N. 16 - Settembre 2006
L’IMPERATRICE
SBAGLIATA
Profilo psicologico di Sissi d’Austria,
infelice sovrana che sognava l’altrove
di
Alessia Ghisi Migliari
E’ indubbio che la
Storia abbia avuto spesso figli ben poco sereni.
Personaggi brillanti, talvolta persino eroici,
portano con sè, in molti casi, quasi come
contrappeso a tanta dote o fortuna, instabilità
emotiva o menti complicate e difficili da leggere.
Quindi, senza
nessuna pretesa realmente clinica, è interessante
voler creare, per una volta, non un profilo
biografico in sè, ma un profilo psicologico.
Che magari lascia
più domande che risposte, ma che modifica il punto
di vista, e ci rende curiosi di guardare un pò più
dentro e un pò più in fondo.
E con questa
intezione, nome celebre e affascinante, ci
avviciniamo a Sissi, imperatrice d’Austria che non
seppe e volle essere tale.
BAMBINA DI
MONTAGNA, DONNA CON LA CORONA
La vicenda è nota,
malgrado sia stata diffusa da pellicole melense e
poco veritiere di una Elisabetta dolcissima e
amabile.
Dinamica e vitale
figlia di Max, duca in Baviera (e quell’ “in”
significa che si tratta di un umile ramo cadetto),
cresce libera nei boschi, mobilissima, sportiva,
instancabile.
Ed è appena
un’adolescente quando, andando in visita alla zia,
l’imperatrice Sofia, l’erede al trono Francesco
Giuseppe la vede e se ne innamora.
In realtà,
Elisabetta era lì come accompagnatrice della
sorella maggiore Elena, posata e splendida
giovane, che tutti credevano sarebbe stata la
sposa prescelta.
Ma di fronte alla
freschezza e all’ingenuità di Sissi, ai suoi
lunghissi e magnifici capelli, all’informalità dei
suoi modi (così diversi dalla tradizione asburgica),
il reale rampollo decide e non ha intezione di
ripensarci.
Sa di fiaba, almeno
all’inizio.
Ma la magnifica
nobildonna ha sedici anni scarsi, si ritrova
moglie (il che di per sè non sarebbe inusuale per
i suoi tempi e la sua classe sociale, se non fosse
per l’enormità del ruolo che andava a rivestire) e
futura imperatrice.
Gli onori e gli
oneri sono numerosi, gli impegni e i doveri
quotidiani, come del resto la ricchezza e le
possibilità che le si aprono innanzi.
A saperlo gestire,
il suo posto è sulla cima d’Europa e non solo.
Ma troppo piccola,
non educata per tanta ribalta, per nulla abituata
all’etichetta, il risultato si renderà disastroso
da sè.
Sempre più afflitta
da sintomi psicopatologici – insomma, era
terribilmente angosciata e lo manifestava con
fughe e comportamenti bizzarri – divenne figura
assente, che non presenziava quando doveva, che
stava lontano dalla propria famiglia e dalle
proprie responsabilità, impegnata a
viaggiare,viaggiare ovunque, obbligata al
movimento, a quella stessa attività fisica che
diverrà sfogo e mezzo per inseguire la perfezione
fisica.
E sempre all’estero morirà (per mano di un
anarchico), in Svizzera, ad appena 60 anni, nel
1898.
COI VESTITI
CUCITI ADDOSSO
Era alta 1 metro e
72.
Per la maggior parte
della propria vita pesò 50 chili, ma riuscì a
raggiungere i 46.
Il suo giro vita,
anche dopo le quaranta primavere, era di 50
centimetri appena, cosa che farebbe sfigurare
anche le nostre modelle, per quanto Sissi vivesse
in un’epoca che ancora apprezzava le donne piene e
morbide.
Ma in quella forma
di bellezza ascetica, cercava probabilmente la
creazione di un corpo, leggero, libero dalle
costrizioni del suo quotidiano.
Il corpo come
rifiutato, modellato,via di fuga.
Mangiava pochissimo,
per lo più latticini, certe volte, il suo pranzo
era solo un pò di sugo.
Eppure, passava
tanta parte della giornata a fare esercizio
fisico, per “scaricare i nervi” e mantenersi
tonica.
Cavalcava per ore
(si dicesse fosse una delle migliori cavallerizze
d’Europa), percorrendo talmente tanta strada da
sfibrare i cavalli.
Si dava allo
scherma, a passeggiate ed arrampicate in montagna,
in ogni dimora faceva installare una palestra, che
frequentava ossessivamente.
Per sottolineare la
sua invidiabile linea, ed avvalorare la sua fama
di bellissima (anche se fuor dai canoni), si
faceva cucire i vestiti addosso dalla sarte, e
impiegava quotidianamente tre ore a farsi
pettinare i magnifici capelli biondo-castano, che
quasi arrivavano a terra e dovevano essere
impeccabili.
Dovevano.
Nella sua incapacità
di mantenere il controllo di una vita gestita
dagli altri (la suocera, le regole, i figli che
sconosciuti allevavano), sfogava la propria
frustrazione nell’intransigenza totale verso il
proprio aspetto.
