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N. 23 - Aprile 2007

Josif Brodskij

I versi uccisi

di Stefano De Luca

 

Nel febbraio del 1964 venne arrestato dalle autorità sovietiche il poeta pietroburghese Josif Aleksandrovič Brodskij, accusato di ‘parassitismo’.

 

Nato nel 1940 da famiglia ebrea, Brodskij incontrò per questa sua origine non poche difficoltà durante l’adolescenza, soprattutto su un piano economico.

 

Cominciò a comporre le prime poesie nel 1958, che vennero fatte circolare già nel 1959 in samizdat dalla rivista Sintaksis. Venne notato da Anna Achmatova, la quale provò un amore immediato per i sui versi, così come venne molto apprezzato dai lettori del samizdat.

 

L’eco della sua attività giunse presto alla polizia sovietica, che decise di tenerlo sotto controllo.

 

L’amicizia e gli apprezzamenti della Achmatova, se da un lato erano un riconoscimento del suo valore poetico fuori dal comune, dall’altro erano un motivo in più di inimicizia col regime.

 

Il 29 novembre del 1963, il KGB nella figura di Lerner decise di deferire Brodskij al giudizio di un tribunale con l’accusa di ‘parassitismo’.

 

Chiunque non avesse un lavoro stabile, e per questo non desse un sufficiente contributo alla causa comune, era accusabile in Unione Sovietica di ‘parassitismo’.

 

Per le autorità sovietiche, i parassiti erano, usando le parole di Solženicyn, “i buoni a nulla profumatamente pagati”.

 

La colpa di Brodskij era stata il “rifiuto dimostrativo di fare una carriera letteraria sovietica, e la sua posizione di leader della poesia indipendente”.

 

Dopo aver trascorso alcuni giorni nel manicomio del carcere «Le croci», dove stabilirono che era sano di mente, venne condotto a  Norinskaja, villaggio agricolo nei pressi di Arkangel’sk, nell’estremo Nord, a scontare la sua pena.

 

Il fatto nuovo del processo a Josif Brodskij fu che venne  stenografato, per l’esattezza nelle giornate del 18 febbraio e del 13 marzo del 1964, dalla giornalista Frida Vigdorova, e pubblicato sia nel samizdat, che in Occidente.

 

Brodskij venne condannato a cinque anni di lavoro correzionale, ma il resoconto della Vigdorova riuscì a sollevare un grande clamore per la sorte tanto del poeta incriminato, quanto della poesia sovietica.

 

Grazie anche a queste pressioni provenienti sia dall’interno (molti intellettuali, tra cui Šostakovič, presero le difese del poeta) che dall’esterno, le autorità sovietiche decisero di liberarlo appena diciotto mesi dopo il suo arresto.

 

Una volta fatto ritorno alla vita civile, in Unione Sovietica gli venne impedita ogni possibilità di pubblicare le proprie poesie, che invece in Occidente avevano trovato una larga diffusione a partire dal 1965.

 



 

 

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