N. 15 - Agosto 2006
LA QUESTIONE ROMANA
L'unità italiana e la Chiesa cattolica
di Stefano De
Luca
Il conflitto tra la Santa Sede e il giovane stato
italiano caratterizzò i primi sessantotto anni di vita
unitaria, e ne segnò per molti aspetti il destino.
Il
tema, vivo durante tutto il Risorgimento, assunse una
dimensione politica con i plebisciti del 1860, che
tolsero a Pio IX le Legazioni, le Marche e l'Umbria,
annesse al neonato Regno d’Italia che voleva fare di
Roma, sede del potere papale, la propria capitale.
Nel decennio successivo ci furono molti tentativi di
risolvere quella che da allora assunse il nome di
questione romana, dalle trattative avviate da
Cavour col Papa ai progetti diplomatici di Francia e
Gran Bretagna, fino alle spedizioni su Roma di
Garibaldi nel 1862 e 1867.
La questione fu temporaneamente congelata nel 1864
quando Minghetti firmò con la Francia di Napoleone III,
il grande protettore del potere temporale del Papa, la
Convenzione di settembre.
Si prevedeva infatti l’impegno italiano a non
attaccare il territorio pontificio e quello francese a
ritirare le proprie truppe da Roma.
Una clausola
segreta prevedeva, a legittimare la rinuncia a Roma da
parte del governo italiano, il trasferimento della
capitale del Regno da Torino a Firenze.
Nel 1870 il Papa perse l’alleato più prezioso, la
Francia di Napoleone III, duramente impegnata nel
conflitto con la Prussia.
La Francia uscì sconfitta e
permise, oltre all’unificazione della Germania, la
presa dello Stato pontificio da parte del Regno
d’Italia.
Il 20 settembre 1870 truppe italiane superarono i
confini del Lazio e misero Roma sotto scacco,
riuscendo a penetrare oltre le mura della città
attraverso una breccia aperta nei pressi di Porta
Pia. Proprio questo episodio rimarrà,
nell’immaginario collettivo, il simbolo della vittoria
dello stato laico su quello confessionale.
I rapporti con il Papa vennero regolati nel 1871 con
la Legge delle guarentigie, che garantiva al
pontefice l’inviolabilità dei luoghi dove risiedeva,
l’uso dei palazzi Laterano e Vaticano, il diritto ad
accreditare ambasciatori e una dotazione annua.
La
Legge venne respinta da Pio IX con l’enciclica Ubi nos,
e mai accettata dalla Santa Sede.
Il conflitto che si aprì lacerò le coscienze dei
milioni di cittadini credenti.
Nel 1874 presso la
Sacra Congregazione degli affari ecclesiastici, alla
domanda se i cattolici italiani avessero dovuto
prendere parte alle elezioni politiche, la risposta fu
chiarissima: non expedit (dal latino, non è
conveniente, non è opportuno).
Era una dichiarazione che sanciva in modo emblematico
la crisi profonda causata dello strappo tra la classe
politica italiana, che faceva della formula cavouriana
libera chiesa in libero stato uno dei propri caratteri
distintivi, e la Chiesa.
La crisi autoritaria di fine secolo, il pericolo
socialista e la svolta liberale di Giolitti portarono
al graduale superamento della logica cattolica
dell’astensione politica.
Duramente osteggiata dalla chiesa e dai laici più
intransigenti, la legge rimase in vigore fino ai
Patti lateranensi del 1929.
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