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N. 23 - Aprile 2007

IL NAZISTA E IL PIANISTA

Hosenfeld, che salvò Szpilman

di Alessia Ghisi Migliari

 

E’ divenuto in un certo senso famoso, dopo il film di Polanski.

 

E non si sta parlando di Szpilman, pianista che la fama la ebbe di suo, in vita, per le sue doti di prolifico musicista.

 

Nella parte finale della pellicola, in cui Wladyslaw, ormai spossato e fuggiasco, si ripara in una casa in rovina, appare il personaggio di un nazista – potrebbe essere, dopo tanto battagliare, la fine dell’eroica resistenza di un giovane uomo che non ha più nessuno.

Invece.

 

Szpilman aveva una famiglia amorevole e colta: ma essere ebreo polacco, in tempo hitleriano, non poteva portare nulla di buono.

Lentamente spogliati di ogni cosa, come migliaia d’altri, trovatisi infine nel ghetto, in mezzo a vessazioni e tragedie di ogni sorta, e poi deportati.

Tutti: padre, madre, sorelle e fratello – tutti tranne lui.

Sei poco più che trentenne, e sei considerato un talento: trascorri anni tentando di sopravvivere, tu e i tuoi cari, e poi ti ritrovo solo, totalmente solo, a camminare per vie distrutte. Sai che non rivedrai chi fino ad allora erano stati la tua esistenza.

Ma non demordi, scappi, ti rifugi, rischi di morire.

Quando i russi stanno per arrivare (forse), tu sei rannicchiato lì, fra quattro mura devastate, disabitate, sporco ed estenuato, vigile a ogni minimo rumore.

A un certo punto ti volti – a quanto può resistere un essere umano? – e c’è lui.

Che, ovviamente, è sicuro di sè, con la sue bella divisa, il suo caldo cappotto in una stagione e in un luogo che sono gelidi.

E’ uno di loro, e tu sei ebreo – un topo, una pulce e altro, a quanto pare.

Hai finito: verrai schiacchiato come insetto, resterai senza nome, senza nulla, come se ti restasse molto poi (e stavi cercando cibo, nulla più)!

“Che cosa ci fai qui? Non lo sai che l’Unità di comando della piazzaforte di Varsavia si insedierà in questo edifico da un momento all’altro?” – a un certo punto ci si arrende pure –

“Faccia di me quello che vuole. Di qui non mi muovo!”

“Non ho intenzione di farti niente”.

Così Szpilman incontrò il suo salvatore.

Che gli chiese che mai facesse nella vita – il pianista, faccio.

E nella stanza accanto c’era uno strumento a coda: “Suona qualcosa!”.

Notturno in do diesis minore di Chopin.

I due uomini – due fronti opposti della storia – si perdono nella musica, l’uno con timore, l’altro assorto.

Dopo, l’ufficiale gli chiede se sia ebreo, e dove si nasconda – in soffitta.

Salgono assieme, quello che dovrebbe essere un nemico gli fa notare dove potrebbe ripararsi meglio, gli promette cibo.

“Lei è tedesco?”
”Sì, e me  ne vergogno dopo tutto quello che è successo!”.

 

Il nazista gli porta da mangiare, gli dice di resistere, la guerra sta per finire.

Le visite si susseguono, fino quasi a Natale.

“Se siamo riusciti a sopravvivere più di cinque anni a questo inferno è evidente che Dio vuole che noi continuiamo a vivere. In ogni caso, non possiamo far altro che crederci” – questo dice al pianista l’ultima vola che si vedono.

E in un impeto che viene dalla gratitudine, il giovane polacco si presenta, lascia il suo nome all’altro: non si sa mai, potrebbe tornargli utile, dopo la guerra, se avesse dei problemi.

Lavora alla Radio, che se lo ricordi, visto che Wladyslaw non sa come si chiami questo misericordioso nazista.

 

E sopravvive, il musicista talentuoso.

Certo, rischia di farsi uccidere perchè si getta in strada con il pastrano che l’ufficiale gli ha lasciato per scaldarsi, ma è un equivoco che si chiarisce – sarebbe una morte ben sarcastica.

