N. 31 - Dicembre 2007
LA FINE DI SIBARI
Problemi
storico-cronologici. Parte II
di
Antonio Montesanti
Statere di
Crotone-Sibari. D / Tripode delfico [leg. QPO]; R /
Toro retrospiciente incuso [leg. YM]. AG, 8.05
g.,510-500 a.C.
Gli
sconvolgimenti interni ed esteri che destabilizzarono
l’area ellenica dell’Italia Peninsulare, nella seconda
metà del VI sec. a.C., derivano in fondo, a detta di
molti, da quella che viene definita la ‘questione
tirannica’. Fonti più o meno attendibili ci
restituiscono il nome di un tiranno, Telys, di
stampo o estrazione democratica che inizia a governare
Sibari prima del 524 a.C. La cronologia della presa di
potere tirannidea è stata stabilita in maniera
mirabile e non conduce a paragoni diretti con il resto
della Magna Grecia in questo periodo, ma si collega
direttamente alle tirannidi arcaiche della Grecia
continentale (p. es. Pisistrato ad Atene), andando
così a delineare la città italiota meglio come potenza
dai caratteri internazionali piuttosto che regionali.
Si
tratta, in realtà, di un fatto totalmente determinante
e Telys che è l’ultimo governante prima della
distruzione della città, è forse l’antesignano in
Occidente del trapasso istituzionale dalle forme più
arcaiche di governo a fenomeni tirrannidei che trovano
riscontri in tutta la penisola. Agli albori del V sec.
a.C. tirannidi sono riscontrabili tramite le
testimonianze più varie in Etruria con le attestazioni
di Veio e le tavolette di Pirgi, nel Lazio con le
dittature perpetue, in Magna Grecia con il caso di
Cuma, fino in Sicilia, con i Siculi di Ducezio.
Telys
è un tiranno di stampo o estrazione democratica che
sarebbe giunto al potere prima del 524 a.C. con una
vera e propria rivoluzione, cosa ben diversa dagli
strategòi autokràtores (Dictatores),
che ottenevano il potere con un colpo di stato basato
sul controllo militare, dopo aver ottenuto la carica.
Il tyrannos sibarita avrebbe ottenuto il potere
con l’appoggio del popolo e, talmente eccessiva fu la
sua avversione al potere oligarchico, che scacciò
dalla città 500 ricchi aristocratici confiscandone i
beni, instaurando così un regime fortemente
‘antiplutocratico’ in seno ad una rivoluzione sociale.
Sicuro è che gli esuli, come sappiamo, trovarono
rifugio a Crotone che allora era guidata da Pitagora e
questo fu il casus belli che fece esplodere il
conflitto tra le due città.
L’arrivo, almeno vent’anni prima di Pitagora, in un
lasso temporale compreso tra il 540 e il 530 a.C. ca.,
aveva impedito che Crotone, già sotto l’influenza
della rivale, cadesse totalmente nell’agio e nel lusso
propri dei sibariti: il filosofo, matematico,
consigliere unico della città stava portando avanti
ormai da almeno un paio di decenni una sorta di
rinascita morale e materiale: una sorta di opposizione
imprevista alla tryphè sibarita, che divenne
prima tensione e poi scontro aperto quando Crotone
affrontò la guerra, rifiutandosi di riconsegnare gli
aristocratici sibariti accorsi nella loro agorà (Diod.
XII 9 3-4; Jam. VP, 177).
Lo
scontro finale avvenne, secondo le cronologia
comunemente accettata, nel 510 a.C. lungo l’asse che
dalla città lacinia porta all’attuale piana di Sibari
e che già gli autori antichi individuavano con il
fiume Traente. Crotone combatté e vinse con una
vittoria già prevista da Pitagora (Andron. Fr. 6 M),
da lui teorizzata ed ottenuta grazie a Milone, braccio
armato della teorica pitagorea, l’atleta olimpionico
plurivittorioso e stratega dell’esercito.
I
vincitori si riversarono nel territorio sibarita
spartendoselo e dimenticando il concetto primo della
loro Guida: “Koinà tà ton phìlon” (Siano in
comune le cose degli amici). La città che allora
sembra aver avuto una popolazione di 300.000 unità
viene distrutta e cancellata definitivamente con la
deviazione del letto del fiume Crati sull’abitato.
