N. 31 - Dicembre 2007
VEIO E
ROMA
Uno spaccato di storia
etrusca nel ciclo pittorico animalistico della Tomba
François di Vulci?
di
Antonio Montesanti
Benché la Tomba François al suo interno sia piena di
affreschi con raffigurazioni splendide di uomini e di
gesta, difficilmente chi osserva non sarà attratto dal
più esteso e dettagliato fregio animalistico dell’arte
antica.
Ritengo che sul fregio di Vulci, per il contesto in
cui è rappresentato, per le scene che riporta e per le
immagini in queste sembianze, vi sia molto su cui
riflettere. Come detto (N.B.: per i riferimenti
numerici e per l'identificazione degli animali s.v.:
LA
TOMBA FRANÇOIS. UNA GUIDA, III -
L’affresco del ciclo
animalistico,
le presenze, le movenze, le caratteristiche di una
tale raffigurazione sembrano molto più che peculiari,
per una serie di motivi. Prima di tutto la grande
varietà delle fiere rappresentate negli atteggiamenti,
nella forma e nei colori ognuno particolare per se
stesso. Inoltre se lo si osserva attentamente, come
già sottolineato da molti studiosi, le azioni e le
scene di aggressione delle belve si trovano sempre al
di sopra delle porte di accesso alle camere. Si è
parlato di rappresentazioni che rievocano la vita e la
morte, ma per una tomba come quella François, in cui
per la prima ed ultima volta nella storia etrusca
appaiano soggetti storici, mi sembra riduttivo
riportare un grande fregio di questo tipo solo ad una
questione evocativa di tipo trascendentale.
Quello che sarebbe più giusto fare è provare ad
interpretare ogni singola scena ed ogni singolo
animale in chiave storica considerandoli come elementi
a se stanti come era l’uso di simboli animalistici
nella cultura etrusca, che è giunto fino ai giorni
nostri nell’area tosco-laziale, come elementi araldici
rappresentanti ogni singola città-stato, comune o
principato. In base dunque a semplici ragionamenti ed
all’osservazione di ogni elemento come monade, e
all’unica vera scena che abbia il sapore di stemma
araldico (Felide e Grifo che si contendono la testa di
un bue) si potrà formulare una nuova ipotesi.
La
nascita dell’idea proviene dalla ricerca di una
lettura del fregio in chiave duplice: la
corrispondenza tra il grande pannello inferiore in cui
MARCE CAMITLNAS sopraffae CNEVE TARCUNIAS RUMACH e la
raffigurazione araldica, sopra di esso e sopra la
porta della camera attigua (17). La possibilità,
intravista anche da alcuni studiosi, che il
personaggio che sguaina la spada, e quindi il primo
nome, sia il dittatore di Roma all’alba del V sec. a.C.,
MARCUS FURIUS CAMILLUS, assediante, espugnatore di
Veio e vincitore dei Galli di Brenno, che assale un
non ben identificato CNEUS TARQUINIUS ROMANUS, apre
nuovi orizzonti.
Prima di spingerci avanti nell’ipotesi sarà giusto
fare alcune considerazioni cronologiche. La datazione
della Tomba è fissata, per considerazioni di ordine
stilistico, secondo le formulazioni ufficiali, tra il
340 e il 320 a.C., per ciò che concerne i grandi
pannelli mitico e miticostorici. Anche se ultimamente
sono stati sollevati diversi dubbi che riportano ad un
innalzamento cronologico le varie fasi e le
decorazioni tra cui tale riscontro potrebbe valere
soprattutto per il fregio animalistico per il quale si
potrebbe risalire di almeno un paio di decenni.
La
situazione storica vede il periodo all’interno del
terzo quarto del IV sec. a.C., come tutto il secolo in
questione, la Nazione Etrusca e le sue città compresse
a nord e a sud rispettivamente dai Galli e dai Romani:
i primi s’incuneano ormai ripetutamente e con estrema
facilità all’interno del territorio, spesso
saccheggiando e invadendo le chorai delle
grandi città, la marina siracusana conchiude la flotta
etrusca con continue incursioni sulle coste fino
all’isola d’Elba lasciandole uno solo sbocco nel Mar
Ligure; Roma lentamente ha iniziato l’opera di
assimilazione delle diverse città-stato creando un
embrionale impero e le città che non si “lasciano
inglobare pacificamente” come Caere (Cerveteri)
vengono assediate, distrutte e cancellate, spesso
anche come identità civica (come accadrà a Veii,
Falerii e Volsinii).
