N. 13 - Giugno 2006
IL FIGLIO DELLA MUSICA E
L’ALLEVATORE DI POLLI
Una squadra temibile e
improbabile al comando dell’olocausto: Heydrich e Himmler
di
Alessia Ghisi Migliari
,
Più diversi non potevano essere.
Il loro finì dunque per essere connubio perfetto, macabro
al punto giusto per la Germania di Hitler.
Reinhard Heydrich lascia perplessi.
Vedi questo giovane alto, biondo, bello, di modi
palesemente raffinati, dal passato fortunato e tenace.
E capisci che si tratta di una di quelle menti che,
volendo, può riuscire in ogni cosa – nulla precluso.
Nato nel 1904 da una famiglia di musicisti di alto
lignaggio, crebbe in ambienti lussuosi che davano non
poche opportunità a un ragazzo giovane sveglio,
brillante e atletico come lui.
Gli amici lo chiamavano “il figlio della musica”, e non
solo perché i suoi genitori avevano non pochi talenti
nel settore (padre musicista e compositore, madre
cantante d’opera), ma anche per via dello stesso
Reinhard, che cantava e suonava violino e pianoforte.
Lo si riesce quasi a immaginare, in qualche elegante
stanza luminosa, ad esercitarsi, all’inizio
dell’adolescenza.
Ma non era solo questo.
Di intelligenza veloce e terribile ambizione, amava molto
lo sport, cui si dedicava con passione, ma soprattutto
ebbe una rapida ascesa professionale in Marina (aveva
scelto la vita militare ), al punto da essere tenente
a 22 anni.
Colto, capace di parlare quattro lingue, la sua carriera
sarebbe ulteriormente svettata se non fosse stato per
un incidente che causò un brusco cambio di rotta.
Adoratore del gentil sesso, mette incinta una donna e non
la vuole sposare. Questa sostiene di esser stata
violentata e con un procedimento che arriva a
coinvolgere persino Hindenburg, viene allontanato dal
servizio.
Ma ad un bivio si trova sempre almeno un’alternativa.
E per lui fu quel nascente partito politico che iniziava a
raccogliere consensi fra il popolo.
Siamo nel 1933, e in questo nuovo incipit della sua vita
incrocia uno strano figuro che sta tentando di mettere
assieme un ente che, per evitare tradimenti, controlli
da dentro le “sue” stesse SS: Heinrich Himmler.
Più diversi non potevano essere.
Heinrich Himmler è gracile, malaticcio, debole e di una
timidezza patologica.
Ha frequentato un corso di agraria, si è occupato di
fertilizzanti e allevamento di conigli.
Ha avuto una buona carriera scolastica, diligente e
attenta, manifestando però una totale assenza di
qualunque capacità in musica, materia a lui più
ostica.
Poco importante, certo, ma paradossale se si pensa che
sarebbe diventato il capo di un Heydrich, e che
proprio lui con precisione teutonica avrebbe
orchestrato – ironia ! – i piani peggiori che
l’umanità potesse pensare.
In ogni caso, il piccolo Heinrich non appare
particolarmente vivace né dotato. Essenzialmente, la
sua forza sta nella sua enorme capacità organizzativa.
Si sposa con una virago più anziana di lui, non perde
nulla delle sue incertezze, eppure arriva ad essere,
nel 1928, Reichsfuhrer delle SS (premiato per una
dedizione iniziata già dal Putsch di Monaco).
Il suo compito è quello di fare di questa polizia un corpo
ben al di sopra della ferocia delle SA (le squadre
d’assalto), e lui, lirico come talvolta è, vede nelle
SS una schiatta di cavalieri di razza nobile, eroi
biondi dagli occhi chiari che portano avanti con
orgoglio germanico le loro origini.
Naturalmente il suo curriculum nel tempo acquista
spessore: Capo della Gestapo, Segretario di Stato e
vertice di tutta la polizia tedesca, organizzatore dei
primi lager fino ad essere, nel 1943, Ministro degli
Interni e Responsabile dell’amministrazione del Reich
e – poco prima della disfatta, nel 1945 – Comandante
del gruppo armato del Reno e della Vistola.
L’allevatore di polli, afflitto da bambino da ogni sorta di
complesso di inferiorità, è diventato uomo di fama –
solerte, attento, pignolo fino alla maniacalità.
Ingloriosa, però, la fine: tenta numerose trattative per la
resa e la pace e incontra persino un rappresentante
del congresso mondiale ebraico per la liberazione di
alcune migliaia di donne, ammettendo che ‘qualcosina’
di criminale nei lager è avvenuto.
Saputo di queste manovre sotterranee per arrendersi, Hitler
lo destituisce, e Himmler si ritrova a dover fuggire,
tra l’altro senza successo.
Fermato e riconosciuto dagli inglesi, ammessa la sua
identità, si suiciderà stringendo fra i denti la
capsula di cianuro che aveva in bocca, il 23 maggio
1945.
Di altro genere il percorso di Heydrich.
I due divengono collaboratori per la realizzazione appunto
di un servizio di controllo.
L’acume e l’intelletto di uno e la metodicità dell’altro
divengono una miscela non proprio gloriosa.
Nasce l’ RSHA (Ufficio Centrale della Sicurezza dello
Stato), che si occupa di ogni settore della vita
pubblica.
