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N. 20 - Gennaio 2007

LEON DEHON

L'antisemitismo

di Arturo Capasso

 

L’anno scorso era tutto pronto per la beatificazione di padre Leon Dehon. La scomparsa del Papa non rese possibile la cerimonia e l’attuale pontefice Benedetto XVI ha forti riserve per il suo acceso antisemitismo.

 

L’articolo che segue cerca di esaminare le ragioni che hanno spinto il padre Leon a scagliarsi con troppa veemenza contro gli Ebrei. La nostra fonte è la terza conferenza che il padre tenne a Roma l’11 febbraio 1897. Gli stessi curatori dell’opera (Rinnovamento sociale cristiano) ammettono che “l’incontestabile antisemitismo di p. Dehon è un tema delicato, anzi penoso, soprattutto per noi oggi” (ivi pag. 129).

 

Le grandi opere degli ebrei moderni sono: “l’usura vorax, gli abusi dell’industria, le coalizioni dei potenti che hanno in mano tutte le fonti della ricchezza” (pag. 133).

Sembrerebbe inutile un qualsiasi approfondimento, giacché “sugli ebrei e sui loro misfatti tutto è stato detto”(ivi).

 

Qual è l’atteggiamento della Chiesa? Non è d’intransigenza ma di mano tesa, la Chiesa “non dispera del loro ritorno” (ivi).

 

Quando avrebbero cessato di essere il popolo di Dio? Probabilmente, se ho capito, fin dai primordi del cristianesimo c’è qualcosa che non va, tanto vero che S. Paolo “non poteva contemplare il loro indurimento senza piangere: Tristizia mihi magna est et continuus dolor cordi meo (Rm, 9,2)” ivi. Certo, il loro comportamento è stato negativo e sottoposto a provvedimenti dall’alto, anzi dall’Alto. Ma quasi a malincuore. Infatti, “Dio stesso non li ha rigettati che con tristezza e compassione” (ivi). Il rigetto, però, ha fatto seguito ad un lungo smarrimento. Si cita S. Paolo e la Lettera ai Romani: “l’accecamento parziale di Israele durerà fino alla conversione delle nazioni ; poi tutto Israele sarà salvato” (pag. 136).

 

 Ai tempi del relatore non sono ben visti: “Sono tristi, simulatori, trasandati… Non si vede in essi che l’usuraio, il merciaiolo, il venditore di occhiali o di anticaglie” (pag. 135).

 

Bisogna ricordare che gli Ebrei ai tempi di Carlo Magno hanno quasi il monopolio del commercio fra Oriente ed Occidente e raggiungono la massima prosperità. Inoltre, poiché sono gli unici a disporre di riserve monetarie, “possono anche cominciare ad associare all’attività di scambio quella del prestito; tanto che ben presto la loro presenza è considerata, in tutta l’Europa occidentale, come “indispensabile” (cfr. voce Antisemitismo in Dizionario di politica Utet 1983, pag. 30).

 

Col dodicesimo secolo il commercio passa di mano, soprattutto in Fiandra ed in Italia. Se ne può fare a meno, anzi è meglio eliminarli. Una nuova classe, la borghesia, spinge su tale progetto. Così le crociate rappresentano da una parte l’affermarsi di questa classe e dall’altra “la prima grande manifestazione di antisemitismo medievale” (pag. 30).

 

Gli Ebrei, non avendo più spazio nel commercio internazionale, si spostano verso quello locale, più modesto e – conservando sempre una notevole liquidità – si dedicano all’usura. I “clienti” non sono sovrani e nobili, ma contadini e modesti cittadini. “questo fatto porta al rapido deterioramento dei rapporti fra gli Ebrei e il popolo, che vede erroneamente in essi la causa della propria miseria”. (ivi pag. 30).  Non riscuotono simpatia, sono in conflitto con tutte le classi sociali.

 

 Nel 1348-50 in Germania sono accusati di avvelenare i pozzi e di essere quindi i veri colpevoli della peste nera. Questo è forse uno dei peggiori momenti. Segregati nei ghetti, fino al XVIII secolo vivranno in condizioni precarie, con un’attività endogamica.

Jakob Lestschinsky alla voce Ghetto sull’Encyclopaedia of the Social Sciences (vol. 6, pag. 648) ci fa sapere che il ghetto come zona di città riservata alla segregazione degli Ebrei “was given by Pope Paul IV in 1555 in the bull Cum nimis absurdum and the compulsory ghetto was in general a product of the sixteeenth century”

 

. Sono motivazioni che, apprese ora, destano sgomento. Non riusciamo a renderci conto di norme così ingiuste, inutilmente severe, che annullano la dignità dell’uomo. Inoltre, “la restaurazione religiosa voluta dalla controriforma e l’opera di numerosi frati predicatori contribuiscono ad arricchire di nuovi temi il repertorio di luoghi comuni antisemiti” (pag. 31). Non bisogna poi dimenticare che ci fu un flusso di Ebrei verso l’Occidente e dalla Russia zarista e dalla Polonia.

