N. 23 - Aprile 2007
LA WEHRMACHT E IL NAZISMO
I rapporti tra corpo-ufficiali tedesco e
gerarchie nazionalsocialiste
di
Ferdinando Angeletti
La
Wehrmacht che, era sopravvissuta alla Grande Guerra,
seppur ridimensionata sia quantitativamente che
qualitativamente, era stata concepita come un
organismo apolitico che dovesse incarnare lo spirito
tedesco e rappresentare tutte le antiche tradizioni,
spazzate via dalla guerra, per seguire quella che
veniva comunemente definita Deutscher Weg (via
tedesca).
Questa era la filosofia di pensiero del primo
comandante in capo della Reichswehr (Esercito
del Reich: si tratta della denominazione ufficiale
dell’esercito tedesco tra il 1919 ed il 1935), il
Generaloberst Hans Von Seeckt, il quale, avendo
seguito da vicino i vari putsch comunisti e
nazionalisti, cui avevano preso parte anche ufficiali
e soldati, aveva compreso come, se si voleva impedire
il ripetere di simili avvenimenti, si doveva agire
alla base, secondo un principio che potrebbe essere
definito di “indottrinamento al non indottrinamento”.
Si
voleva cercare cioè di impedire ai militari di fare
politica e quindi di rimanere indottrinati da essa.
Per
questo la Costituzione della Repubblica di Weimar
vietava ad un militare in servizio di partecipare alla
vita politica: gli era quindi vietato presentarsi alle
elezioni e di conseguenza essere eletto, ed
addirittura gli ufficiali non potevano partecipare ad
incontri di natura politica.
Inoltre una clausola particolare della stessa
Costituzione vietava ai militari di entrare nel
governo a qualsiasi titolo.
Si
trattava di un colpo fortissimo al militarismo ed al
prestigio delle forze armate; da secoli, infatti, il
ministero della guerra era appannaggio di alti
ufficiali; d’altra parte, in quel momento particolare,
era anche un chiaro messaggio alla conferenza
interalleata sul disarmo: mostrava, infatti, come la
Germania non avesse più velleità espansionistiche e
non potesse essere nuovamente controllata da una
cricca di ufficiali oltranzisti e guerrafondai come si
credeva fosse successo nel 1914.
La
situazione rimase più o meno immutata fino alla fine
degli anni venti.
Con
l’elezione a Reichprasident del Generalfeldmarschall
Paul Von Beneckerdorff und Von Hindenburg nel 1926, le
forze armate videro in lui l’espressione migliore di
quello spirito tedesco che essi volevano e dovevano
rappresentare: si era ora sicuri che la Deutscher Weg
sarebbe stata pedissequamente seguita.
È a
partire dal 1929, con l’avanzare delle forze
estremistiche di destra, i cui interessi collimavano
parzialmente con quelli di gran parte del corpo
ufficiali tedesco, che questa posizione super partes
venne pian piano scemando.
Ne è
un tipico caso il processo del 1930 a tre tenenti
della Reichswehr, Schweringer, Ludin e Wendt, accusati
di diffondere il nazismo nell’esercito; durante il
processo il tenente Schweringer fu difeso dal suo
comandante, l’Oberst Beck; certamente quest’ultimo era
tenuto a difendere un ufficiale al suo comando, ma lo
fece con una foga inaspettata per un uomo che, come
vedremo, sarà uno dei principali avversari del
nazionalsocialismo.
Altro
segnale che i tempi stavano cambiando fu la nomina del
generale Kurt Von Schleicher a ministro della Difesa;
se certamente egli aveva dato ufficialmente le
dimissioni dalle forze armate, era in ogni modo un
militare divenuto molto influente anche a livello
politico (era stato lui a far cadere il governo
Bruning dopo una consultazione con Von Hindenburg nel
1930) tanto da riuscire a divenire, il 2 dicembre
1932, anche Reichskanzler.
In
ogni caso ancora non si era giunti al punto di rottura
con il passato: Von Schleicher era considerato come un
ufficiale che aveva tradito la causa dell’esercito per
darsi alle insidie della politica, un’eccezione che
confermava la regola, insomma.
Il
punto di svolta nelle relazioni tra le forze armate ed
il mondo politico si ebbe con l’avvento al potere del
nazionalsocialismo.