Reinhard è intrigante: cerca dettagli e parentele scomode,
scopre vizi e falle nell’esistenza dei membri del
partito, nulla perdona e nulla tralascia.
E’ una raffinata spia senza scrupoli. E sarebbe
interessante capire quanto c’entri, in questa
precisione perversa, il suo volersi lasciare alle
spalle dubbi che serpeggiano e che oggi paiono ormai
quasi certezze: Heydrich è, ‘almeno’ per un quarto,
ebreo.
Cosa che non sconvolge Hitler, ma che anzi lo lascia
contento di avere una verità simile con cui “tenere in
pugno” un soggetto ammiratissimo ma definito da lui
stesso “pericoloso”.
Faceva paura, Reinhard.
E non a torto.
Nel 1943 è capo della Gestapo e Consigliere di Stato per la
Prussica, due mesi dopo è tenente generale delle SS e
sempre nello stesso anno è Capo della RSHA.
E’ lui nel 1938 a inviare una lettera a tutti i capi della
polizia di sicurezza con i dettagli della persecuzione
razziale da attuare, in seguito seguita dallo
sterminio – e metterà anche mano all’ideazione della
Notte dei Cristalli.
Ha anche uno spirito vendicativo: quando un “giudeo” uccide
in Francia il segretario della legazione tedesca, fa
arrestare 20000 ebrei benestanti, inviandone subito
una metà a Buchenwald.
Di fronte a tanta dedizione, Goring gli consegna l’ufficio
centrale per l’emigrazione degli ebrei: si ritrova
così ad organizzare pogrom e ghetti, e nel 1941
diviene Protector di Boemia e Moravia.
E sempre Heydrich organizza la conferenza sul lago Wannsee,
dove verranno stesi i tragici protocolli che
segneranno la morte di milioni di ebrei.
Poi la fine.
E’ difficile dire ‘prematura’, in questo caso.
E’ il 27 maggio 1942, e mentre costeggia la Moldava rimane
vittima di un attentato.
Morirà dopo giorni di agonia all’inizio di giugno.
Ma anche dalla tomba lascerà cadaveri: per risposta alla
sua uccisione, il villaggio di Lidice viene raso al
suolo, bruciato, i suoi uomini uccisi, le donne
deportate a Ravensbruck.
Nessuno dei due fece mai un passo indietro di fronte a
persecuzioni né torture.
La delazione, l’omicidio, la strage – questioni
burocratiche e di disciplina.
Eppure, erano su fronti opposti, caratterialmente.
Himmler era convinto di essere – grandiosità compensativa –
la reincarnazione dell’imperatore Enrico I. Aveva modi
dimessi, un’aura di mediocrità che nessuno poté
negare. Coltivava un miscuglio di teorie
naturalistiche e occulte sul passato ancestrale della
Germania, e credeva a pseudoscienze antropomorfiche
che alla fine furono castelli in aria.
Eppure, di fronte alla fine del collega, forse consapevole
del conflitto che l’altro provava verso la propria
presunta parte ebraica, disse: “In fondo, quell’Heydrich
non è stato che un poveretto” – e subito fu pronto ad
aumentare il proprio potere prendendo in mano parte
del lavoro del defunto.
L’arianissimo (d’aspetto) Reinhard, invece, dava
un’impressione più profonda, in chi lo circondava.
Fu sarcasticamente definito “Il Mosè biondo”, e poi, più
spaventosamente: “Un giovane e crudele dio della
morte” (Burckhart), “Il macellaio di Hitler”, ma –
soprattutto – “La bestia bionda”.
Che siano altri nazisti a chiamarlo così rende la cosa
ancora più inquietante.
Calcolatore, spietato, feroce, ma talmente dotato da poter
aspirare alle massime cariche e far tentennare
persino Hitler, conciliare l’idea di un gentiluomo che
sfiora delicatamente un violino con l’altra faccia
della sua realtà non è semplice.
In quella celebratissima “banalità del male” da cui Himmler
certo non sfugge, Heydrich emerge per la sua
individualità unica e imponente.
Il che, probabilmente, lo rende ancora più colpevole e
terribile, senza dubbio atipico.
“Il figlio della musica” sapeva comporre e suonare –
delicatezza e armonia – poi indossava una divisa e, se
in lui c’era da qualche parte un uomo, lo perdeva.
L’uomo che invece non sapeva proprio suonare e allevava
polli imparò a controllare minuziosamente campi di
concentramento e dati e numeri che poi erano esistenza
svanite.
Lavoravano gomito a gomito – probabilmente non si
comprendevano molto.
Ma, assieme, furono compositori tragici e sadici.
Questione di ritmo e amoralità.
.
.
Riferimenti bibliografici:
.
Knopp, G., “Tutti gli uomini di Hitler”, Milano, Corbaccio
1999;
Manwell, R. “Heinrich Himmler”, Milano, Longanesi
1987;
Testa L., “I gerarchi del III Reich“, Giunti, Milano 2005;
Lebert N. e S., “I figli dei gerarchi nazisti”, Milano,
Garzanti 2004;
Johnson E. A., “Il terrore nazista: la Gestapo, gli ebrei e
i tedeschi”, Milano, Mondadori 2001;
www.cronologia.it/storia/biografie/heydrich.htm;
www.cronologia.it/storia/biografie/himmler.htm;
www.historyplace.com/worldwar2/biographies/heydrich.htm;
www.olokaustos.org/bionazi/leaders/himmler.htm |