.

home

 

progetto

 

redazione

 

contatti

 

quaderni

 

gbeditoria


.

[ISSN 1974-028X]


RUBRICHE


attualità

.

ambiente

.

arte

.

filosofia & religione

.

storia & sport

.

turismo storico



 

PERIODI


contemporanea

.

moderna

.

medievale

.

antica



 

EXTEMPORANEA


cinema

.

documenti

.

multimedia



 

ARCHIVIO


 

 

 

 

 

 

 

.

> Storia Contemporanea

.

N. 18 - Novembre 2006

LE SETTE VITE DEL TIMES

L’avventurosa storia di uno dei giornali più noti e celebri della stampa internazionale

di Tiziana Bagnato

 

Sette vite: come un gatto tanto sonnacchioso quanto vivace, astuto e cacciatore, una delle più celebri testate inglesi al mondo, il Times, ha attraversato due secoli tra fallimenti, clamorose rinascite, salvataggi e strategie di marketing.

 

Tutto ebbe inizio il primo gennaio 1785, quando John Walter, uomo  d’affari londinese, dopo essersi dedicato alle più diverse attività, dal commercio del carbone, alle assicurazioni, alla finanza, decise di lanciarsi nel mondo dell’editoria. Inizialmente, la testata venne registrata con il nome di Daily Universal Register, la tiratura era molto ridotta, 1600 copie, e il prezzo era di tre pence.

 

L’evento con il quale il Times, riuscì  a guadagnarsi i favori e l’attenzione dell’opinione pubblica fu la Rivoluzione francese. La tempestività e la precisione con la quale il quotidiano britannico riferiva avvenimenti così importanti e allo stesso tempo così distanti da Londra, ne fece un organo accreditato e, soprattutto, ricercato. In poco tempo la diffusione arrivò a 4200 copie.

 

Il pubblico di riferimento diventò l’aristocrazia terriera, i ministri della Chiesa Anglicana, gli ufficiali dell’esercito, i funzionari della Corona. Qualità e autorevolezza erano le doti comunemente riconosciute al quotidiano che si guadagnò anche gli elogi del presidente americano Abramo Lincoln, il quale ne sottolineò il rigore e l’oggettività degli articoli con i quali venne descritta la guerra di secessione americana.

 

Dal punto di vista grafico il Times della prima generazione era disegnato su quattro colonne e la prima pagina non aveva notizie, ma era riempita con i cosiddetti “personals”, ovvero, pubblicità e annunci di carattere sociale. Una caratteristica, questa che è rimasta fino al 1967. Inoltre, nessun articolo era firmato, in base al motto formulato da John Tadeus, direttore nel 1850,“ i giornali si comprano per le notizie, non per i giornalisti”.

 

Nel 1860, il Times subì una rivoluzione tecnica che lo consacrò ad una seconda vita.

 

Fu infatti il primo quotidiano ad installare la rotativa Walter, che gli consentì di poter stampare oltre 60 mila copie al giorno, superando di circa tre volte la circolazione degli altri quotidiani londinesi. Eppure, nonostante questa importante rivoluzione tecnica, la testata incominciò a conoscere un lento declino. A confronto con i neonati tabloid che iniziavano ad affollare le edicole, rispetto al loro formato ridotto, ai loro titoli cubitali e ai loro contenuti scandalistici, il quotidiano appariva austero e grigio perdendo lettori.

 

Nel 1908, la celebre testata inglese raggiunse il minimo storico nella sua tiratura, trenta mila copie, segnale che il fallimento era ormai dietro l’angolo. Ad esporsi per tentare di sollevare le sorti del Times fu Lord Nortchliffe, ossia proprio colui che con l’invenzione della stampa popolare, aveva contribuito in maniera determinante all’instabilità del giornale. Ma perfino lui, non  riuscì a risanare completamente le casse del quotidiano, riuscendo solo ad aumentarne la tiratura. I suoi eredi decisero allora di liberarsi di quella che era diventata non più la proprietà di una testata prestigiosa ed autorevole ma una pesante zavorra economica.

 

Entrò così in scena la dinastia americana degli Astor, che avrebbe poi creato il Newsweek. Anche per loro non fu facile intervenire sulle sorti ormai disastrate del quotidiano che stentava a conquistare la fedeltà della working class. Così nel 1967 anche gli Astor cedettero la proprietà del Times, questa volta al magnate dell’editoria Roy Thomson.

 

Inizia così la quarta vita del quotidiano britannico, caratterizzata da una rivoluzione grafica che lo investì in pieno. La prima pagina venne completamente smantellata e ridisegnata. I personals vennero spostati nelle pagine interne, lasciando spazio alla politica interna e a quella estera e incominciarono ad essere utilizzate più immagini e fotografie.

 

Insomma, il Times finalmente abbandonò gli abiti tradizionali per adeguarsi agli altri quotidiani. Una scelta spiegata da Piero Ottone così: “ Quel giornale fatto a quel modo aveva molti significati. Si addiceva ad un’ Inghilterra imperiale, la cui classe dirigente, rappresentata da ricchi aristocratici e da signori di campagna, si interessava alla vendita di un cavallo prima che alla crisi in Indocina, a un Inghilterra che seguiva avvenimenti del mondo intero con la calma olimpica della nazione dominante, con sovrano distacco. Una posizione che l’Inghilterra stava perdendo, anzi che aveva già perso”.

 

Tra il novembre 1978 e il novembre 1979 la testata chiuse e nell’agosto del 1980 i suoi giornalisti scesero in piazza per protestare contro la linea editoriale di Thomson, che secondo loro puntava troppo sulla tecnologia e troppo poco sui giornalisti.

 

Fu così che anche Thomson fu costretto a cedere le redini della testata. Questa volta ad entrare in scena fu il magnate australiano Rupert Murdoch che operò l’ennesima rivoluzione. Nel grigio ed austero quotidiano comparirono per la prima volta il colore ed una titolazione vivace, anche per i temi di politica nazionale ed internazionale. Il secondo passo dell’editore fu quello di puntare sulla distribuzione e sul marketing mirando all’abbassamento dei prezzi per abbattere la concorrenza.

 

Così il giornale riuscì ad allargare il proprio pubblico di riferimento e ad aumentare diffusione e gli introiti pubblicitari ma, anche questo non bastò a far pareggiare i conti economici delle casse disastrate del quotidiano.

 

Nel 2002 l’ennesimo cambiamento al timone della testata.  Ancora una volta un australiano tentò di intervenire strategicamente per salvare il quotidiano. Si tratta di Robert Thomson che decise di non puntare solo su strategie di marketing ma di accompagnare a queste una vera e propria campagna che potesse a fare del Times una testata di qualità  chiaramente superiore alle altre, fornendo così una doppia motivazione ai lettori per acquistarlo.

 

Da allora sembra che non vi siano altre crisi incombenti, ma il resto della storia di una delle più celebri testate internazionali è ancora da scrivere.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

L’Europa di Carta – Guida alla stampa estera di Giancarlo Salemi, Franco Angeli Editore, Milano, 2002

 



 

 

 

 COLLABORA

scrivi per InStoria



 

EDITORIA


GBe edita e pubblica:

.

- Archeologia e Storia

.

- Architettura

.

- Edizioni d’Arte

.

- Libri fotografici

.

- Poesia

.

- Ristampe Anastatiche

.

- Saggi inediti

.

catalogo

.

pubblica con noi



 

links


 

pubblicità


 

InStoria.it

 


by FreeFind

 

 

 

 

 

 

 

 

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA  N° 215/2005 DEL 31 MAGGIO]

.

.