N. 31 - Dicembre 2007
LA FINE DI SIBARI
Problemi
storico-cronologici. Parte I
di
Antonio Montesanti
Grande ripercussione su tutto il Mediterraneo, ebbe la
caduta della potentissima città di Sibari, guidata,
sul finire del VI secolo a.C. da un tiranno, in un
periodo che vede coincidere la caduta di altre due
forme di governo assolutiste: la tirannide ad Atene e
la monarchia a Roma. Oggi la data del crollo della
polis magnogreca è fissata al 510 a.C., ed essa
coincide, come per altre potenze, con la caduta della
propria tirannide, che non avvenne esclusivamente
tramite rivolte intestine, bensì per mano della città
di Crotone.
Narra Erodoto che Clistene tiranno di Sicione (605-575
a.C. ca.) indisse un vero e proprio concorso affinché
la figlia Agariste potesse avere un marito degno di
una delle città più potenti dell’epoca. Tra gli altri
si presentarono, anche Smindyrides Sibarita,
figlio di Hippokrates, “...l’uomo che aveva
raggiunto il massimo dell’opulenza (Sibari era a quei
tempi al suo apogeo) e Damasos di Siri, figlio
di Amyris detto il saggio” (Hdt. VI 127). Un
episodio che effettivamente non sfuggì a tutti gli
scrittori che trattarono di Sibari e dei suoi logoi,
racconti in chiave romanzata, dove si evidenzia un
particolare: questo personaggio aveva al suo seguito
una miriade tra inservienti e schiavi di ogni
genere (cuochi, uccellatori, pescatori, artigiani)
tanto che avrebbe superato per magnificenza lo stesso
potente tiranno della città istmica (Athen.
XII, 7; Tim. FGrHist 566 F9; Aelian.,
v.h.
IX 24; Seneca,
de ira, II 25; Diod. VIII 19).
Gli autori antichi, infatti, rilevano in continuazione
il non-limite, l’esageratezza della potenza sibarita.
Smindyrides, protagonista del racconto è
rappresentato non come un semplice possidente ma il
detentore della hybris sibarita simbolo
negativo dell’opulenza di una tra le città più potenti
dell’epoca: l’opulenza di un singolo cittadino è
quella della polis da cui proviene, che segna
quasi l’intera storiografia sibarita e che sarà causa
della sua distruzione (Diod. XII 9; Strab. VI 1, 13,
263 c).
Per questo un racconto secondario diviene essenziale
per la cronologia e per i suoi rapporti con le altre
città: Sibari, infatti, non era solo un’opulenta e
potente città greca ma anche una città multirazziale.
Tra le sue caratteristiche fondamentali come
città-stato c’era quella, che a molte altre poleis
risultava essere inammissibile e inconcepibile (Xen.,
Hell. V 2,12; Isoc. XIV 8), di concedere agli
stranieri la cittadinanza, anche se questi non
avessero avuto meriti particolari (Xen., Hell.
V 2,12; Isoc. XIV 8). Ciò infastidiva i Greci,
lasciando perplessi autori, uomini di cultura e
politici dell’epoca che consideravano questo tipo
d’ampliamento demografico una sorta di ‘barbarizzazione’;
sprezzante delle differenze tra cittadini a pieno
diritto e meteci, greci di madrepatria o indigeni ‘barbari’,
visto il livello di ricchezza, la città era riuscita a
trovare il giusto equilibrio tra città e chora,
tra ceto commercial-artigianale e ceto contadino, tra
coloni e popolazione autoctona.
Per capire questo aspetto è bene rifarsi ancora una
volta alla situazione della regione d’origine dei
sibariti: l'Acaia. Gli achei come dice Polibio “…non
riservano infatti privilegio alcuno ai suoi fondatori,
ma concedendo assoluta parità di diritti a quanti di
mano in mano si associavano, la lega achea ben presto
raggiunse lo scopo prefisso con l’appoggio di due
validissimi alleati, l’uguaglianza e la liberalità” (Pol.