La
storia etrusca giunta nelle nostre mani è condizionata
dalla mancanza di una propria annalistica, spesso non
solo è filtrata da quella romana ma, come accade per
il confronto tra i dipinti storici della Tomba
François in relazione al caso di Mastarna, e la
tradizione giunta a noi, è addirittura stravolta. Per
questo motivo è difficile parlare dell'Etruria con una
narrazione differente da quella delle fonti romane. Se
vogliamo individuare una storia etrusca dobbiamo
necessariamente cambiare l’angolatura e la prospettiva
della lettura degli elementi a nostra disposizione.
Per questo sarebbe giusto rivedere in chiave storica
ed etrusca l’intero fregio animalistico, così come è
stato fatto per i grandi pannelli mitico storici da
altri studiosi.
Per
questo, la scena di animali affrontati presente al di
sopra del pannello ha riportato alla mente la
possibilità che l’intero fregio in questione
contempli, araldicamente, la storia delle città
etrusche in quel preciso momento storico, ossia quando
venne dipinto. Ma perché in chiave etrusca?
Se
vogliamo vedere il fregio animanlistico in chiave
storica dobbiamo pensare che si tratti di
trasposizioni che riguardano la situazione di entità,
città e fatti, gravitanti intorno a Vulci stessa, la
quale trovandosi in una posizione centrale va
relazionata con tutte le realtà etrusche compreso il
Fanum Voltumnae. Il Tempio di Voltumno era un
santuario sacro nei pressi di Volsinii dove si teneva
un’assemblea periodica (concilium), animata da
riti religiosi e giochi, delle dodici città sovrane
etrusche, rappresentati dai loro principes,
dove si decidevano le linee da seguire, soprattutto
per quanto riguarda la politica estera e quindi le
azioni militari.
Caso
emblematico di una indipendenza e del senso più ampio
del concetto federalista rimane rifiuto di aiuto a
Veio nella lotta contro Roma (Liv., IV, 24, 25 e 61;
V, 1,17). La guerra tra Veio e Roma, che si voleva
fosse durata 10 anni per similitudine con l’assedio di
Troia, è in realtà molto più lunga componendosi di
almeno due se non tre fasi: la prima (640-617 a.C.) di
tipo mitico nella conquista delle saline da parte di
Anco Marzio e la successiva fondazione di Ostia
Tiberis; una seconda fase (483-479 a.C.), di tipo
annalistico-familiare, della prima metà del V secolo,
in cui la famiglia dei Fabii si propone in una serie
d’incursioni nel territorio veiente che si concludono
nello sterminio di 300 familiari presso il Cremera nel
479 a.C. L’ultima fase (438-396 o 390 a.C.), storica,
scaturisce dall’uccisione degli ambasciatori romani
inviati a Fidene per reclamare contro la rottura di un
antico patto di alleanza.
L’interesse di Roma nasce dal contenzioso per il
possesso di Fidene, che apre prospettive commerciali
verso il cuore dell’Italia con la navigazione del
Tevere (Liv., IV, 17 ss.).
La città falisco-latina
reclama l’aiuto di Veio che a sua volta spinge perché
tutta la lega etrusca, unita in consiglio a Volsinii,
intervenga.
Nell’indecisione generale solo Falerii e Capena si
associano all'avanguardia etrusca contro Roma.
Gli
scontri si aprono con la morte del re veiente durante
le prime schermaglie, Lars Tolumnius, secondo
le fonti romane - Larth Tulumnes già attestato
su epigrafi provenienti dall’area della città etrusca
(cfr. T.L.E. 38) - primo a cadere in battaglia sotto i
colpi del generale romano Aulo Cornelio Cosso che ne
dedica le armi (spolia opima) nel tempio di
Giove Feretrio sul Campidoglio; è il primo sintomo di
una catastrofe annunciata. L’importanza della presenza
di un re consiste nel fatto che Veio, sconvolta da
lotte intestine tra un regime 'repubblicano’ e uno
monarchico, trovò l’opposizione del concilio della
Nazione Etrusca, che si dichiarò contro l’aiuto da
portare ai confederati, per odio alla monarchia, ma
soprattutto "per odio alla persona del re". Dalla
confusione dei dati è comunque possibile estrapolare
l’episodio più devastante per gli etruschi: la caduta
di Fidene nel 427 a.C. costringe Veio a ratificare un
armistizio ventennale.
