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N. 18 - Novembre 2006

IL BOLSCEVICO ALLA CORTE DEL DUCE

Storia di Nicola Bombacci

di Sergio Sagnotti

 

Nicola Bombacci nacque a Civitella di Romagna (FC) il 24 ottobre 1879, su di lui le definizioni si sono sprecate, molti lo chiamarono il “comunista in camicia nera” o “il rivoluzionario del temperino” per via della sua indole pacifica o ancora “il Lenin di Romagna” perché ai comizi si tramutava in un vero trascinatore di folle, oppure solamente “Nicolino” come piaceva chiamarlo a Benito Mussolini.

 

Oggi, siamo tutti al corrente, che il mestiere del politico è cambiato radicalmente fino ad evolversi in maniera negativa il più delle volte, in passato la politica veniva svolta per il solo scopo, a volte utopico, di poter cambiare realmente le cose o comunque per semplice passione; di soldi allora non ne giravano molti, a differenza di oggi, un politico di allora faceva la fame e non riusciva ad avere un pò di tranquillità economica solamente predicando ideali.

 

La vita di Nicola Bombacci fu caratterizzata da un esistenza parallela a quella di Benito Mussolini, caso strano e assai curioso è il fatto che le loro due vite politiche e non si incontreranno in due momenti topici, l’inizio e la fine, quella che sarà per entrambi l’alba ed il tramonto della loro vita politica e terrena.

 

Bombacci e Mussolini erano entrambi romagnoli, entrambi maestri elementari ed entrambi avevano la dote e la capacità di trascinare le masse attraverso i loro discorsi; al di la di questo essi non avevano niente altro in comune; “Nicolino” era monogamo “Benito” donnaiolo, il primo mite l’altro vulcanico, ma soprattutto uno fu il fondatore del Partito Comunista e l’altro del Partito Fascista…

 

Gli esordi in politica di Bombacci furono insieme a Mussolini nel Partito Socialista nel 1903, egli si contraddistinse subito rivelandosi un intransigente sostenitore della rivoluzione proletaria.

 

Sotto la sua guida il partito raddoppia gli iscritti e ottiene importanti e clamorosi successi elettorali, come il 16 novembre 1919 quando venne eletto deputato nella circoscrizione di Bologna ed il partito ottenne il 35% dei suffragi, costituendo quindi, il più consistente gruppo parlamentare mai entrato alla Camera prima di allora.

 

All’apertura della Camera, Bombacci fece subito vedere di che pasta era fatto, quando il Re Vittorio Emanuele III rivolse, come tradizione, il saluto ai nuovi deputati, Nicolino si alzò in piedi e gridò “Viva il socialismo”, abbandonò l’aula seguito da tutti i suoi compagni e lasciò il parlamento semi-deserto.

 

Nel 1920 Bombacci fece parte della prima delegazione parlamentare che si recò in URSS, nel 1921 la sua visione massimalista e intransigente del socialismo lo portò a fondare il Partito Comunista d’Italia, durante il diciassettesimo congresso del Partito Socialista nella sala del teatro Goldoni di Livorno, in cui accade di tutto.

 

L’11 novembre 1922, il 31 ottobre in Italia, Bombacci ritornò in Russia per i lavori del quarto congresso dell’Internazionale, tre giorni prima c’era stata in Italia la Marcia su Roma; nella capitale sovietica, il sanguigno politico romagnolo, ebbe un alterco con il suo amico Lenin, il quale rimproverò la compagnia italiana ed in particolare Bombacci riferendogli la seguente frase: “In Italia, compagni, c’era un solo socialista capace di guidare il popolo alla rivoluzione: Mussolini! Ebbene voi lo avete perduto e non siete stati capaci di recuperarlo!”.

 

I rapporti con l’URSS e con i suoi personaggi politici di spicco, rimasero comunque più che buoni e Bombacci ricoprì anche ruoli strategici importanti nelle relazioni politico-commerciali sull’asse Roma-Mosca e anche negli abboccamenti fra Mussolini, Voroskij e Krasin che portarono al riconoscimento da parte dell’Italia dello Stato dell’Unione Sovietica e alla conseguente riapertura dei rapporti politco-commerciali fra le due nazioni. Di fatto l’Italia era il primo Stato a riconoscere l’URSS…

 

Nel 1927 Bombacci fu espulso dal Partito Comunista reo di aver paragonato la rivoluzione fascista a quella comunista, tale decisione, però, non fu vista di buon occhio dall’Internazionale; è da questa data che inizia la parabola politica discendente del Lenin di Romagna.