II 38, 8). Questa peculiarità proveniva dalla regione
d’origine dei coloni sibariti ed aveva due scopi uno
di regolazione interna ed uno finalizzato alla
politica estera ed ai rapporti internazionali.
La
forma di dominio che Sibari tendeva a crearsi era un
tipo legato completamente agli accordi che le città
(ed i popoli) stabilivano con essa. “Anticipatrice in
tutto dell’esperienza romana”, appare come la
creatrice di un Impero basato su un’elasticità pratica
di fatto, l’essere padrona e contemporaneamente guida
e riferimento di un’immensa alleanza. Tutto ciò appare
estremamente chiaro dall’epigrafe di Olimpia in cui “i
Sibariti ed i loro alleati (summachoi)”
ed i Serdaioi, popolazione ancora da identificare,
appaiono come firmatari dell’accordo.
Tavoletta bronzea rinvenuta ad Olimpia riguardante il
trattato tra Sibari e i Serdaioi e Poseidonia come
garante. (J.-L.
Lambole,yLes
Grecs d'Occident,
p. 143))
Nel tentativo di rispondere ad una delle molte domande
che implicitamente pone questa epigrafe, scontato è
venuto l’accostamento ad un passo di Strabone, in cui
l’autore dice che Sibari aveva il dominio su 4 etnie e
25 città (Strab. VI 1, 13, 263C). Oltre
all’inserimento dei Serdaioi nell’ordine dei 4 popoli
assoggettati o alleati, gli studiosi hanno tentato
anche l’identificazione delle città, i più si sono
rifatti ai celebri frammenti di Ecateo di Mileto (Ecat.,
FGrHist 1 FF 64-71), riportati in Stefano di
Bisanzio, in cui sono enumerate alcuni pagi
dell’Enotria (tra gli altri di cui alcuni
identificati: Arinthe, Artemision,
Erimon, Ixias, Menekine, Kossa,
Kyterion, Melanios, Ninaia,
Syberene), che si suppone egli conoscesse bene
visti i rapporti tra le due città. Questa sorta di
Impero, riconosciuto da tutti gli storici come
un’entità federalista aveva un’estensione
approssimativa che andava dalla foce del Sele in
Campania a quella del Sinni in Basilicata fino,
all’incirca, all’istmo scilletico-ipponiate in
Calabria.
Con il controllo delle vie di attraverso le grandi
valli dell’Agri, del Sinni, del Sele, degli istmi e
dei porti in posizione maggiormente favorevole sulle
coste ionica e tirrenica, Sibari rappresentava
l’anello di congiungimento tra l’Asia Minore (Mileto)
e l’Italia Tirrenica (Etruschi) di cui non mancano
dati e testimonianze in questo senso.
Era necessario dunque che, per poter sostenere un
volume così alto di traffici, la città italiota si
dotasse di una moneta propria che, pur essendo
estremamente semplice nella tipologia, è decisamente
numerosa presentando al dritto un toro retrospicente
rivolto destra e al rovescio l’incuso del dritto con
l’iscrizione posta quasi sempre al dritto è sempre
[MV] con un sistema ponderale basato sul piede
acheo-corinzio. E non è un caso che la prima
attestazione monetaria si ha nel tesoretto di Sambiase
(CZ) che comprendeva una barretta di argento, 56
stateri sibariti (Classe A) e 2 corinzie (I periodo
Ravel); le monete di Corinto, datate in un periodo
compreso tra il 570/560 e il 515 a.C. e visto l’ottimo
stato di conservazione, inquadrabili intorno al 540
a.C., si può ipotizzare la data del seppellimento
intorno al 520 a.C. Questo rappresenta attualmente il
dato più attendibile per la localizzazione cronologica
della nascita della monetazione sibarita; tuttavia
tutte queste considerazioni si basano su ipotesi e
calcoli assolutamente arbitrari... Le coniazioni che
seguirono furono del tutto regolari, solo nell’ultimo
periodo di vita della città si vedono delle variazioni
nell’etnico e raramente la comparsa della scritta NIKA,
riferibile probabilmente al periodo degli scontri con
Crotone.
