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N. 13 - Giugno 2006

EVGENIJ IVANOVIC ZAMJATIN

Il romanzo Noi

di Stefano De Luca

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L’autore della presente lettera, condannato alla massima pena, si appella a Voi per commutargli tale pena. […] Per me come scrittore, essere privato della possibilità di scrivere equivale ad una condanna a morte”.

 

Con queste parole  si apre la lettera scritta nel giugno del 1931 da Evgenij Ivanovič Zamjatin a Stalin, nella quale lo scrittore chiede, come pena, di poter lasciare la Russia in quanto dal 1922, anno in cui gli fu vietata la pubblicazione del suo romanzo Noi, ogni altra opera da lui scritta subiva lo stesso trattamento.

 

Questo era, per lui in quanto scrittore, l’equivalente di una condanna a morte. Molti, negli anni successivi, avrebbero attraversato situazioni analoghe.

 

Ma Zamjatin è importante perché dimostra emblematicamente, ancor prima della nascita ufficiale del realismo socialista, le tendenze ‘autocratiche’ del PC nel campo culturale.

 

Zamjatin aveva partecipato alla rivoluzione del 1905, poi si era dedicato allo studio dell’ingegneria. Allo scoppio della rivoluzione del 1917 si trovava in Inghilterra, dove lavorava alla costruzione di una nave rompighiaccio.

 

Gli eventi lo spinsero a tornare in patria, ed analogamente al suo amico Gor’kij rimase deluso dalla nuova realtà che si trovava di fronte, ma diversamente da questi non tornò mai indietro sui suoi passi.

 

Pubblicato in Inghilterra nel 1924, e in Francia nel 1928, Noi sarà fonte di ispirazione per il romanzo 1984 di George Orwell e, verosimilmente, anche per quello di Alodous Huxley, Il mondo nuovo.

 

L'opera di Zamjatin è un'aperta denuncia, tramite la metafora fantascientifica, della soppressione della libertà di pensare e di immaginare dell'essere umano e della conseguente sua riduzione a numero.

 

La vedova dello scrittore sostiene che “sotto l’influsso degli avvenimenti il romanzo divenne una protesta, una satira contro l’asservimento della libertà della personalità”.

 

Ed infatti sembra evidente come lo ‘Stato Unico’ descritto nel romanzo altro non sia che la satira dell’Unione Sovietica, così come la figura del ‘Benefattore’ (figura priva di umanità) quella di Lenin.

 

L’elemento più significativo dell’opera è l’aver colto come l’uomo, all’interno del nuovo regime, fosse considerato non un’individualità libera di esprimersi, ma un mero numero (tanto che il protagonista del romanzo si chiama D-503, e la donna di cui si innamora I-330) che sommato agli altri dava l’esatta dimensione dello ‘Stato Unico’.

 

Questo considerare gli uomini come numeri fa tornare alla mente la tematica blokiana del gregge, il cui valore non è dato dalla qualità degli elementi che lo compongono, bensì dalla quantità degli stessi, disconoscendo quindi la rilevanza delle facoltà individuali.

 

Zamjatin, grazie all’originale circostanza che Gor’kij fosse in quel momento contemporaneamente amico tanto suo che di Stalin, ottenne il permesso di lasciare la Russia. Morirà a Parigi, nel 1937.

 

Per vedere pubblicata la sua opera in russo, bisognerà attendere sino all’estate del 2003, oltre dieci anni dopo il crollo dell’URSS.

 

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Riferimenti bibliografici:

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Evgenij Ivanovič Zamjatin, Noi, Milano, Feltrinelli, 1963

Dragosei Fabrizio, Anche il Grande Fratello aveva un Padre, Corriere della Sera, 12 agosto 2003

www.digilander.libero.it/teatrodinessuno/zamjatin.htm

 



 

 

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