Il 30
gennaio 1933 il Reichprasident Von Hindenburg nominò
Adolf Hitler cancelliere ponendo come condizioni sine
qua non la nomina di Franz Von Papen (conservatore ed
ex- cancelliere) come suo vice e quella del General
der Infanterie Werner Von Blomberg al ministero della
Difesa: lo stesso presidente aveva violato la
Costituzione con un decreto speciale ma a nessuno
venne in mente di ricordarglielo e così, dopo anni, un
militare tornava a dirigere la Bendlerstrasse (la via
dove si trovava il ministero della difesa).
Fu
con la nomina di Von Blomberg a ministro che le forze
armate rientrarono a pieno contatto con la politica e
quest’ultima, in quel frangente, si chiamava Hitler e
nazionalsocialismo.
Il
rapporto tra Hitler e le forze armate fu un rapporto
di mutuo aiuto: tanto Hitler aveva bisogno
dell’esercito, tanto l’esercito aveva bisogno di
Hitler.
L’esercito aveva due obiettivi fondamentali: il primo
era sopravvivere: con l’avvento di formazioni
paramilitari, quali le SA, che non volevano cooperare
con l’esercito ma prenderne il posto, le forze armate
si sentirono in pericolo di vita.
In
secondo luogo esse aspiravano fortemente a recuperare
quel ruolo vitale che avevano avuto prima della Grande
Guerra e che era stato ridimensionato con la
sconfitta.
Hitler era disposto a consentire ciò, in quanto
necessitava delle forze armate in vista dei suoi
futuri piani bellici.
Inizialmente i rapporti tra il Cancelliere e le Forze
Armate furono abbastanza freddi: c’erano sì degli alti
ufficiali favorevoli al nazismo (Werner Von Blomberg –
Walther Von Reichenau), ma essi non rappresentavano
che una piccola percentuale del corpo ufficiali.
La
maggior parte dell’Offizierkorps, infatti, voleva sì
un ampliamento delle forze armate, come predicava
Hitler, ma si opponeva fermamente alla trasformazione
dell’esercito in una milizia del partito
nazionalsocialista come si pensava egli desiderasse.
Il
conatus all’autoconservazione fu però più forte di
qualsiasi analisi razionale della situazione. Quest’ultima
si era fatta assai grave per le forze armate e la
Reichswehr in particolare; la milizia del partito
nazista, la Sturmabteilung (SA) cercava di
intromettersi nel suo ruolo di difesa dello stato, il
Reichprasident Von Hindenburg era vicino alla morte, e
con lui se ne sarebbe andata l’ultima bandiera
dell’antico spirito prussiano, spirito che ancora
sopravviveva in moltissimi ufficiali tedeschi.
Si
sapeva che le forze armate avrebbero avuto voce in
capitolo per la “successione”, ed Hitler, per
raggiungere il potere supremo, aveva bisogno del loro
supporto.
Un
matrimonio di interesse, che fu definitivamente
consumato il 10 aprile 1934 a bordo della corazzata
tascabile Deutschland.
Hitler mantenne le sue promesse e così nella Wehrmacht
riprese e si intensificò la nazificazione.
Già
il 1 luglio dello stesso anno, il giorno dopo
l’eliminazione dei comandanti della Sturmabteilung,
una circolare del Wehrmachtamt (il gabinetto del
ministro della difesa), obbligava soldati ed ufficiali
ad apporre l’aquila e la svastica sia su berretti che
sulle uniformi.
Quando poi, il 2 agosto, il Reichprasident Von
Hindenburg morì, Hitler, supportato dalle forze
armate, prese il suo posto.
La
notizia del decesso dell’anziano Generalfeldmarschall
si diffuse verso le 9; già alle 9.30 (passata appena
mezz’ora) nelle caserme gli ufficiali e la truppa, con
il braccio teso, iniziarono a leggere il nuovo
giuramento elaborato dal generale Von Blomberg:
“Faccio
davanti a Dio sacro giuramento di assoluta obbedienza
al capo del Reich e del popolo tedesco Adolf Hitler,
capo supremo della Wehrmacht. Giuro di comportarmi da
bravo soldato e di essere sempre pronto a sacrificare
la vita piuttosto che infrangere questo giuramento”(da
notare che il giuramento delle SS era molto simile,
quasi identico).
Superato il pericolo della sua dissoluzione, la
Wehrmacht, ed in special modo la maggior parte degli
alti ufficiali dovette subito affrontare un più ostico
e soprattutto temibile avversario: il Fuhrer.
Già
da tempo infatti, Hitler aveva mostrato l’intenzione
di espandere il territorio tedesco, soprattutto verso
Oriente, al fine di conquistare il cosiddetto
Lebensraum, o spazio vitale, necessario per lo
sviluppo economico della Germania, sviluppo
attualmente fermo ma che le commesse statali avrebbero
potuto sostenere, a detta dei consiglieri economici di
Hitler, non oltre il 1939.
