N. 28 - Settembre 2007
La
Letteratura come “servizio sociale”
La Rapp e la censura ideologica in
Unione Sovietica
di
Stefano De Luca
Il Regolamento sovietico dell’8 giugno 1922 definiva le
competenze della neonata Direzione generale per gli
affari letterari e artistici (Glavlit), cui
spettava: “l’esame preventivo di tutte le opere, sia
manoscritte che a stampa, di tutte le edizioni
periodiche, le fotografie, i disegni ecc., destinate
alla pubblicazione e alla diffusione; compilazione
degli elenchi delle opere a stampa di cui è vietata
la vendita e la diffusione”. Nel Comitato Centrale
del Pcus era la
sezione propaganda e agitazione a fornire gli
orientamenti ideologici, ed anche le indicazioni
concrete, al Glavlit.
Il Partito volle però andare oltre la semplice
censura delle opere, stabilendo che lungo la strada
dell’edificazione del socialismo fosse necessario
che gli scrittori rinunciassero a qualcosa di più
grande, ossia che sacrificassero la loro autonomia
di giudizio sulla realtà delle cose, delegandola ai
vertici del Partito stesso, il quale avrebbe imposto
schemi rigidissimi alla creazione letteraria, noti
con il nome di ‘realismo socialista’. Per
comprendere tutto ciò, è necessario risalire ai
primi anni post-rivoluzionari, quando un ruolo
preminente nella vita letteraria sovietica venne
assunto dagli scrittori proletari uniti nella
Rapp (associazione russa degli scrittori
proletari).
Il Proletkult, l’organizzazione culturale
proletaria, ebbe l’indubbio merito di diffondere la
cultura e l’istruzione tra le masse, e proprio per
questo vi aveva aderito inizialmente anche il Fronte
di sinistra delle arti (LEF) di Majakovskij.
Ma accanto allo slancio per le masse, si notava
anche l’angustia teorica dei ‘pastori’, per dirla
come Blok, ossia dei dirigenti del Proletkult
stesso. Ciò che volevano gli scrittori proletari era
il riconoscimento da parte del Partito della loro
leadership nel campo culturale, e proprio per
questo vennero duramente attaccati da Aleksandr
Konstantinovic Voronskij nel corso di una seduta,
del 9 maggio 1924, della Sezione stampa del CC del
PC(b).
Voronskij, direttore della rivista Krasnaja nov,
riteneva che “l’arte, come la scienza, conosce la
vita, […] e non si pone il fine in primo luogo di
far nascere nel lettore sentimenti buoni”, che
invece era il fine dei proletari (e del Partito). Lo
scrittore proletario Ilarion Vardin nella stessa
seduta accusò Voronskij di “essere fuori dalla vita
politica e non vedere il pericolo che ci minaccia”,
ossia il pericolo della controrivoluzione che deve
essere debellato anche eliminando ogni tipo di opera
letteraria o artistica che potesse essere pur
lontanamente sospettata di avere carattere
filo-borghese. La risoluzione finale approvata nella
seduta del 1924 fu quella proposta da Jakov Jakovlev,
fondata sulle idee di Lenin (morto nel gennaio di
quell’anno) per il quale la rivoluzione socialista è
si cultura nel senso blokiano del termine, ma una
cultura che poggia su una solida base civile, e
quindi c’era bisogno di un atteggiamento costruttivo
verso la cultura borghese, e di un rapporto tra
partito e masse che non è quello tra pastori e
gregge.
Dopo solo un anno, il 18 giugno 1925, vi fu una
nuova risoluzione del Comitato Centrale del Partito
intitolata ‘Sulla politica del partito nel campo
della letteratura’, scritta quasi interamente da
Bucharin. Al paragrafo 9 diceva che “l’egemonia
degli scrittori proletari non c’è ancora, e il
partito deve aiutare questi scrittori a guadagnarsi
il diritto storico a tale egemonia”. Non a caso
Stalin in un discorso del 18 maggio 1925 affermava,
senza mezzi termini, “noi costruiamo una cultura
proletaria. E’ perfettamente vero”. Il cerchio stava
stringendosi, e le conseguenze sarebbero state
durature.
La Rapp, con a capo lo scrittore Averbach, fece il
bello e il cattivo tempo sino alla deliberazione del
Comitato Centrale del Partito del 22 aprile 1932
che, per incanalare la vita culturale sovietica,
sciolse la Rapp, vista l’imminente creazione
dell’Unione degli scrittori. Sembrò allora che i
rappisti stessero perdendo la partita; invece con
l’affermazione del ‘realismo socialista’ e con la
dichiarazione di Stalin ‘gli scrittori sono
ingegneri delle anime’, vennero affermate molte
istanze rappiste, tra le quali il concetto della
letteratura come servizio sociale. Il Partito si
sentiva sufficientemente forte per eliminare i
rappisti, che avevano ormai svolto il loro compito e
dovevano farsi da parte per l’imminente gestione
diretta della vita culturale sovietica da parte del
Partito stesso. “Il Moro aveva fatto il suo
servizio, il Moro poteva andarsene”, afferma
Vittorio Strada circa la sorte che toccò al
leader rappista Averbach, allontanato nel 1932
da ogni funzione direttiva (sarebbe stato fucilato
il 14 agosto del 1937). |