E l’altro, Wilm Hosenfeld, finisce in un campo di internamento per prigionieri di guerra – non si mettono bene, le cose.

Ma proprio di lì passa un collega di Szpilman, un violinista, che, in un impeto di rabbia, si mette a offendere quelli che ora sono in gabbia, quelli che li hanno torturati e sterminati: il tedesco capisce che si tratta di un musicista, si avvicina febbrile, gli chiede se conosce il pianista – certo che lo conosco.

Io l’ho aiutato, gli dica che sono qui...

Ma l’uomo è un sopravvissuto, ha altro a cui pensare.

Quando racconta l’episodio all’amico, due settimane dopo, questi si reca di corsa nel luogo indicato, ma non c’è più nulla.

E le proverà tutte, Wladyslaw, per ritrovare chi gli ha permesso di essere ancora qui – inutilmente.

E la sua vita va avanti, e si ricrea, ferita ma bene in piedi: una famiglia, la carriera, il successo meritato.

 

Wilm Hosenfeld, al di là della Wermacht aveva ben altro: nel pieno dei suoi quaranta anni (al momento in cui incontra Szpilman), ha moglie e figli che adora, ed è un insegnante.

Responsabile di tutti gli impianti sportivi requisiti, alla fine del conflitto viene preso dai sovietici.

E muore.

Muore sì, ma sette anni dopo.

Rinchiuso a Stalingrado, non creduto da chi lo interrogava, venne torturato, ebbe diversi ictus che lo ridussero come un bambino, ma malgrado ciò venne picchiato fino alla fine.

Anni dopo, un tale Warm raggiunse la signora Hosenfeld: anche lui, ebreo, aveva avuto un aiuto da suo marito, e non era l’unico e nemmeno il secondo.

Fu qui che emerse una lista di persona aiutate dall’ufficiale – e così Warm si recò dal pianista, che finalmente aveva un nome e che a sua volta seppe così come si chiamava il proprio salvatore.

Era il 1950, e Wladyslaw, disgustato ma deciso, andò persino a pregare Berman, il capo della NKWD polacca, un nuovo potente, per nulla compassionevole, per nulla umano.

Sarà un’umiliazione gratuita: nulla verrà fatto, e per il nazista generoso fu la fine.

Lui, che era un credente devoto e un padre affezionato, e aveva aiutato bimbi e famiglie, era morto in maniera terribile, lontano, seviziato.

E restano di lui diari – diari che dicono molto, non di quelli che si redigono per scusarsi poi, ma di quelli che si scrivono per ricordarsi che si è diversi – parla disperato della brutalità del regime e dei colleghi, si indigna, non resiste più, non comprende:
”Dalla chiesa cattolica mi perviene un suono di musica d’organi e canti (...) Lascio che il prete benedica anche me. Bambinetti innocenti, qui in una città polacca, là in una città tedesca o in qualche altro Paese, pregano tutti Dio. E, tra pochi anni, combatteranno e si uccideranno con odio cieco (...) L’umanità sembra condannata a fare più male che bene. Il più grande ideale sulla terra è l’amore fra gli esseri umani” – ma indossava “quella” divisa.

 

Molti si sono mobilitati affinchè la Yad Vashem lo inserisca fra i Giusti fra le Nazioni.

Per ora, non è ancora.

Si dubita – in fondo, faceva parte della Wermacht, qualche azioni spregevole, magari all’inizio, l’ha fatta (è anche comprensibile, tanta attenzione nel valutare).

Ciò che però si sa per certo, è che esiste anche per lui una lista di persone salvate: non migliaia o centinaia, ma persone.

Tra cui un pianista polacco, che gli ha lasciato un Notturno di Chopin.

 

Dice il Talmud: “Chi salva una vita, salva il mondo intero”.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Szpilman W., “Il Pianista”, Baldini e Castoldi, 1999

www.hosenfeld.de

de.wikipedia.org

http://www.hosenfeld.de/pianist.htm

www.yadvashem.org

 



 

 

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