 

Ci sono molte contraddizioni: sono emancipati, le attività si ampliano, spaziano in molte fasce sociali, si forma una intellighenzia che sa come conquistare le leve del potere. E, tutto questo, determinerà un nuovo antisemitismo, questa volta più virulento, che ci porterà fino all’Olocausto. Prima abbiamo letto: “Dio stesso non li ha rigettati che con tristezza e compassione”. Sono “tristi, simulatori, trasandati”.

 

 Ma restano pur sempre una razza scelta, che ha dei numeri particolari, altrimenti “potrebbero dominarci così facilmente?” (cit.). Dunque, sono prediletti e nel loro destino c’è il ritorno alla fede, per “determinare il trionfo finale della Chiesa” (ivi). Quale Chiesa? E a quale fede devono tornare? Quale strada hanno smarrito? Padre Dehon si chiede: “ Qual è stata, nel corso dei secoli, la condotta della Chiesa verso i figli d’Israele?” (pag. 137). E risponde in modo categorico: “La Chiesa li ha sempre protetti quando nella società civile venivano massacrati” (pag. 138).

 

 Tale affermazione potrebbe significare l’appoggio continuo ed incondizionato. Ma è invece ridotto ai tempi in cui “venivano massacrati”. Il che giustificherebbe un atteggiamento non più benevolo quando fanno grossi passi nella stratificazione sociale, occupano posti di potere e s’interessano di finanza grande e piccola. Come dire, finisce l’impegno “morale” a sorreggere una creatura debole. Allora è ammessa tutta la penetrante attività antisemita?

 

Abbiamo accennato ai borghesi che si affermano nelle Crociate e al loro antisemitismo. Padre Dehon ricorda che “i papi Alessandro II e Gregorio IX arrestarono questi massacri” (pag. 138). La Chiesa – si rileva – è stata sempre misericordiosa verso gli Ebrei, anzi ha persino proibito a principi e baroni di confiscare i loro beni. Ma, attenzione: beni di chi? “degli ebrei convertiti” (pag. 139). Per gli Ebrei deve essere stato un gioco da ragazzi anticipare il detto di Machiavelli: Il fine giustifica i mezzi. In questo caso si aveva: il mezzo (essere cristiani) giustificava il fine (conservare i propri beni).

 

Bisogna ricordare che il termine antisemitismo è piuttosto recente. Infatti, apparve per la prima volta nel 1879 ad opera di Wilhelm Marr.

 

Padre Dehon passa velocemente da S. Tommaso a Gregorio XIII, tralasciando che nel 1555 Papa Paolo IV aveva proceduto agli “arresti domiciliari” nel ghetto. Con grande candore scrive: “Quanto tutto questo era giustificato!” (pag. 139). Ma va oltre: con un altro saltarello di secoli si richiama ad un rapporto presentato nel 1970 dai cattolici dell’Alsazia, in cui si chiede che “in nessun caso un ebreo  sia eleggibile a cariche politiche, amministrative e giudiziarie. E mai sia rivestito di alcuna di queste cariche” (ivi). Gli estensori sono stati illuminati addirittura da uno spirito profetico, perché hanno visto “con un anticipo di cento anni, spuntare gli Arton, gli Herz e i Reinach” (pag. 140).

 

 Poi c’è un altro giro di citazioni, che in poche righe abbracciano almeno un millennio. Egli dimentica sempre la vita che si svolgeva nel ghetto. Ne ho parlato già prima, ma è meglio tornarci sopra. Per alcuni la parola ghetto deriva dal talmudico “ghet” reclusione, che rappresentava il rione nel quale gli Ebrei dovevano vivere. Per altri deriva da “ghetta”, che significa fonderia. E probabilmente fu usata proprio perché un quartiere vicino alla fonderia nel 1516 fu chiuso con mura e cancelli e riservato all’insediamento di Ebrei. Per altri, invece, potrebbe derivare da “borghetto” o “guetto” o “guitto”. O, anche dal tedesco “gitter” (barriere). In molti Paesi della Diaspora c’erano questi quartieri che rappresentavano un’aggregazione volontaria. Come, del resto, abbiamo quartieri di neri e cinesi in America, quartieri europei in Asia. Altro nome usato era la giudecca. C’era una sola entrata. Le porte venivano chiuse al tramonto ed erano custodite da un cristiano.

 

Gli Ebrei erano obbligati ad entrare prima di notte, non potevano “invitare” un cristiano, all’alba si aprivano le porte… Ma non è tutto. Tali arresti domiciliari erano più gravosi durante la settimana santa: anche di giorno dovevano starsene entro il ghetto; l’apice della costrizione era di venerdì: bisognava tenere chiuse porte e finestre. Niente balli e suoni. Siamo, purtroppo, di fronte ad un fondamentalismo cristiano che è deleterio per chi crede ancora.