Era un mortificare
ed esaltare assieme.
E anche se non esistono prove che rimettesse dopo
mangiato, queste sue caratteristiche rendono
piuttosto veritiere leleggende attuali della sua
anoressia.
Secondo il DMS
IV-TR (Manuale diagnostico e statistico dei
disturbi mentali, ultima edizione, testo di
riferimento per la psicodiagnosi), una delle forme
di anoressia nervosa possibili è quella del
“sottotipo con restrizioni”, in cui il
dimagrimento non si ottiene con
abbuffata/eliminazione, ma con dieta, digiuno e
intensa attività fisica.
Il suo indice di
massa corporea (BMI), tanto spesso oggi citato per
avere dei numeri di riferimento, arrivò ad essere
16, mentre sarebbe dovuto essere di almeno 19
(circa una decina di chili in più).
Nessuno riusciva a
starle dietro.
Poi però, avvenivano
ovvi periodi di astenia, estrema debolezza,
sintomi fisici respiratori non ben definiti (più
volte si pensò stesse per morire), ma che
sparivano quando si allontana da Vienna.
ALTROVE
Madeira, Corfù,
ovunque.
Tracciare una mappa
dei suoi spostamenti fisici continui durantela sua
vita di consorte di Francesco Giuseppe non è
fattibile.
E’ un vai e vieni
delirante.
Arriva, si calma,
l’angoscia torna, riparte.
Almeno, così non sta
male: i suoi polmoni non soffrono, lei non resta
senza energie a letto, prossima all’al di là...quindi,
nessuno approva ma nessuno vieta.
Non mente, no.
Almeno con coscienza.
Solo che proietta
sul suo corpo, il malessere di essere a Vienna,
quel senso di ‘oppressione’, di essere “un uccello
in gabbia”, un “gabbiano” senza libertà (numerose
le poesie da lei scritte in cui torna sul tema).
Il fisico diviene
sede da lei controllabile dell’espressione del
dolore, del senso di soffocamento che non la
abbandonava neanche quando, effettivamente,
nessuno la tratteneva, per quanto criticabile
fosse il suo comportamento.
Non riusciva a
scendere per scale strette, aveva attacchi di
panico (sudava, aumentavano le palpitazioni, si
sentiva morire, doveva scappare, l’aria mancava e
la testa diventava leggera, con un senso di
derealizzazione) e solo quando era nella natia
Baviera, la situazione si calmava e lei tornava
fanciulla entusiasta.
In tutto il restante
tempo, l’iperattività era tentativo inutile di
sfuggire alle proprie paure, al proprio senso di
inadeguatezza, a una parte impegnativa che non
risuciva proprio a recitare.
Come lei stessa
ammetteva : “Del resto provo sempre il desiderio
di continuare il viaggio. Quando vedo salpare una
nave, rimpiango di non trovarmi a bordo. Non
importa che sia diretta verso il Brasile, l’Africa
o Città del Capo. Basta non restare fermi per
tanto tempo nello stesso luogo”.
IL GABBIANO
Certe volte le
diagnosi precise non sono così importanti, e i
contorni tra un disturbo e l’altro sfumano.
Ansia, depressione,
anoressia, ipocondria, fobie, attacchi di panico,
disturbo di iperattività (pur non essendo una
bambina)...detta così sembra che Sissi non avesse
scampo.
Ma sono tutte facce
della medesima medaglia.
Di una donna
giovanissime, madre e imperatrice, non cresciuta
per questo ruolo.
Non che se ne voglia
fare una vittima, per carità: le vittime sono
altra cosa,lei fu senza dubbio un essere umano
privilegiato.
Ma non tutti hanno la forza per vivere i
privilegi.
E lei, cresciuta di
boschi e fiumi, rinchiusa negli obblighi politici
e nell’etichetta, finì per mostrare gli aspetti
più crudi e spiacevoli del suo carattere.
In rivolta contro il
“Sistema”, intollerante verso il non arguto ma
caro e innamorato marito, le sue ire e i suoi
sgarbi non si contavano.
Come scriveva al
cugino Ludwig II (psichicamente assai malato), con
cui condivideva uno stretto rapporto di idealità
romantica, lei era un gabbiano.
E un gabbiano non
puoi chiuderlo in freddi saloni, per quanto
sfarzosi e importanti.
Dopo la morte per
suicidio del figlio ed erede Rodoldo, molti
sintomi andarono esecerbandosi.
Temendo quella
vecchiaia che avrebbe scalfito la sua perfezione
creata per rassicurarla, la girandola di
spostamenti degli ultimi anni fece sì che non fu
pressecchè mai nella capitale austriaca.
Alla fine, ciò che
rimane, è un’infelicità che aveva una colpa e una
condanna ben precisa.
Quella di aver avuto
in dono un posto enorme, nella Storia.
E, come capita
sovente, pochi sono in grado di affrontare tanta
gloria.
Elisabetta,
intelligente e volitiva, non era nata per essere
imperatrice.
Comunque lo divenne.
E non fu mai più se
stessa. |