Come
si è visto si è parlato della possibilità che Crotone
abbia sconfitto Sibari solo con le proprie forze ma in
realtà ci furono certamente degli interventi esterni.
In occasione della battaglia, fu chiamato Dorieo,
figlio della prima moglie di Anassandrida, re di
Sparta, il quale venne con i suoi compagni
intervenendo su esplicita richiesta d’aiuto di
Crotone. Dorieo era fratello di Cleombroto e Leonida,
quest’ultimo eroe delle Termopili e fratellastro di
Cleomene, figlio della seconda moglie del re spartano.
Quando fu deciso chi dovesse regnare sui Lacedemoni,
fu scelto quest’ultimo e Dorieo sdegnato si esiliò
volontariamente per fondare una nuova città. Il primo
tentativo fu quello di riversarsi sulle coste libiche,
ma fu scacciato dopo tre anni dai Cartaginesi e dai
Berberi. In seguito tornato in patria, dopo aver
consultato l’oracolo ripartì per dove questo lo aveva
indirizzato ossia nella “terra di Eracle in Sicilia”,
cioè nella zona che corrisponde alla Sicilia orientale
compresa tra Eraclea Minoa ed Erice. Prima di recasi
in Trinacria si fermò in Italia quando i Sibariti “…e
il loro re Telys stavano per intraprendere una
spedizione contro Crotone, e i Crotonesi, spaventati,
pregarono Dorieo di aiutarli e riuscirono a
convincerlo.
Allora Dorieo marciò con loro contro Sibari e con
lorola conquistò”(Hdt. V 43; 44, 1; 45). La presenza di Dorieo
nell’intervento armato era già oggetto di discussione
quando Erodoto, “Padre della Storia”, narrava della
disputa tra i Sibariti che incolpavano il Lacedemone
di aver aiutato i nemici in guerra, mentre i
Crotoniati sostenevano di essere stati sostenuti
esclusivamente dall’indovino Callia di Elide.
In
base al rapporto con le Guerre Messeniche combattute
da Sparta per la conquista della regione confinante,
sappiamo che Cleomene divenne re nel 529/8 e che, come
abbiamo visto, Dorieo lasciò la Laconia immediatamente
alla volta dell’Africa e che qui vi rimase solo tre
anni, prima di essere scacciato, dobbiamo ritenere che
rientrò nel Peloponneso, al più tardi, nel 525/4 e che
dopo la consulta oracolare ripartì alla volta della
Sicilia nel 524/3, data ritenuta un grave problema
cronologico dagli studiosi anglosassoni e accettata da
un solo storico italiano (V. Merante). Infatti proprio
in quell’anno Dorieo avrebbe combattuto al fianco di
Crotone.
Il
problema che sembra essere ‘insabbiato’ o addirittura
oscurato è quello che riguarda proprio la possibilità
che la data del 510 a.C. sia poco plausibile o lontana
dal vero e che la sua distruzione si possa retrodatare
di almeno un quindicennio. Che la datazione della
distruzione di Sibari sia legata agli eventi
peloponnesiaci questo è fuori discussione, e che il
problema attanagli, se pur lievemente gli storici, lo
si capisce chiaramente quando viene inserito dagli
studiosi più scrupolosi l’impossibilità di agganciare
eventi magnogreci a quelli peloponnesiaci. Insomma se
alcuni studiosi trovano delle difficoltà ad
individuare cronologicamente la presa di Siris, ad
inserire l’evento bellico che vide contrapposte
Crotone e Locri culminato nella battaglia della Sagra,
e se ancora oggi non è possibile stabilire il momento
dell’arrivo di Pitagora in Magna Grecia con la
relativa localizzazione della presa di potere di
Telys e quindi l’anno della battaglia sul Traente,
o più semplicemente l’inizio della monetazione
sibarita, sarà giusto provare a rimettere mano ad una
cronologia attualmente poco esauriente.
A
questo dobbiamo aggiungere un altro cruccio, e
mistero, di non pochi studiosi: la fine dell’Impero
Sibarita. In molti si sono posti la classica domanda:
“Come può essere accaduto che una città talmente
grande e potente sia stata sopraffatta e cancellata
dalla storia in brevissimo tempo?”. Non sono risultate
convincenti, fino ad oggi, le ipotesi degli
appassionati e studiosi della storia magnogreca.
