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N. 19 - Dicembre 2006

L’OMBRA DELLA MADRE E LO SGUARDO DI HITLER

Intervista ad Helga Schneider, scrittrice e testimone di una vita nella Storia

di Alessia Ghisi Migliari

 

Il titolo ha una forza che vibra.

Dovrebbe essere così per un libro – ma non lo è quasi mai.

Lasciami andare, madre.

E ti immagini un gesto violento, che trattiene e frena – frena per ogni giorno a venire.

Mamma è quella che di solito ti dice che la vita è bella e non sarai sola eccetera.

Qui invece, fra le pagine, paradossalmente, non si racconta di un genitore che non ti vuole lasciare andare, ma che ti lascia e basta.

E così non sei più libera.

 

Helga Schneider è nata  nel 1937.

E’ una scrittrice, e anche un’artista grafica, come si vede nel suo sito (www.helgaschneider.com).

 

Vive a Bologna dal 1963, dove si è sposata e ha avuto un figlio – questo in breve.

In realtà, dietro di lei, una storia lunga e complicata e, malgrado tutto, vincente (ammesso che in guerra ci siano vincitori).

 

Quando aveva appena quattro anni, lei e il suo fratellino sono stati abbandonati dalla madre, mentre il loro padre era al fronte, e per un certo periodo hanno goduto della presenza serena e affettuosa della nonna, venuta dalla Polonia per stare con loro, a Berlino.

 

Poi è arrivata una matrigna, che alla piccola Helga non era per nulla affezionata, e che quindi ha preferito farla internare in collegi rieducativi per bambini difficili – soprattutto lontana da sè.

 

E c’era la guerra e il nazismo e, quando la sconfitta tedesca si è avvicinata, sono arrivati la fame e la paura, e il buio degli scantinati dove si nascondeva la gente comune, le donne e i bambini e i vecchi.

 

Non un’infanzia degna del nome, su questo non si discute.

 

Ci sono stati i cadaveri per strada, e i russi inferociti che si sono rifatti sulla popolazione inerme restituendo ciò che le armate di Hitler avevano fatto in precedenza al popolo sovietico : questioni senza fine.

 

E poi il dopoguerra : generazione sfortunata. Helga e la famiglia sono rimpatriati  in Austria, paese di origine del padre – ma anche lì la matrigna ha ottenuto che la ragazzina venisse mandata in collegio, e alla fine quello sarà il suo posto fino ai sedici anni. Dopo, la giovane ha deciso che è meglio camminare con le proprie gambe, cercare un luogo per lei, e, appena diciassettenne, ha lasciato il “nido”, è andata a vivere a Salisburgo, si è mantenuta agli studi e già sapeva di voler scrivere, già lo faceva.

 

E da Vienna, dove si è trasferita, grazie all'anticipo di un libro che non sarà mai pubblicato parte per un viaggio alla volta dell’ Italia, incontra il futuro marito e indietro non torna più. 

 

Nel 1971 è una giovane moglie, ha un cucciolo di cinque anni, e scopre dove trovare sua madre, quella che è andata via moltissimo tempo prima, e che nessuno le ha spiegato perchè.

 

Sta a Vienna, e lì la raggiunge, vuole conoscerla, farle incontrare il nipotino, cose ovvie.

 

Ed è allora che la storia si riempie dove c’erano i vuoti : la mamma partita era una fervente nazista, un’ausiliaria delle Waffen SS, che aveva lasciato i suoi piccoli per seguire il proprio credo e diventare  una  guardiana al campo di sterminio di Auschwitz - Birkenau.

 

Non che si possa immaginare che significhi questa confessione. Ma il fatto è che la donna che l’accoglie in Austria non ha alcun pentimento di quel passato, di cui ormai si sa molto.

 

Anzi : percepisce la propria esistenza come spenta, dopo la caduta di Hitler.

Non un dubbio, niente.

 

L’incontro dura poco, Helga se ne va.

 

E passano altri ventisette anni prima che avvenga l’ultimo faccia a faccia con questa madre, ormai anziana: è il 1998, ma ancora nulla è cambiato, nessun ravvedimento, nessun riavvicinamento.

 

E non è che tu da fuori possa immaginarti che significhi, questo, ma lo puoi leggere, perchè Helga la scrittrice trova quel titolo, quello che vibra (Lasciami andare, madre, Adelphi, 2001 ), e racconta di sè, di questa mamma che se ne è andata, e così non la potrai mai lasciare, rimane un’ombra, per ciò che non è stato e ciò che ha fatto – lei, non tu.

 

Helga-che-sempre-scrive oggi ha successo, è tradotta, conosciuta. Tra letteratura e testimonianza, é così che la presentano ai convegni, alle conferenze, quando incontra gli studenti nelle scuole, perché per lei “la testimonianza storica é un dovere”, come diceva  già Primo Levi.