La
presenza di un etnico diverso sul tipo del toro
retrospicente, indica chiaramente che
l’organizzazione, benché di tipo federale, fosse
totalmente sottoposta alla giurisdizione e al
controllo sibarita, che rappresentava la guida
politica. Dopotutto, che Sibari detenesse un tipo di
potere realmente federale e che avesse fondato o
capeggiasse addirittura una sorta di lega o
confederazione con tutte le città che andavano da
Reggio a Taranto fino a Poseidonia è intuibile e
presumibile dalla adozione del sistema di coniazione
incuso (negativo) da parte di tutte le città italiote.
Attualmente la nascita delle prime monetazioni
costituisce l’elemento d’aggancio con l’ipotesi della
nascita di una sorta di Lega grazie al simbolismo
monetale riverso ad incuso, che unisce le poleis
italiote: Sibari e Metaponto per prime batterono
moneta intorno al 550 a.C., di seguito, con uno scarto
di un ventennio, e con una certa contemporaneità,
tutte le altre.
Da
questo tipo di datazione e dalla presenza di emissioni
monetali ‘miste’ si è avvertito chiaramente un sistema
di alleanze che concesse a Sibari la centralità e la
leadership sulle altre. In base all’epigrafe di
Olimpia dei Serdaioi, il passo di Strabone
sembra voglia significare che le città all’interno
dell’impero “…avevano conservato una autonoma identità
politica a differenza di coloro che erano stati
inglobati nella compagine cittadina".
La
stabilità della confederazione doveva essere mantenuta
con una specie di procedura dove sistematicamente
l’elemento più pericoloso o anche più ricco, veniva
eliminato, come accadde per la città di Siri. Il
settore terreno del Golfo di Taranto, compreso tra
quest'ulitma e Sibari ha sempre costituito un
importante punto di “contatto” in grado di richiamare
nella zona l’attenzione di popoli diversi. Dopotutto
i Sibariti avevano invitato gli Achei a fondare una
colonia (Metaponto) nella Siritide e che se l’avessero
fatto “si sarebbero spartiti quella regione” (Anth.
FrgHist 555 F12) con il palese obbiettivo di
contenere la potenza della dorica Taranto, da una
parte, e della ionica Siri, dall’altra. La sua
distruzione, avvenuta intorno al 575 a.C. con efferata
violenza, tra cui il sacrilegio del Palladio a cui si
rivolsero le sacerdotesse violentate e uccise, che al
pari di quello che era accaduto sulla rocca di Ilio,
portò alle città vincitrici enormi sventure, fu
impresa comune di Metapontini, Crotoniati e Sibariti
(Just. XX 2, 3), ignorando quest’ultimi che tale sorte
sarebbe capitata pochi anni dopo anche a loro in una
specie di ‘effetto domino’.
Questo ‘effetto’, che si delinea all’orizzonte, sarà
quello determinato da una serie di cause dovuta ad un
aumento della latente rivalità tra le città e che
sfocerà lentamente ma inesorabilmente in aperto
contrasto e poi in guerra con Crotone. Questo scontro
è dovuto ad una serie di concause socio-religiose che
apparivano già chiare agli autori antichi. Una serie
di scempi avrebbero scatenato l’ira divina e condotto
alla totale cancellazione della città, tra cui la
cacciata dei Trezeni, nucleo fondamentale della prima
colonizzazione sibarita (Aristot., Pol. V 3,
1303 a), il massacro dei trenta ambasciatori mandati
da Crotone per scongiurare la guerra (Filarco
FGrHist 81 F 45 apud Athen. XII 521e) dopo
l’episodio di Telys e le profanazioni
dell’altare di Hera (Plut., de sera num.
vind. 12 = mor. 557 c.; Aelian., v.h. III
43. Heracl. Pont. fr.49 WEHRLI apud Athen. XII 521 f).
Lo scontro Sibari – Crotone è, nelle direttive, lo
scontro democrazia – aristocrazia dove l’immagine
democratica di Telys è degenerata in quella di un
demagogo e che difatto si ribalta (Diod. XII 9,
2-6;10,1).
