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N. 17 - Ottobre 2006

QUANDO A NAPOLI VALERIJ TARSIS PREVIDE IL CROLLO DELL'URSS

Nel corso di un incontro con i giovani  promosso da Arturo Capasso all’associazione Il Timone

di Antonio Pisanti

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La pubblicazione del libro di Arturo Capasso “Cose antiche e cose nuove”, la costante attenzione dell’autore per gli avvenimenti del nostro tempo e, in particolare,  uno degli articoli raccolti nel libro,  riportano inevitabilmente ad una esperienza indimenticabile che Capasso, non solo scrittore e giornalista, ma, per l’occasione, anche attivista ed animatore culturale, ci fece vivere a Napoli nel lontano 1966, in seno all’Associazione “Il Timone” da me diretta.

 

Eravamo un’associazione di giovani poco più che ventenni, quasi tutti insegnanti, con un folto gruppo di insegnanti-studenti iscritti all’Istituto Universitario Orientale.

 

Molti erano i frequentanti del corso di laurea in lingua russa che, in quanto tali, avevano la possibilità di avvicinarsi direttamente alle vicende dell’Unione sovietica, anche attraverso la lettura di documenti originali, appelli, dattiloscritti clandestini e interviste che la dissidenza anticomunista, associazioni segrete, esuli e profughi riuscivano a far passare al di qua della Cortina di ferro, grazie all’impegno politico-culturale di loro amici e corrispondenti nei paesi del Mondo libero.

 

Arturo Capasso, sin da allora sovietologo e cultore di letteratura russa, aveva rapporti di studio e di ricerca con quei giovani e con la locale intellighenzia più attenta ai fatti e alla presenza della cultura russa nella madre patria e all’estero.

 

In giro per il mondo, da profugo al quale il governo di Mosca aveva tolto la cittadinanza sovietica, c’era Valerij Tarsis, già internato in un ospedale psichiatrico, secondo una procedura diffusamente in voga da tempo a carico della dissidenza anticomunista, e alla ricerca di un paese che lo ospitasse, in attesa di poter ritornare nella sua  Russia.

 

Tarsis si diceva fiducioso in questo ritorno perché era sicuro che il suo paese si sarebbe liberato del giogo comunista in seguito al crollo dell’URSS.

 

Si era lontani dal fatidico 1989,  non c’erano stati ancora la rivolta di Praga  (20 agosto 1968)  e tutti i fermenti che, uscendo eroicamente allo scoperto, avrebbero contribuito ad incrinare l’inattaccabilità del mòloc sovietico.

 

Ma in Russia e nei paesi “satelliti”, nonché nei paesi occidentali, le aspettative di libertà si facevano già strada tra le schiere di intellettuali meno soggetti al potere e alle politiche di regime e, da noi,  anche negli ambienti della stessa sinistra non massimalista.

 

Valerij Tarsis era noto in Italia per essere riuscito nel 1964 a far arrivare e a far pubblicare poi da Rizzoli “Corsia 7”, il libro che raccontava il suo internamento in manicomio e le persecuzioni subìte in Urss dagli intellettuali “non allineati” e dalle loro famiglie.

 

In Italia, nel corso della sua peregrinazione quale testimone di libertà, Tarsis aveva parlato solo a Roma, ospite dell’Unione Italiana per il Progresso della Cultura, attento a selezionare scrupolosamente i pur numerosi inviti a tenere conferenze e relazioni sulla situazione in Urss, in un’epoca in cui la dissidenza poteva diventare facile strumento di interessi evidentemente riduttivi rispetto alla grande questione in gioco a livello internazionale ed offrire ulteriori pretesti  di emarginazione e di persecuzione.

 

Arturo Capasso intuì che lo scrittore avrebbe potuto accettare l’invito a parlare a Napoli nella nostra sede, in via Firenze n. 54, tra gli insegnanti de “Il Timone”, un'associazione indipendente notoriamente libera da ogni condizionamento, dove si trattava solo di cultura e di prospettive giovanili per la professione docente.

 

Fu un grande successo.La sala fu gremita di giovani e di intellettuali attenti e partecipi. Tarsis parlò a lungo della condizione degli scrittori in Unione sovietica e annunciò con fiera convinzione l’ineluttabile fine del sistema di potere bolscevico.

 

La stampa riportò l’avvenimento con l’enorme rilievo che meritava,  del quale, forse, noi stessi non ci rendemmo allora conto e che solo dopo, con l’incalzare delle successive vicende a livello mondiale, ci apparve in tutto il suo significato coraggiosamente anticipatore di cambiamento e di speranze.

 



 

 

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