 

Ad onor del vero bisogna ricordare che la famiglia Bombacci non era mai stata economicamente facoltosa, ma la situazione si aggravò ulteriormente quando il suo ultimo figlio Vladimiro, ebbe un incidente fratturandosi le vertebre cervicali, e necessitò di cure ed attenzioni costose che il padre, schiacciato dai debiti, non poteva permettersi; ed è in questo momento che le stelle di Nicolino e Benito si ricontrano; Mussolini aveva sempre seguito da vicino le vicende del suo ex compagno, e quando bussò alla porta di casa Bombacci un funzionario governativo con un biglietto di prenotazione in una delle cliniche più lussuose e prestigiose del tempo intestato a Vladimiro, non fu difficile capire il mandante di quel generoso atto; si suppone comunque che la moglie di Bombacci, Erissena, avesse scritto al Duce spiegandogli la precaria situazione finanziaria in cui vertevano.

 

A chiedere aiuto al Duce fu poco dopo anche l’altro figlio di Bombacci, Raoul, il 18 agosto 1929, che scrisse al capo del governo italiano chiedendo un aiuto economico a causa di problemi lavorativi e anche in questo caso non vennero a mancare aiuti.

 

Nel frattempo, Bombacci continuava a fare la fame, dimagriva, era visibilmente deperito e nell’impossibilità materiale di nutrire i propri figli, nonostante ciò aveva rifiutato una proposta lavorativa dell’ambasciata russa, perché ritenuta non onesta, aveva preferito fare l’operaio ma l’essere tisico gli aveva impedito di fare anche quello…

 

Un rapporto a Mussolini scrive: “Bombacci è sommerso dai debiti: deve 2000 lire al padrone di casa, 740 al sarto, 8000 alla Banca del Lavoro, 713 all’ufficio delle imposte, 1000 a un certo Mai che gli ha pignorato i mobili, 6000 ai vari bottegai del quartiere. In totale deve ai suoi creditori la somma di 60.000 lire.”

 

Sotto ad ogni nota si scorge la sigla di Mussolini con su scritto “Provvedere”.

In quegli anni il fascismo sembra l’unica via attraverso la quale si potevano introdurre elementi di socialismo, e Bombacci se ne accorse.

 

Nel 1937 Mussolini gli permise la pubblicazione di una sua rivista politica chiamata “La Verità”, una versione italiana della “Pravda”, in cui collaborarono molti vecchi socialisti; in questo stesso anno Bombacci torna a scrivere a Mussolini dopo un lungo periodo, nella sua lettera gli suggerisce di adottare una strategia di tipo autarchico, per migliorare ulteriormente la situazione economica italiana, ed è sulla lettura di questa lettera che alcuni storici italiani come Arrigo Petacco, si fanno alcune domande su chi dei due politici romagnoli inventò in realtà l’autarchia.

 

La Verità mantenne sempre un atteggiamento socialista e di contrasto nei confronti del nuovo regime comunista staliniano, di cui Bombacci diceva di aver capito l’inganno. Arrivarono gli anni ’40 e la conseguente spaccatura all’interno dell’Italia che portò alla fondazione della Repubblica Sociale Italiana; Mussolini fu cosi costretto, controvoglia, a tornare a capo del neonato Partito Fascista Repubblicano, sotto le incalzanti pressioni di Hitler che minacciò, nel caso in cui il Duce non avesse accettato l’incarico, di applicare misure molto dure contro la popolazione italiana, misure “…che avrebbero indotto gli italiani a invidiare il destino dei polacchi…”.

 

La parola “socialista” cominciò a tornare di moda e il Duce cominciò a percorrere la strada della socializzazione delle imprese del Nord, fu questo romantico ritorno agli ideali socialisti che attirò Bombacci verso Salò e ad un riavvicinamento alla politica a 64 anni di età, pur non essendosi mai iscritto al partito fascista.