La
risposta più comune è data da alcuni autori che
vedevano come unica soluzione quella di una coalizione
antisibarita, che per diversi motivi, ne avrebbe
tratto numerosi vantaggi. Una interessante ipotesi è
del Raviola, secondo cui, Metaponto stessa, una volta
alleata sibarita, acquisì il suo territorio fino al
Siri, cioè quel territorio occupato dopo la presa di
Siri. Eppure un buon numero di studiosi si è
dissociato da questa linea, difendendo la solitudine
di Crotone contro Sibari, e la sua totale vittoria.
Resta però probabile che la tradizione abbia visto
bene nell’assegnare a Crotone la guida della
coalizione che distrusse Sibari, sottolineandone la
forza il valore ed il prestigio fisico-militare.
Ultimamente la base di un donario di Delfi ha
riacutizzato la questione con la proposta di
ricollegare il tripode, che vi si trovava incassato al
suo interno e simbolo della città lacinia, alla
vittoria sul Traente come decima o donario votivo.
Anche se stranamente non sembra che Crotone abbia
ottenuto dei vantaggi notevoli dopo la presa della
città, se non di tipo territoriale-agrario, ossia con
l’aumento del suolo coltivabile. In effetti la guerra
sarebbe stata inspiegabile se non dovuta ad una
politica di tipo imperialista che costrinse Crotone ad
una difesa e ad un contrattacco violentissimo onde
evitare una rinascita che le avrebbe creato ancora
notevoli problemi. L’esperienza del tentativo di
ricostruzione di una doppia e tripla Sibari, dopo
quella già fondata sul fiume Traente, a distanza di
pochi anni, conferma il non controllo totale sul
territorio acquisito.
La
stessa città pitagorea si appropria della esperienza
della rivale ed in base a ciò, ed ai bisogni
commerciali, si fa erede, ma una erede buona,
“liberatrice” del territorio, ma tuttavia sterile ed
inefficace: per sancire questa eredità fa battere una
moneta con al dritto il tipo col tripode ed al
rovescio il toro sibarita.
“Alla sua caduta contribuì l’interesse di un mondo
economico che non è solo quello crotoniate ed è fino
ad un certo punto magno-greco; anzi è un mondo che
tende a spezzare il tentativo di costituzione unitaria
di uno “Stato economico magno-greco, quale con
Sibari e i suoi alleati aveva preso, per la prima e
forse ultima volta, corpo”. Nel qual caso si accetti
questa interpretazione, viene di molto a
ridimensionarsi il ruolo svolto da Crotone nel
provocare la fine della potenza sibaritica. Non è
dunque da pensare che solo Crotone abbia rivendicato
il diritto alla eredità politica e soprattutto
economica di Sibari. La sua caduta produsse due
fenomeni chiari: l’inizio dell’influsso d’Atene
nell’occidente e l’inizio dei robusti moti migratori
dei popoli dell’interno, ossia delle genti
osco-sabelliche fino ad allora relegate sulle montuose
zone interne, che si spinsero verso le zone costiere e
che occuperanno buona parte del territorio magnogreco,
lasciando di fatto le città italiote come entità
isolate (Plat. Ep. VIII 353a, cfr. 353e;
Aristox. fr.124 WEHRLI ap. Athen. XIV 632a).
Riferimenti bibliografici:
L.
Breglia, Le monete delle quattro Sibari, AIIN II, 1955
M.
Giangiulio, Ricerche su Crotone arcaica, Pisa,
1989
U.Kahrstedt, Zur Geschichte Grossgriechenlands in
5. Jahrhundert, HERMES LIII, 1918
C.M.Kraay, The coinage of Sybaris after 510 B. C.,
NUM. CHRON. XVIII, 1958
N.F. Parise, Struttura e funzione delle monetazioni
arcaiche di Magna Grecia: ATTI DEL CONVEGNO DI
TARANTO XII, 1972, 87-129
Vedi
anche:
LA
FINE DI SIBARI -
Problemi storico-cronologici. Parte I |