 

Ci sono adesso due passi, nel saggio di padre Dehon, che meritano una particolare attenzione: Shakespeare ed il Talmud. A pagina 142 troviamo: “Shakespeare, nel suo Schylock, si fece l’interprete dei lamenti del popolo cristiano”. Qui c’è una grossa svista, che mi fa sorgere un dubbio: l’autore conosceva “direttamente” l’opera di Shakespeare, o parlava de relato?

Infatti, Schylock è solo uno dei personaggi del Mercante di Venezia.

 

Obbliga il povero Antonio ad un contratto infernale: se non riesce a restituire il danaro preso in prestito, sarà costretto a dare una libbra di carne dal proprio corpo, scelta nel luogo più gradito del creditore.

 

Un patto infernale, che solo la bravura di una donna avvocato riesce a neutralizzare. Quando infatti in tribunale si decide l’applicazione del contratto, l’avvocato fa giustamente rilevare che Shylock deve staccare esattamente una libbra di carne dal corpo di Antonio, non un grammo in più. Cosa impossibile, e pertanto lo strozzino rimane fregato.

 

E veniamo al Talmud che “E’ il manuale del perfetto israelita, il manuale del debosciato, del corruttore, del distruttore sociale” (pag. 114).

 

Ho sotto mano la traduzione di Alfredo Toaff del libro del libro di Abraham Cohen. Si legge nella prefazione del traduttore: “ l’opera che presentiamo in veste italiana ai cultori delle discipline storico - religiose, è di profondo interesse per chi voglia avere un’idea esatta e quanto più completa del pensiero ebraico quale è esposto nel Talmud di Babilonia, in quello di Gerusalemme e negli altri scritti rabbinici paralleli che ne sono complemento” (Editori Laterza, pp. 480). Sono andato a leggermi che cosa si dice dei Cristiani: “i Dottori si trovarono a dover difendere l’idea monoteistica dagli attacchi dei primi Cristiani, che cercavano nel testo della Bibbia ebraica una base alla loro dottrina trinitaria” (cit. pag. 29).

 

La seconda citazione riguarda lo stesso argomento ed è a pagina 53: “L’attributo delle unità, a mò di esempio, fu sottolineato quando si cominciò a predicare dalla nuova setta dei cristiani un dogma trinitario”.

 

Una nota polemica riguarda le Scritture e lo studio che ne facevano i cristiani (pag. 94). Altro aggancio allo stesso argomento: “Poiché la Chiesa adottò le Scritture ebraiche, esse cessarono di essere possesso peculiare degli Ebrei” (pag. 186). E a pagina 223 leggiamo: “I Dottori, inoltre, non ignoravano ciò che accadeva in seno al Cristianesimo, in cui le donne, spinte dal fervore religioso, si votavano al celibato”. Un esplicito richiamo ai cristiani è fatto a proposito della forma talmudica della Regola Aurea: “ ciò che non desideri per te, non fare al tuo prossimo” (pag. 260).

 

 Nei passi che riguardano l’amore fraterno leggiamo: “Se vuoi che nessuno ti danneggi in ciò che possiedi, non devi danneggiare alcuno allo stesso modo”. E più avanti: “L’uomo sia sempre dei perseguitati e non dei persecutori” (pag. 261). Il nostro relatore aveva letto il Talmud? Perché tanto accanimento? Tralascio le statistiche  relative alla presenza degli Ebrei ai tempi del relatore.

 

 La massiccia penetrazione non giustifica comunque un atteggiamento persecutorio. Mi avvio alla conclusione, ma segnalo altri passi che mi hanno colpito (e sorpreso): “L’emancipazione non ha tardato di provocare l’invasione degli ebrei e il pericolo giudaico” (pag. 145); “…sono i padroni della produzione della ricchezza” (pag. 146); “…hanno la direzione di tutte le grandi industrie” (ivi). Occupano posti importanti nelle prefetture, nei Consigli di Stato, nella Corte di Cassazione, nei ministeri. Occupano banche, sono padroni della stampa, dei grandi magazzini. “Essi sono unici nell’odio contro Cristo” (pag. 150).

 

Conclusioni.

 

Un uomo, un uomo normale che abbia delle regole morali che lo accompagnano lungo il corso della sua vita, non può scrivere che gli Ebrei sono “un pericolo per la libertà del bene” (pag. 157). A maggior ragione non lo può dire un cristiano. Se poi questo cristiano è anche un sacerdote fondatore di un ordine religioso, si rimane sgomenti.

 

Bisogna avere sempre il coraggio di criticare, ma soprattutto di criticarsi, che è molto più difficile. E’ tempo che si faccia una rilettura serena, scevra da ogni timore,. I buchi neri, tutto sommato, sono anche un fatto positivo. Danno, infatti, più forza alla luce che è intorno.

 

 Ma si avrà la forza (e il coraggio) di tale rilettura?

 



 

 

 

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