 

Il Lenin di Romagna partecipò attivamente anche alla stesura dei 18 punti di Verona che si prefiggeva la R.S.I e al traguardo inseguito da una vita della socializzazione delle imprese e dei diritti dei lavoratori; in questi mesi Bombacci visse il suo momento di gloria, era euforico, nei suoi discorsi ironizzava sulla filastrocca che gli squadristi gli avevano dedicato anni prima “Me ne frego di Bombacci…” oppure “…con la barba di Bombacci faremo spazzolini per lucidar le scarpe di Benito Mussolini…” nel marzo del 1945 riscosse un grandissimo successo nel suo comizio a Piazza de’ Ferrari a Genova davanti a più di 30.000 operai.

 

Il tempo, però, per lui e per il Duce stava per scadere, gli alleati erano alle porte e il crepuscolo era vicino.

 

Un giorno rivolgendosi ad Alberto Giovannini, Bombacci si chiese che cosa avrebbero detto gli storici di lui e di Mussolini poi si rispose “Sai, diranno, erano romagnoli tutti e due, si volevano bene…erano stati a scuola insieme…”

 

Nella tarda giornata del 25 aprile 1945 la guerra stava per finire, gli alleati alle porte, Bombacci si rivolse al figlio di Mussolini, Vittorio, dicendogli: “Dove va tuo padre vado io, seguirò tuo padre fino alla fine, non dimenticherò mai che ha aiutato la mia famiglia quando aveva fame…” poi rivolgendosi ancora a Giovannini: “Una volta mi trovai in una situazione analoga accanto a Lenin a Pietroburgo (…) Ma adesso è peggio. Allora avevamo gli operai dalla nostra parte.”.

 

Mussolini lo volle accanto a se sulla Alfa 1800 che lasciò Milano, poco dopo furono catturati dai partigiani e condotti in luoghi separati, i due amici non si rividero mai più; Bombacci fu condotto nel municipio di Dongo per essere ucciso.

 

La colonna dei condannati fu avviata verso il luogo di esecuzione, racconta il partigiano Renato Codara: “ Aveva un paio di pantaloni a righe e una giacca nera lunghissima, mi fissò un istante e mi disse, portando la mano destra al cuore: “Spara qui…” rimasi un po’ sorpreso, poi gli risposi in dialetto “Cal sa preoccupa no…”. Prima che morisse l’ho udito gridare: “Viva Mussolini!, Viva il socialismo!”

Pochi minuti dopo si sentirono gli ordini impartiti dal partigiano Riccardo: “Attenti! Dietrofront! Caricate! Giù le sicure! Puntate! Fuoco!”; “E un fuoco infernale” riferirà un testimone oculare “…di quelli che in guerra precedono il balzo dell’assalto. Pare siano stati sparati milleduecento colpi, due caricatori da quaranta pallottole per condannato. La gente urla. Alla prima scarica molti rimangono in piedi, alla seconda cadono tutti. Bombacci è caduto di spalle, con gli occhi azzurri rivolti al cielo. Ricomincia a piovere…”.

 

Dopo essere stato esposto nel lugubre epilogo di Piazzale Loreto il cadavere di Nicola Bombacci fu sepolto nel campo 10 del cimitero milanese dei caduti dell’RSI di Musocco.

Questa è la storia di Nicola Bombacci, non un uomo qualsiasi, personaggio scomodo per la destra e per la sinistra, uno dei massimi oratori e personaggi politici della storia d’Italia, tentò di percorrere la mitica “terza via” tra fascismo e comunismo e cavalcò il sogno della socializzazione che lo condusse, forse consapevolmente, alla morte…

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Arrigo Petacco, Il comunista in camicia nera;

Edmondo Cione, Storia della RSI;

Renzo De Felice, Mussolini, il rivoluzionario;

Renzo De Felice, Mussolini, il fascista;

Renzo De Felice, Mussolini, il Duce;

Ugo Manunta, La caduta degli angeli;

Guglielmo Salotti, Nicola Bombacci da Mosca a Salò.

Paolo Spriano, Storia del PCI

 



 

 

 

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