A tal
fine la Germania avrebbe dovuto inizialmente riunire
tutta la popolazione di lingua e cultura tedesca
presente negli stati limitrofi: in primis l’Austria,
poi la Cecoslovacchia e, infine la Polonia.
Si
trattava di una specie di rivisitazione del
pangermanesimo, visto però in chiave razziale e non
culturale, con la riunione di tutti gli appartenenti
ad una razza superiore, quella ariana (sulla scia
delle teorie ariosofiche e teosofiche diffuse da Jorg
Lanz Von Liebenfels e Guido Von List nei primi decenni
del secolo).
In
particolare gli ultimi due paesi (Cecoslovacchia e
Polonia), erano sotto la protezione anglo – francese,
ribadita con dei trattati difensivi nei primi anni
trenta.
Ogni
volta che Hitler profilava ai suoi generali un attacco
contro un paese o regione limitrofa (Renania, Austria,
Cecoslovacchia), questi ultimi immediatamente venivano
presi dal grande terrore che le potenze europee,
Francia e Gran Bretagna in testa, si decidessero a
dichiarare guerra alla Germania, guerra che si sarebbe
risolta, a loro giudizio, con una sconfitta peggiore
di quella del 1918.
Nonostante l’eventuale schiacciante superiorità
militare, sia quantitativa che qualitativa, i governi
europei, pronti a sacrificare l’indipendenza di
piccoli paesi (sebbene sotto loro protezione) in nome
della “pace”, si comportarono diversamente da come
credeva l’alto comando delle forze armate
(specialmente dell’esercito), lasciando mano libera al
Fuhrer.
Queste dure frizioni ebbero però un effetto positivo:
contribuirono, infatti alla formazione di un gruppo di
ufficiali consci dei pericoli che Hitler ed il nazismo
avrebbero causato alla Germania.
Figure di spicco di questo gruppo furono il comandante
in capo dell’esercito, Generaloberst Werner Von
Fritsch, il suo capo di stato maggiore, Generaloberst
Ludwig Beck ed altri alti ufficiali, quali Von
Stulpnagel, Von Witzleben e, successivamente, Speidel.
Già
nel 1938, durante la cosiddetta Crisi dei Sudeti, si
era iniziato a preparare il progetto di un “colpo di
stato”, elaborato dal Generale Beck, il quale
prevedeva le dimissioni contemporanee di tutti i
comandanti delle maggiori unità; questo progetto,
però, rimase solamente sulla carta.
Una
delle motivazioni che portò al fallimento di questo
tentativo così come tutti quelli progettati più
avanti, stava nel frazionamento dei gruppi di
opposizione al nazismo ed al Fuhrer.
Vi
sono due suddivisioni da fare: infatti alcuni
ufficiali, come il già citato Beck, vedevano il
principale nemico nei guerrafondai ed oppositori
dell’esercito all’interno delle SS e del SD, ossia
nella cosiddetta “cricca” di Himmler e Heydrich.
I più
“realisti” guidati dal Generalleutnant Von Stulpnagel
e dal General der Infanterie Von Witzleben, avevano
già compreso come il principale nemico da “abbattere”
fosse proprio quel Fuhrer cui avevano giurato
obbedienza.
Altra
differenziazione all’interno dei congiurati era il
trattamento da riservare ad Hitler ed ai gerarchi
nazisti.
Il
suddetto Von Stulpnagel guidava quel gruppo di
ufficiali che potrebbero essere rappresentare l’ala
moderata del movimento. Essi prevedevano solamente un
incarceramento preventivo ed un regolare processo
davanti ad una corte di giustizia imparziale per tutti
i gerarchi.
Il
gruppo più estremista, guidato dal tenente Oster,
voleva invece l’eliminazione fisica di tutta la classe
dirigente nazista, a cominciare da Hitler e a finire
con Himmler, Heydrich e Goring.
Tutte
queste divisioni portarono ad uno stallo dei progetti
di congiura, stallo che si rivelerà fatale per la sua
prima fase.
Infatti, la Conferenza di Monaco, che diede ad Hitler
mano libera nei Sudeti, tolse ogni giustificazione ad
un eventuale colpo di mano e tutti i preparativi
compiuti – allerta della divisione Potsdam comandata
dal Generalmajor Von Brockdorff – Ahlefeldt,
costituzione di un commando addetto all’arresto (o
uccisione?) di Hitler, Hess e dei principali
collaboratori del Fuhrer – furono interrotti.
