N. 21 - Febbraio 2007
ANGELO TARGHINI E LEONIDA MONTANARI
In
memoria dei carbonari giustiziati
di Luigi
Buonanno
Siamo nel 1825. Il regno
del papa “re” Leone XII creava ripetuti malcontenti
tra il popolo italiano, quello romano in particolare.
Gruppi rivoluzionari e
liberali davano vita a ripetuti tumulti e proteste,
contrastati sia dall’esercito pontificio sia dalla
Chiesa stessa.
I più accesi di tutti
erano i “carbonari”, temuti dal popolo contrastante e
dalle autorità. Vogliosi di libertà e della fine del
regno soffocante di Leone XII.
Filippo Spada (detto
Spontini), liberale di famiglia nobile, da tempo
sembrava cospirare contro i suoi stessi compagni
carbonari. Le sue idee diventavano sempre meno
favorevoli alla causa rivoluzionaria e avvolte
condannava gli atteggiamenti ribelli dei compagni.
Lo stesso Spontini,
viene visto più volte complottare insieme ad alcuni
esponenti della chiesa e sostenitori della sua
famiglia, facendo insospettire i suoi compagni.
Spada non era il solo ad
essere sospettato. In quel periodo, i carbonari furono
vittime di molti tradimenti che causarono diversi
arresti e condanne nei confronti di attivisti
antipapa, alcuni dei quali anche di spicco nel
movimento carbonaro.
Un informatore avverte
anzi tempo, il progetto di denuncia dello Spontini.
La decisione di bloccare
il traditore è d’obbligo e l’incarico fu affidato al
modenese Angelo Targhini.
Angiolo (come veniva
chiamato Targhini) era un giovanissimo, non superava i
vent’anni. Figlio di un cuoco di Brescia, era
piuttosto spregiudicato e fanatico delle idee
carbonare. Altre volte era stato usato per lavori del
genere, le cosiddette azioni di “vendita” carbonara ed
era ritenuto alquanto affidabile. Più che mai attivo e
sempre sorridente, non dava conto a ciò che succedeva
o che gli sarebbe successo, lui credeva nella nobile
causa della libertà e senza indugi eseguì l’incarico.
Spontini si trovava nei
pressi della farmacia Peretti, in attesa di qualcuno.
Targhini gli va incontro e gli dice di seguirlo, aveva
bisogno di parlargli. Spontini ignaro lo segue.
Entrano nel vicolo di
Sant’Andrea. Targhini si assicura d’essere soli,
estrae un pugnale e colpisce il traditore al petto,
verso il cuore… e scappa con l’aiuto di un complice.
Spada non era morto e
urlò implorando aiuto. Due carabinieri pontifici di
pattuglia sentono i lamenti e si avvicinano. Vedono le
condizioni in cui si trova l’uomo e chiedono soccorsi
nella farmacia Peretti.
Lo strano caso, vuole
che quella farmacia appartenga ad un altro carbonaro,
il chirurgo Leonida Montanari di Cesena. Quest’ultimo
era a conoscenza di ciò che sarebbe successo e più che
altro per incredulità, aiutò i carabinieri e corse
verso Spontini.
Stupito dal mancato
successo di Targhini, tira fuori uno specillo
(strumento chirurgico che serve ad esplorare una
ferita) e anziché curarlo, cerca di terminare l’opera.
I due carabinieri riescono a bloccarlo e lo arrestano.
Spontini riesce a
sopravvivere e confessa il nome del suo attentatore
che di conseguenza viene arrestato.
Angelo Targhini viene
accusato del tentato omicidio e Leonida Montanari di
aver cercato di completare l’omicidio. La loro
condanna fu condizionata anche dalla loro appartenenza
ai carbonari, di conseguenza la Sacra Consulta li
condanna alla decapitazione.
Nei giorni che seguirono
molte furono le azioni di protesta e non solo dei
rivoluzionari. Addirittura dei frati, uomini di chiesa
e anche dei nobili di celata appartenenza carbonara,
cercarono di fermare quella condanna. Ma nulla fu
fatto con decisione.
L’eccessivo torpore del
popolo, la loro falsa fedeltà nei confronti di un
assolutismo che li aveva convinti ad un benessere che
loro stessi in verità sapevano di non vivere, la paura
di perdere ciò che in fondo non hanno mai avuto, il
timore di abbandonare una “non-vita”, ma soprattutto
l’ignoranza che gli veniva imposta per paura che
migliaia di persone aprissero gli occhi, impotenti per
loro stessa volontà, sottostavano alla morte di due
uomini. Rivoluzionari, carbonari e liberali, che
proprio per loro si erano sacrificati, che per nessun
motivo vollero pentirsi, un pentimento che gli avrebbe
concesso il perdono. Per un popolo che forse meritava
anche di peggio.
Il palco dell’esecuzione
fu posto a Piazza del Popolo. Intorno al luogo, una
massiccia schiera di soldati, per paura d’eventuali
coraggiosi colpi da parte di compagni, che non
avvennero mai.
I due giustiziati
rifiutarono la benda e per nulla temevano per ciò che
gli stava accadendo.
Per l’ennesima volta
rifiutarono il pentimento “Non abbiamo conto da
rendere a nessuno: il nostro Dio sta in fondo alla
nostra coscienza” risposero entrambi.
La decapitazione fu
veloce.
Prima l’impavido e
sorridente Angelo Targhini, poi l’ironico Leonida
Montanari.
Entrambi i corpi furono
sepolti al Muro Torto, terra sconsacrata.
Nel 1909 fu posta a
Piazza del Popolo, sul fianco della caserma dei
carabinieri, la lapide in memoria dell’esecuzione.
Nel 1969, il regista
Luigi Magni, narra la vicenda nell’eccellente film
forse dimenticato “Nell’anno del Signore”. Colpisce
l’atteggiamento del Targhini.
La folta chioma scura
agitata dal vento. Quel viso sfacciato ancora immaturo
di Angiolo, sorridente e intollerante nei confronti
della morte. Disse “Libertà e prosperità”… ma il suo
sorriso si fermò.
Quando i suoi occhi
posti di fronte alla cesta che avrebbe contenuto la
sua testa, la sua espressione diventò terrorizzata.
Probabilmente si era reso conto che la sua breve vita
era finita, ancora non era diventato un uomo. Neanche
il tempo di rendersene conto… che morì.
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