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N. 21 - Febbraio 2007

PAVEL FLORENSKIJ

"...c'è una sorta di ritardo, della società rispetto alla grandezza..."

di Stefano De Luca

 

Dopo il 1917 in Unione Sovietica le finalità della nuova ‘religione’ leninista prima e staliniana poi contrastavano con quelle della Chiesa Ortodossa e delle altre confessioni religiose.

 

Le conseguenze di questa inconciliabilità, sono sintetizzate nella vicenda umana di padre Pavel Aleksandrovič Florenskij, il ‘Leonardo russo’. Questi si occupava tanto della matematica quanto della storia, della filologia quanto della fisica, ma si sentiva soprattutto un sacerdote della Chiesa ortodossa.

 

La sua polivalenza si evince dai titoli delle sue opere: ‘La colonna e il fondamento della verità’  (la sua massima opera teologica); ‘Il numero come forma’; ‘Denominazioni antico-russe delle pietre preziose’; ‘Composti liquidi per i manicotti dei cavi’. L'amico filosofo Sergej Bulgakov disse che "in padre Pavel si sono incontrate la cultura e la chiesa, Atene e Gerusalemme".

 

Nel 1928 l’OGPU si occupò del fascicolo sul ‘centro controrivoluzionario del monastero della Trinità di San Sergio’, cuore dell’Ortodossia russa messo ora sotto accusa. Il 17 maggio del 1928, in un articolo apparso su ‘Rabocaja Moskva’ (Mosca operaia), era già stato sferrato l’attacco al monastero della Trinità di San Sergio: “l’offensiva rivoluzionaria”, si legge nell’articolo, “non ha quasi toccato le mura secolari di questa cittadella della depravazione. […] I più ostinati rappresentanti del passato si sono sistemati al suo interno e, simili a ratti a due gambe, asportano le antichità più preziose, nascondono le loro porcherie e diffondono il loro fetore”.

 

Interrogato il 21 maggio, a padre Florenskij venne rinfacciato il fatto di possedere una foto dello zar Nicola II, cimelio assai poco bolscevico. Florenskij, assieme a tanti altri credenti che svolgevano le loro attività nel monastero, venne condannato al confino in quanto “ex monaco, non simpatizzante con l’ordinamento sovietico, consenziente con il potere monarchico”.

 

Scelse come luogo del confino Nižnij Novgorod che, coincidenze della vita, ospiterà, quando ormai sarà già stata ribattezzata Gor’kij,  il confino di Andrejj Sacharov, una delle voci più significative del ‘dissenso’ sovietico.

 

Florenskij venne liberato dopo alcuni mesi, ma già nel febbraio 1933 subì un nuovo arresto, sempre “per convinzioni politiche monarchiche e di estrema destra”.

 

Questa volta la condanna sarebbe equivalsa a dieci anni da trascorrere nei campi di lavoro. Condotto in Estremo oriente, giunse infine alle Solovki dove, mentre informatori lo spiavano continuamente per conto dell’OGPU, egli si dedicava all’estrazione dello iodio dalle alghe marine. Il direttore della prigione delle Solovki, Apeter, ‘informava’ meschinamente che Pavel Florenskij “nel lager fa propaganda controrivoluzionaria, esaltando il nemico del popolo Trockij”.

 

Sulla morte  di Florenskij erano circolate varie versioni: fucilato a Kolyma secondo Solzenicyn; sgozzato da un criminale per altri; per altri ancora avrebbe continuato a lavorare a lungo, collaborando perfino alla creazione della bomba atomica. Grazie ai documenti ‘recuperati’ recentemente da Vitalij Sentalinskij negli archivi del KGB, sappiamo che la sua sorte fu quella più prevedibile, ossia venne fucilato l’8 dicembre del 1937 per volontà della Direzione dell’NKVD della regione di Leningrado.

 

Florenskij, in una lettera da Solovki, scriveva, prima di venire giustiziato: “c’è una sorta di ritardo, della società rispetto alla grandezza e dell’io rispetto alla sua propria grandezza. E’ chiaro che il mondo è fatto in modo che non gli si possa donare nulla se non pagandolo con sofferenza e persecuzioni”.

 

Oggi è venerato come un ‘martire’ dalla Chiesa ortodossa russa, che vuole al più presto canonizzarlo.

 

Riferimenti bibliografici

 

http://www.culturacattolica.it/contenuto/biblioteca/leggere/doc_mappa02/08.asp

Vitalij Šentalinskij, I manoscritti non bruciano. Gli archivi letterari del KGB, Milano, 1994

 

 



 

 

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