Dal
1938 al 1941 nessun tentativo o progetto fu preparato.
La motivazione è molto semplice: giunto all’apice del
successo, con la maggior parte dell’Europa in suo
(diretto o indiretto) potere, Hitler godeva del
prestigio dell’opinione pubblica e della quasi
totalità dell’Offizierkorps, illuso dalle facili
vittorie, dalle facili promozioni, e da quell’aura di
invincibilità che sembrava circondare le forze armate
al loro comando.
È
però con l’Operazione Barbarossa che le trame di una
congiura poterono ricominciare.
Si
formarono due principali focolai di insurrezione: uno
a Berlino, nel cosiddetto Mittwochgesellschaft (club
del mercoledì), formato dal più volte nominato Beck,
ormai in congedo, e da altri personaggi del mondo
militare ed economico, quali Schacht e Gordeler; il
secondo gruppo si formò a Parigi, dove in un sol colpo
si trovarono riuniti tre dei principali oppositori al
regime quali Von Stulpnagel (ora governatore militare
della Francia), Von Witzleben, ormai feldmaresciallo e
comandante del gruppo di armate D, e il generale Oster,
comandante dell’Abwehr (il servizio segreto militare)
in Francia. Proprio nell’Abwehr si concentrava la
maggior parte dei cospiratori.
Moltissimi alti ufficiali tedeschi, comunque, erano
già giunti alla conclusione che la guerra non sarebbe
mai stata vinta, specialmente dopo la sconfitta di
Stalingrado, e che quindi fosse necessaria una pace,
almeno con gli Alleati occidentali. Si parla di
personaggi del calibro dei Generalfeldmarschalls
Gunther Von Kluge, Ewald Von Kleist ed Erwin Rommel,
dell’Oberleutnant Hofacker, del Generalmajor Speidel.
La
congiura entrò nel vivo dopo lo sbarco in Normandia
del 6 giugno 1944, quando si riuscì a concludere un
primo progetto.
Questo prevedeva l’ammutinamento delle truppe del
fronte occidentale al comando del Generalfeldmarschall
Rommel e del neopromosso Generalleutnant Speidel, che
avrebbero dovuto marciare verso est, dopo aver
negoziato un armistizio con gli Alleati occidentali;
intanto a Berlino, anzi a Rastenburg, nella
Wolfschanze (il quartier generale del Fuhrer) il
colonnello Von Stauffenberg, Chef der Heeresrustung
(Capo del reparto armamenti dell’esercito), doveva
mettere una bomba che avrebbe dovuto uccidere il
Fuhrer.
La
situazione successiva era stata così pianificata: Beck
sarebbe divenuto il presidente della nuova Germania,
Von Witzleben sarebbe stato comandante delle forze
armate, Von Stulpnagel comandante dell’esercito e
Schacht, ex – presidente della Reichsbank, ministro
delle Finanze. Il nuovo governo avrebbe immediatamente
firmato la pace con gli Alleati occidentali e avrebbe
abbandonato i territori occupati ad “ovest”, quindi
Francia, Belgio, Olanda, Italia, Norvegia e Danimarca.
Successivamente le truppe schierate in tali paesi
sarebbero state utilizzate contro i sovietici in una
specie di crociata antibolscevica cui, forse, si
sarebbero uniti anche gli Alleati occidentali.
Difatti la maggioranza degli ufficiali che guidavano
la congiura erano fortemente anticomunisti, e quindi
intendevano continuare la guerra ad est, probabilmente
sperando ancora in quel Lebensraum che Hitler aveva
vagheggiato e ritenuto come vitale per le sorti della
Germania.
Così
il 20 Luglio 1944 il colonnello Von Stauffenberg fece
esplodere una bomba nel quartier generale di
Rastenburg.
Il
Fuhrer rimase illeso, mentre altri alti ufficiali
presenti rimasero uccisi, come ad esempio il
Generaloberst Günther Korten, il General der
Nachrichtentruppe Erich Fellgiebel, il General der
Infanterie Rudolf Schmundt, il Generalmajor Hellmuth
Stieff, l’Oberst Freiherr von Renne, mentre anche
altri ufficiali vennero feriti, come il General der
Artillerie Walter Warlimont e il suo parigrado Alfred
Jodl, uno dei più alti ufficiali della Wehrmacht.
