
concittadini,
molti
dei
quali
salvi
grazie
proprio
alla
loro
azione.
Ma
di
un
compagno
di
squadra
non
sentiranno
più
la
voce:
a
Lorenzo
Sebastiani,
giovanissimo
e
promettente
pilone,
già
nazionale
giovanile,
il
terremoto
non
ha
lasciato
scampo.
Ed è
così
che,
nello
stadio
intitolato
a
Tommaso
Fattori,
gli
eredi
dei
suoi
insegnamenti
aiutano
la
protezione
civile
ad
allestire
tendopoli,
a
trasportare
viveri
e
acqua
per
i
terremotati
e a
far
divagare
tanti
giovanissimi,
mettendogli
in
mano
un
pallone
ovale
e
giocando
con
loro.
Poche
settimane
dopo
il
sisma,
per
forza
di
cose
lontano
dal
suo
stadio,
il
Rugby
L’Aquila
conclude
la
stagione
tentando
l’impresa
di
tornare
nella
massima
serie,
anche
se
la
situazione
di
precarietà
degli
ultimi
mesi
ha
notevolmente
influito
dal
punto
di
vista
tecnico
e
psicologico.
I
ragazzi
di
Mascioletti
non
riusciranno
a
superare
Prato
ma
grazie
alla
rinuncia
di
due
formazioni
della
massima
serie,
Capitolina
e
Calvisano,
verranno
ripescati
nel
Super
10,
come
da
un
decennio
si
chiama
il
massimo
campionato
professionistico.
E’
da
qui
che
si
ricomincia
a
scrivere
un
racconto
lasciato
in
sospeso
qualche
anno
fa:
dopo
tanta
sfortuna
un
pizzico
di
buona
sorte
arriva
con
questo
ripescaggio
che
andrà
però
onorato
sul
campo.
L’11
settembre
2009,
in
un
Fattori
da
poco
sgombro
di
tende
e
stracolmo
di
affetto,
campeggia
lo
striscione:
“Nel
dolore
affrontiamo
la
battaglia”.
I
ragazzi,
con
la
maglia
disegnata
proprio
dai
loro
tifosi
e
sulle
spalle
il
numero
“1”
di
Sebastiani,
iniziano
il
riscaldamento
prima
di
esordire
in
campionato
contro
il
Viadana,
vicecampione
d’Italia
nella
scorsa
stagione
e
una
delle
più
forti
realtà
del
rugby
italiano.
I
mantovani
spaventano,
vanno
sotto,
segnano
una
meta,
scappano,
vengono
ripresi,
riallungano
e al
45’
del
secondo
tempo,
cinque
minuti
oltre
l’ottantesimo,
vengono
definitivamente
superati
da
un
calcio
del
neozelandese
Tim
Manawatu
che
viaggia
in
mezzo
ai
pali:
22-20.
La
città
esplode
di
gioia
per
i
suoi
eroi
che,
al
rientro
nella
massima
serie,
hanno
compiuto
l’impresa.
La
maglia
di
Sebastiani
viene
ritirata
per
sempre
dalla
società
abruzzese,
che
al
termine
della
partita
riceve
dal
presidente
della
Federazione
il
premio
“Spirit
of
Rugby”,
riconoscimento
meritato
da
quei
giovani
di
cui
“Papà
Tommaso”
sarebbe
andato
fiero.
C’è
da
aggiungere
però,
con
un
pizzico
d’ironia,
che
L’Aquila
andava
forse
sanzionata
per
la
vittoria
contro
il
Viadana,
perché
è
palese
ed
evidente
a
tutti
che
quel
giorno
al
Fattori
i
neroverdi
giocavano
in
sedici
contro
quindici,
con
Lorenzo
Sebastiani,
da
lassù,
parte
attiva
dell’azione.
Come
si
dice
nell’ambiente,
un
rugbista
non
muore
mai,
al
limite,
passa
la
palla.