Nel
406 a.C., con la ripresa delle ostilità, Roma mette
sotto assedio la rivale, che si dimostra inespugnabile
e spesso appoggiata da Capena e Faleria, città
falische, riesce ripetutamente a rompere
l’accerchiamento, fino ad insidiare la stessa Roma. In
questi 20 anni di tregua e i 10 di stallo successivi,
Veio contava di poter coinvolgere l’intera nazione
etrusca che, riunita al Fanum Voltumnae,
dapprima rifiuta, poi prende tempo, condannando alla
sconfitta finale la “più ricca città della nazione
etrusca” (Liv. IV, 58 ss.; V 1-22). Dopo una guerra
decennale, paragonata all’assedio troiano, il
dictator Marco Furio Camillo, espugnerà l’arx
veiente, trasferendo a Roma la statua e il culto di
Giunone Regina: da allora Veio scomparirà come entità
urbana.
La
sua fine non sarà una semplice sconfitta bensì la
totale annichilimento di un'esistenza urbica: il
territorio di Veio verrà annesso all'ager di
Roma e sistematicamente spartito tra le classi romane
meno abbienti in cerca di terre.
Secondo alcuni furono Tarquinia e Volsinii e forse
Chiusi, ad opporsi ad un intervento armato in favore
di Veio, questo perché l’estrema appendice etrusca a
sud avrebbe impedito i rapporti con l’area laziale e
campana. La decisione presa all’interno del sinedrio
di Voltumnae di destabilizzare ‘l’impero
veiente’ in modo che questo ne risultasse indebolito,
non prevedeva certo la ‘cancellazione’ politica e
territoriale di un membro della dodecapoli. Questo
tipo di sottovalutazione del pericolo proveniente da
Roma si produsse una sorta di panico materializzatosi
in una serie di interventi di Tarquiniesi e Volsiniesi
nel lasso temporale che va dall’assedio alla caduta di
Veio (Liv. V 16; 31-32) fino alla decisione della
‘guerra totale’ decretata al Fanum Volsiniense.
Potrebbe essere questo, la situazione in quel momento,
ciò che viene raccontato nello schema araldico sopra,
tra la porta e il grande pannello di Marce Camitlnas:
Veio caduta. Il paragone, già letterario, con la rocca
di Ilio e tra l’inespugnabilità etrusca e quella
troiana, viene ribadito, sia nella forzatura
cronologica della medesima durata, sia
nell’accostamento, riconosciuto grazie ad Erodoto
delle origini microasiatiche dei Tyrsenoi (Hdt.
I 94) che potrebbe condurre ad un ribaltamento delle
teorie, comunemente accettate, secondo cui la Tomba
François sarebbe un documento antiromano.
La
fine dell’entità veiente sembra rispecchiata
nell’immagine araldica della testa mozzata, la testa
dell’Etrutria in pugno ai Romani. Il fregio ben
rappresenta allo stesso tempo la crisi
politico-istituzionale interna che sfocia in una netta
frattura tra gli equilibri federali delle diverse
comunità etrusche e, soprattutto la gravità, la
scomparsa di uno dei 12 populi del sinedrio
tirrenico sotto i colpi di una potenza estera.
L’abbinamento tra gli animali e le città sorge come
detto da accostamenti di tipo araldico, in cui almeno
le realtà la maggior parte delle realtà cittadine
avevano probabilmente da tempo assunto, un simbolo, in
questo caso un animale, che le distinguesse e che ne
facesse vanto e riconoscimento dalle altre. Per questo
non sarà difficile pensare che ogni singola belva
rappresenti una città etrusca e la sua situazione al
momento in cui la tomba venne dipinta.
Se
le fiere rappresentino realmente la situazione in
atto, allora avremmo una città sottomessa e dilaniata
(17 - Veio), altre tre rappresentanti una situazione
di pericolo o di assedio come nel caso dell’asino (7),
del cavallo (12), della gazzella (22) e del sauro
(25): laddove raffigurazioni similari si ritrovano
sulle monete, spesso simbolo e atto costituito e
costitutivo di una unità urbana e territoriale (polis).