L’esito negativo della congiura portò ad un’epurazione
nell’Offizierkorps, con tre Feldmarescialli uccisi dal
regime, siano essi giustiziati (Von Witzleben),
suicidi (Gunther Von Kluge), o “suicidati” (Erwin
Rommel), e moltissime altre condanne a morte (Oster,
Hofacker) o imprigionamenti (Speidel).
L’unica vera occasione di fermare il nazismo era così
fallita, non riuscendo ad evitare non solo l’invasione
della Germania, che si sarebbe conclusa nella
primavera seguente, ma anche lo sterminio di milioni
di ebrei, uccisi nelle camere a gas dei campi di
concentramento a ritmo ancor più sostenuto dei primi
anni di guerra.
Concludendo un giudizio complessivo sui rapporti tra
le forze armate tedesche ed il nazismo è difficile da
fare.
Si
potrebbe dividere questo rapporto in tre periodi che
andrebbero, con un solo aggettivo, così definiti:
Illusione, Disillusione e Tragedia finale.
Le
forze armate tedesche della II guerra mondiale vengono
spesso viste come il braccio armato della pazzia di
Hitler, ma, dopo quanto mostrato, sarebbe più adatto
considerarle una vittima del regime, in quanto
affascinate da miraggi di importanza e sviluppo,
proprio come tutto il popolo tedesco, che era a sua
volta allettato dal sogno di uno sviluppo economico
che Hitler ed il nazismo gli avevano prospettato.
In
conclusione, analizzando gli atteggiamenti della
Wehrmacht nei confronti del regime, non è possibile
rintracciare una posizione unitaria. Innanzitutto
bisogna distinguere tra Heer, Luftwaffe e Kriegsmarine.
Infatti, secondo un noto detto diffuso tra le forze
armate e nei corridoi dei ministeri, l’esercito
sarebbe stato fondamentalmente “repubblicano”, la
marina nell’animo si sarebbe sentita ancora
“imperiale”, mentre la neonata Luftwaffe sarebbe stata
“nazista”.
Ora,
a parte l’ovvia generalizzazione del fenomeno che non
risponde a realtà, è però doveroso concentrare la
propria attenzione sull’esercito.
All’interno dell’Offizierkorps, infatti, andrebbero
distinte tre principali correnti:
1. Gli
ufficiali di provata fede nazista
2. Gli
ufficiali dichiaratamente antinazisti
3. La
restante parte dell’Offizierkorps
Per
quanto riguarda il primo gruppo si tratta di una serie
di ufficiali, che mostrarono interamente la loro
fedeltà al regime, tanto da essere considerati,
appunto, nazisti. Spesso ricoprivano delle importanti
cariche per questo loro atteggiamento.
Tra
gli ufficiali riconducibili a questo gruppo ricordiamo
il Generalfeldmarschall Werner Von Blomberg, ministro
della guerra, il suo parigrado Wilhelm Keitel, il
generaloberst Alfred Jodl oltre a vari altri generali
(Warlimont, Schmundt, Dollmann).
Si è
spesso affermato che l’esercito tedesco fu al completo
servizio del nazismo, così come si è altrettanto
spesso sentito dire che esso contrastò, anche se non
molto abilmente, il regime stesso.
Entrambe le teorie sono fondamentalmente false.
Infatti i generali che apertamente ostacolarono il
regime, proponendosi per colpi di stato (come quello
del 20 luglio), non furono che una sparuta minoranza;
molti di questi sono già stati citati nelle pagine
precedenti.
La
maggior parte dell’Offizierkorps non era per il
nazismo, ma era per la Germania.
È un
concetto forse un po’ strano e difficile da
comprendere, ma si tratta fondamentalmente di questo.
Gli
ufficiali tedeschi avevano fatto un giuramento ad
Hitler non come capo di un regime o di un partito, ma
come legittimo capo di stato: mai sarebbero ritornati
su quel giuramento.
Fu
solamente grazie a quest’ultimo, che si configurava
come la base del rapporto tra lo stato e le sue forze
armate, che si mantennero unite due entità così
diverse ed antagoniste come l’NSDAP (ed Hitler) e la
Wehrmacht.
Se al
posto di Hitler, come capo di stato, ci fosse stato un
qualsiasi altro personaggio politico di una qualsiasi
parte politica, le forze armate avrebbero eseguito gli
ordini impartitegli.
D’altra parte, non bisogna tralasciare di ricordare
alcune idee di fondo comuni ad entrambi e che fecero,
almeno in parte, da collante.
Basti
citare, a riguardo, il desiderio di prestigio
internazionale, dell’annientamento del bolscevismo e
di una grande Germania ricca, sicura e potente. |