N. 19 - Dicembre 2006
LIBERATION: LA TESTATA
IDEOLOGICAMENTE FIGLIA DEL MAGGIO FRANCESE
Gli sforzi per rimanere coerenti
di
Tiziana Bagnato
E’
tra le barricate degli studenti, tra le
manifestazioni, gli striscioni, gli slogan e i canti
che animavano Parigi nel famoso “maggio francese”, che
nasce ideologicamente la celebre testata Libération.
Un quotidiano che ne raccolse a pieno le istanze, la
voglia di cambiamento e i frutti importandoli, a
distanza di pochi anni, in una linea e in una gestione
editoriale per l’epoca innovativa ed originale.
Messi da parte i temi della Francia perbenista e i
suoi tabù, Libération portò in prima pagina
temi come l’omosessualità, il problema delle carceri,
l’ambientalismo, le condizioni delle donne, con
l’obiettivo di modernizzare la vita democratica e
culturale del Paese in modo radicale.
A
tenere il battesimo il giornale fu nel 1971 il celebre
filosofo Jean Paul Sartre, il quale ne fece una
tribuna libera e sciolta da ogni dogma politico. Ma
l’uomo chiave della testata fu Serge July, ex maoista,
che ha tenuto le redini dal 1974 fino allo scorso
giugno, ritrovandosi a gestire sia le glorie di quello
che era un esperimento ideologico ed editoriale
riuscito, che questioni più materiali, come le
frequenti crisi economiche che, ciclicamente, a
partire dal 1981, attanagliarono
Libération.
Inizialmente, il quotidiano fedele al principio
dell’autogestione, del capitale posseduto
esclusivamente dai giornalisti stessi e degli stipendi
uguali per tutti, tentò di intervenire sulla grave
situazione finanziaria abbassando i salari. Basti
pensare che nel 1981 la paga di tutti, dal redattore
capo, ai giornalisti, agli addetti alla segreteria,
era di circa ottocento mila lire. Ma le sole 45 mila
copie vendute in media e la completa assenza di
introiti pubblicitari, dovuta ad una precisa scelta
ideologica ed editoriale, erano diventati un carico
troppo pesante per consentire alla testata di rimanere
a galla. Fu così che nel febbraio del 1981 le
pubblicazioni vennero sospese e ripresero solo a
maggio, dopo il licenziamento di ben 16 redattori e la
decisione di intervenire sulla struttura originaria.
I
cambiamenti introdotti riguardarono per lo più la
forma del quotidiano francese: venne introdotto il
formato tabloid e ampliata la foliazione, con
l’introduzione di sezioni per suddividere gli
argomenti. Rimase, invece, invariato il meccanismo
dell’autogestione e dell’indipendenza editoriale.
Ma
già pochi mesi più tardi, il giornale doveva
cominciare a cedere, aprendo le porte alle inserzioni
pubblicitarie, seppur con dei paletti ben precisi: non
più di tre pagine a numero, annunci su una pagina
intera ed introiti che non dovevano superare il 30 per
cento delle entrate totali della testata. I costi
delle inserzioni erano doppi rispetto alle altre
testate del panorama della carta stampata, ma il
target di lettori di Libération era molto
appetibile, così il giornale riuscì finalmente a
rimpinguare le casse allargando i propri progetti.
Nel
1986 il quotidiano sbarcò, infatti, a Lione, seconda
città francese per popolazione e reddito economico. La
scelta si rivelò appropriata: la diffusione aumentò e
il giornale si scrollò di dosso l’etichetta di organo
dell’estrema sinistra e dell’intelligenthia parigina.
Lo
stile del giornale restò graffiante ed irridente ma si
ampliò la gamma dei temi, trattati con dovizia di
particolari, spesso all’interno di reportage e
dossier. Aumentò l’interesse dei lettori e la loro
estrazione, così che le copie arrivarono a 140 mila e
Libération potè permettersi di lanciare sul
mercato anche un supplemento, il settimanale Eches.
Proprio quando il pareggio del bilancio sembrava ormai
dietro l’angolo, qualcosa si incrinò, la formula
editoriale diventò sempre meno fedele a se stessa,
forse, nella ricerca spasmodica del consenso, ma con
esiti controproducenti. Il nuovo Libèration,
chiamato dai redattori Libe II, divenne sempre
meno impegnato politicamente e sempre più generalista.
I toni si smorzarono, il linguaggio divenne sempre
meno combattivo e pungente e, invece, sempre più
diplomatico ed aperto. Lo scontento colpì sia
giornalisti che lettori causando perdite alla testata
per 187 milioni di franchi. La voragine che stava
lentamente “rubando l’anima “ alla testata, non lasciò
altra scelta che quella di fare entrare per la prima
volta un magnate all’interno del capitale azionario.
Nel
1996, così, con l’industriale francese, Jerome Seydoux
finì l’autarchia di cui Libération andava
fiera. La nuova gestione decise di fare dei tagli di
personale, sopprimendo ben 78 posti di lavoro, ma
riuscì a dare alla testata quella solidità che le
mancava, anche se per poco.
Le
notizie sui presunti crolli finanziari e le beghe
interne del celebre quotidiano francese si rincorrono,
infatti, periodicamente. Nel novembre del 2005 il
“piano di economia e di trasformazione organizzativa”,
presentato dalla direzione per tentare di risanare il
bilancio, ha messo i giornalisti a braccia conserte
per giorni. La crisi, oltre che economica, è
diventata, secondo alcuni, anche interna, endogena, un
vero e proprio scontro generazionale. Da una parte
della barricata le colonne storiche del quotidiano
che, ormai, sono rassegnate alla logica di mercato che
si è impadronita della testata. Dall’altra, i
redattori più giovani, vicini all’estrema sinistra e
ai movimenti no global, legati in modo intransigente
alla logica del foglio di battaglia.
Ma
anche quel piano che tanto clamore aveva suscitato,
con 56 licenziamenti e 5 dimissioni, e 20 milioni di
euro dati alle casse del giornale dall’azionista di
riferimento Edouard de Rotschild, non ha potuto
evitare l’ennesima grande voragine economica.
Una
crisi a cui, nel settembre 2006, la testata ha deciso,
questa volta, di rispondere con la formazione di una
sorta di azionariato tra il suo pubblico più fedele,
denominato “società dei lettori” i cui esiti non sono
ancora chiari.
Intanto, la testata continua la sua battaglia per la
sopravvivenza, muovendosi, con l’eleganza di sempre,
tra scogli interni ed esterni ad essa. E qualche
lettore, con nostalgia, chiede : “Libé,
cosa hai fatto della nostra gioventù?”. |