Partendo dunque da schemi di importazione greca, e
ancor di più microasiatici, si scorge in questa
situazione un accostamento similare a quello dei primi
"aggregati urbani", dove tra l’altro organizzate in
dodecapoli o esapoli, le città dell’Asia minore si
danno delle monetazioni che riportano al tipo della
città e per questo definite Wappenmünzenm (Monete-stemma).
Rivisitando qualche catalogo di monete etrusche, non
sarà difficile trovare delle similitudini ed in alcuni
casi delle uguaglianze impressionanti col fregio.
Anche in questo modo sarà più verosimilmente
spiegabile p. es. la moneta che rappresenta al
rovescio la testa di un toro o bue di tre quarti e la
scritta (THEZLE), proprio come nella pittura della
tomba, dove questa è sormontata in disposizione
araldica da un grifo alato ed una lince.
Per
esempio Le altre raffigurazioni potrebbero
rappresentare altre città e fatti che stanno accadendo
in quel periodo o che sono accaduti da poco.
La
testa dell’asino o onagro (7), azzannato da due
predatori, sembra essere molto simile alle monete che
riportano la leggenda COZANO, attribuite a Cosa, cttà
etrusca nei pressi di Orbetello, che se ricollegata al
dato storico che questa divenne la prima colonia
romana nell'ager tuscus (273 a.C.), facilmente
si potrà intuirne la condizione di pericolo avvertita
nel fregio.
Il
cinghiale (9) inoltre è presente oltre che in alcune
monete attribuite a Populonia sulla protome inscritta
in un clipeo all’interno della tomba Giglioli di
Tarquinia, animale che ultimamente viene riconosciuto
come il simbolo di quest'ultima città.
Anche il bue (5) è presente in alcune raffigurazioni
monetali, ciò spiegherebbe la presenza di animali
simili tra di loro, ma mai uguali, con il fatto che
alcune città avevano animali simboli come simboli
rappresentativi, vista la compresenza di numerosi
grifoni, vari felidi e due buoi, quello veiente dal
capo mozzato.
Inoltre il primo animale che si vede
(1), in realtà assai rovinato, sopra il pannello con
Sisifo e Anfiarao risulta essere un felino, ma le
ricostruzioni e soprattutto i disegni ci hanno
lasciato testimonianza che si trattava di una sfinge,
che se volessimo utilizzare una simbologia complessa è
la prima e come tale rappresenterebbe, proprio perché
prima nella teoria delle fiere, Vulci. A questa
rappresentazione ben si affianca una moneta
proveniente proprio dall’area vulcente e le cui
sembianze del mostro edipeo sembrano coincidere in
maniera quasi perfetta.
Ancora il leone (8)
assume,
soprattutto in questo periodo, ma per tutta la durata
dell'arte etrusca,
uno
schema che, esportato anche nella Magna Grecia
Tirrenica (Elea), ha una sua dimensione definitiva,
standard, nell'atteggiamento e nei particolari e che
probabilmente è da riferirsi a qualche città di
particolare importanza o particolarmente conosciuta o
visitata, forse al gruppo statuario di cui doveva far
parte Bellerofonte su Pegaso ad Arezzo, di cui rimane
oggi solamente il simbolo a noi più famoso della
scultura etrusca: la chimera. Così appare in una
commistione tra mostro fantastico e belva reale ma
sempre nello stesso modo di porsi, schematizzato, in
fase di difesa e splendido nelle linee sinusoidali in
alcune monete simile alla rappresentazione simbolica
del fregio.
La
situazione, gravissima per gli Etruschi, definita da
eventi storici a nostra conoscenza come la decisone
del sinedrio Volsiniense, in cui si sottolinea la
frattura dei rapporti, è facilmente comprensibile dal
grande pannello di Eteocle e Polinice all’interno
della stessa tomba, in cui si vedono i due fratelli
tebani, figli di Edipo, uccidersi vicendevolmente.
Rottura
dei rapporti interni riscontrabili in altre situazioni
come l'invasione dei Galli in Etruria e a Roma,
quattro anni dopo la presa di Veio, quando il ramo
Senone interviene a Chiusi su richiesta di un su
cittadino che cerca in loro giustizia provocando in
realtà uno sfacelo che giungeva fino a Roma (Diod.,
XIV 113; Liv., V 13 Dion. Halic., XIII, exc. 10-11).
Caere ormai da tempo si era offerta totalmente a Roma,
offrendosi nella circostanza della discesa barbarica
di preservarne sacerdoti, vestali e simulacri divini.