In
realtà le cause sono da ritrovarsi nell’aumento di una
serie di tensioni: l’acquisizione totale del
territorio di Siri dopo la sua distruzione, da cui
solo Sibari e forse Metaponto ne ottennero dei
vantaggi, con la conseguente monopolizzazione dei
traffici e la normale compressione di Crotone verso
sud, che porta quest’ultima ad una politica
espansionistica repressa e verso una frustrante
guerra, persa, contro Locri nella Battaglia della
Sagra tra il 560 e il 530 a.C., con un conseguente
ridimensionamento dei suoi progetti ed una limitazione
della città lacinia nei confronti del monopolio
sibarita.
Inoltre si consideri, da una parte, la palpabile
gelosia di città ancora legate ad una economia
agricola e pastorale nei confronti di una rivale che,
emulando Corinto, anticipando Atene e affiancandosi a
Mileto aveva istituito un’arte commerciale di ampio
respiro, alimentando gli scambi e costituendosi
tramite unico tra Anatolia e Etruria. Gelosia che si
materializza con l’accusa ai Sibariti di indossare
vesti milesie (o di lana milesia o mantelli isomilesi),
vietata dalle leggi di Zaleuco, il più saggio dei
legislatori della Grecia d’Occidente (Timeo
FGrHist 566 F 50, 1-4 apud Athen. XII, 519 B. Diod.
XII 21,1). Dall’altra una forma speculare di invidia
dei sibariti.
L’enorme ricchezza e la seguente fama di cui goderono
le città achee d’Italia, portò autori come Erodoto a
parlare della enorme ricchezza di Sibari proprio nel
periodo riportato (Hdt. VI 127, 1): questa ricchezza
difficilmente riconoscibile nel termine ‘benessere’
non era modesta ma piena di sé tanto da condurre
Sibari incapace di raggiungere il livello agonistico
dei crotoniati a materializzare la sua invidia con
l’istituzione, vista la passione per i giochi
agonistici, di vere e proprie Olimpiadi ‘private’, per
evitare appositamente il confronto con i Crotoniati,
vincitori praticamente perenni ed incontrastati dei
giochi olimpici per tutto il VI secolo. L’istituzione
di Olimpiadi proprie in realtà aveva già sconcertato
gli autori antichi: prima di tutto poichè Crotone
seguì a sua volta l’esempio sibarita che avrebbe
portato le due poleis italiote ad una sorta di
occlusione culturale e poi perché, quella che viene
definita come valorizzazione della propria tradizione
atletica, era basata non sulla vittoria ‘onoraria’ o
sulla corona simbolica, come ad Olimpia, ma sul
ploutos e i chremata degli agoni epici (Tim.
Fr. 45; Heracl. Pont. fr.49 WEHRLI apud Athen. XII
522; Timeo FGrHist 566 F45). Questo episodio ha
chiaramente contribuito nell’immaginario collettivo
alla condanna definitiva di tipo etico-sociale che si
ritrova sotto l’accusa di tryphé smodata dei
suoi abitanti contro la quale viene teso il dito (Timeo
fr. 51 Jac.; Aristot. Fr. 584 R; Strab. VI 1,13,263
c), che porta alla hybris ed alla rovina della
città stessa (Just. XX 4, 5; Jam., v.p., 171)
si lega quella economico-commerciale da cui
naturalmente è generata, a cui si affianca la nozione
ad essa collegata, dell’ampliamento della cittadinanza
agli stranieri.
Il
rapporto hybris-società ci aiuta notevolmente
sotto il profilo storico-ricostruttivo: l’accostamento
tra i popoli che erano legati alla tryphé era
evidente e correva parallelamente alla evidenza del
loro potere, che si identificava in una sorta di
grande “monopolio del commercio” che aveva come punti
di partenza e di arrivo dei vettori di commercio,
Mileto, Sibari e gli Etruschi (Timeo FGrHist
566 F 50. Diod VIII 18,1). Anche se questo tipo di
rapporto dovrebbe essere approfondito meglio da
testimonianze di tipo archeologico.
Vedi
anche:
LA FINE DI SIBARI
-
Problemi storico-cronologici. Parte II |