Nel 384 a.C. Dioniso I di Siracusa saccheggia il porto
di Pyrgi. Per questo si potrebbe pensare che le fiere,
canidi o felidi (21, 23), che attaccano una gazzella
(24) nella porzione di fregio al di sopra della porta
che presenta i membri della famiglia Saties,
rappresentino i Galli che pochi decenni prima avevano
assediato Chiusi e devastato i territori d’Etruria.
Una scena simile si vede anche su un'incisione
rupestre nel sito di S.Giuliano, l'antico borgo di
Marturanum.
Dunque dobbiamo rifarci ad eventi di tutto il IV sec.
a.C. se vogliamo provare a leggere il fregio come
identificativo di una situazione in divenire. È
sicuramente una impresa non facile vista la scarsità
di fonti e una incertezza riscontrabile
nell’identificazione dei vari animali con le città.
Ancora
oggi, la tradizione si è prolungata fino a noi e le
antiche città etrusche continuano a mantenere quei
simboli che erano un tempo dei loro avi perpetuando la
tradizione: il cavallo è il simbolo della città di
Arezzo, al pari del grifo di Perugia o del leone alato
di Cortona. Questa tradizione, d’identificazione
cittadina, tipicamente italica, e ancor di più etrusca
si rispecchia in simbologie diacroniche, dove appaiono
belve in maniera continuativa, come se dal periodo
etrusco a quello rinascimentale non vi sia stata mai
alcuna interruzione iconografica, come per il felide
maculato di Lucca o il leone di Firenze come appaiono
insieme all’equide aretino sul pavimento sectile
in pietra nobile all’interno del Duomo di Siena,
sublime riprova d’arte, che ne prolunga e ne
acquisisce la tradizione identificativa delle città
con animali veri e realfantastici.
Ritengo che sia giusto, in base a queste ipotesi,
provare a rivalutare le nuove possibilità che si
aprono sulla lettura del fregio e che a loro volta
spalancano nuovi e più complessi scenari.
Riferimenti bibliografici:
AA.VV., I Galli e l'Italia, catalogo della mostra ,
Roma 1978
AA.VV., Militia perennis. Typologie und Theologie der
Kriege Roms gegen Veji bei T. Livius, 1995
W. Abeken, Mittelitalien vor den Zeiten römischer
Herrschaft; nach seinen Denkmalen dargestellt,
Stuttgart/Tübingen, 1843
R. Bloch, L'art et la civilisation étrusques, Paris,
1955
O. Brendel, Etruscan art, New Haven, 1995
H. Cancik, Antik Modern. Beiträge zur römischen und
deutschen Kulturgeschichte, Stuttgart,
1998
N. Douglas, Birds and Beasts of the Greek Anthology
M. Grant, The Etruscans, London, 1980
D.J. Hamblin,. The Etruscans.The Emergence of Man
Series, New York, 1975
P.J. Holliday, Processional Imagery in Late Etruscan
Funerary Art, AJA 94, 1990
W. Keller, Die Etrusker, Berlin 1974
L. Banti, Etruscan cities and their culture, Berkeley,
1973
D.H. Lawrence, Sketches of Etruscan places and other
Italian essays, Cambridge, 1992
G.
Maetzke, L’arte degli Etruschi, Roma 1970
M.
Pallottino, Etruscologia, Firenze 1955
D. Randall-MacIver, The Etruscans, Oxford, 1927
G. Rasmussen, The Etruscans, London, 1998
E.H. Richardson, The Etrusacan Origin of Early Roman
Sculpture, MAAR XXI, 1953
E.H. Richardson, The Etruscans: Their Art and
Civilization, Chicago, 1964
H.H. Scullard, The Etruscan Cities and Rome, London,
1967
M.
Sordi, I rapporti romano-ceriti e l’origine della
civitas sine suffragio, Roma 1960
N. Spivey and S. Stoddart (1990),
Etruscan Italy: An
Archaeological History (London)
M.
Sprenger – G. Bartoloni, Gli Etruschi. Storia, arte,
architettura, Roma, 1983
D. Strong, The Early Etruscans, London, 1968
S. Von Cles-Reden, .Das Versunkene Folk, 1955
M.Torelli, Gli Etruschi, Milano, 2000
O.W. Von Vacano, Die Etrusker in der Welt der
Antike, Rohwolt, 1960 |