 

E da questi ricordi scomodi, aguzzi, nascono molte delle sue opere, che affrontano ognuna una tematica spesso poco nota del nazismo, come ad esempio “Il piccolo Adolf non aveva le ciglia” (una riedizione che uscirà nel gennaio 2007 con Einaudi), o l'ultimo, che racconta del suo veloce e incisivo incontro con Hitler, avvenuto nel bunker del Führer, in una Germania prossima alla disfatta.

 

Io, piccola ospite del Fuhrer (Einaudi, 2006) è infatti l’evocazione proprio di quell’episodio, di quei luoghi senza luce, a pochi passi dalla sconfitta – Helga, una bambina “privilegiata” (dicevano), che grazie ad una zia acquisita riesce a trascorrere due giorni in quella prigione sotto terra e “riempirsi finalmente la pancia”, cosa diventata ormai impossibile nella Germania affamata.

 

Allora provi a contattarla, questa donna che ha tanto da dire, anche se pensi che mica è facile.

 

E invece trova il tempo di risponderti e rispondere alle tue domande, anche se magari l’ha già fatto parecchie volte.

 

E ti parla di un senso di colpa come se fosse qualcosa di suo, come se si potesse accusare i figli di ciò che han fatto i genitori – è una cosa che sorprende, davvero come un legaccio, che non si scioglie.

 

Ma, visto che se ne ha la possibilità, meglio lasciare alle sua parole lo spazio che devono avere.

 

1) Signora Schneider, leggendo alcuni suoi libri appare nettamente, sullo sfondo, l’enorme solitudine di una bambina e una ragazzina che si è trovata negli sconvolgimenti della Storia e di una famiglia altrove. Lei è nata in Polonia nel 1937, e nel 1941, mentre lei e il suo fratellino eravate ancora piccolissimi, vostra madre vi ha lasciato, vostro padre era a combattare. Non esiste nella sua mente, così incredibilmente giovane, almeno un ricordo gentile di questa mamma che voleva altro?

 

Non ho nessuno ricordo gentile o affettuoso di mia madre.

Nessuno.

 

2) Per qualche tempo la sua infanzia è stata consolata dalla presenza della nonna paterna, semplice, severa ed affettuosa. Quando però suo padre si è risposato, la sua matrigna, non avendo alcuna affezione per Helga, l’ha istituzionalizzata in diversi collegi. Eppure è stata la direttrice di uno di questi luoghi, a parlare di razzismo in un’ottica fino ad allora sconosciuta. Al punto che forse fu anche il suo insegnamento a permetterle di guardare con occhi diversi Adolf Hitler. Cosa le diceva quella voce così inusuale per emergere sopra tutte le altre con tanta forza?

 

La direttrice del mio secondo collegio diceva l'esatto contrario di quanto prima  avevo sentito attorno a me, di quanto dicevano la radio, gli altoparlanti in giro, l'invadente e onnipresente propaganda. Lei diceva che il Führer era un cattivo soggetto, che era un razzista e che definiva gli ebrei esseri inferiori. Io naturalmente ero confusa, non capendo bene se dovevo credere a Mutter Heinze o alla propaganda.

 

3) Lei ha ripetuto più volte che eravate infarciti da una cultura e un indottrinamento votati all’antisemitismo. Erano i nemici, erano inferiori. Lei conosceva, da piccola, compagni o amichetti ebrei?, anche per la piccola Helga erano nemici?

 

Ho cominciato ad andare a scuola nel 1943 e all'epoca difficilmente c'erano  ancora bambini ebrei nelle scuole tedesche.

 

4) I suoi primi anni sono stati durissimi. Ha anche conosciuto, al di fuori di una dolorosa situazione familiare, il dramma della fame e della povertà nella Berlino distrutta dalla guerra, lunghi periodi nel buio delle cantine. La gente credeva ancora che il nazionalsocialismo ne sarebbe uscito vincitore?

 

   Dopo la disfatta di Stalingrado il popolo tedesco (tranne gli irriducibili, i fanatici), aveva capito che la guerra era perduta e che forse prima o poi anche il nazionalsocialismo sarebbe crollato. Ho sentito mugolii in questo senso, ma in realtà era pericoloso pronunciare questi pensieri in luoghi pubblici, e la gente aveva paura di esprimerli perfino in seno familiare o tra amici, sospettando ovunque la possibile infiltrazione di qualche spia o informatore della Gestapo.

 

5) Nel suo ultimo libro, Io, piccola ospite del Fuhrer (Einaudi, 2006) racconta della sua esperienza come piccola ospite nel bunker di Hitler, del  breve e incisivo incontro con questo uomo, che non era quello che si era immaginata e che invece si è trovata, lì, in quel luogo buio. Eppure il suo sguardo era diverso dalla sconfitta che aleggiava dovunque. Cosa c’era di così convincente e “diabolico” in quello sguardo?

 

Hitler aveva senza alcun dubbio uno sguardo particolare, magnetico, penetrante. Era un uomo dall'indubbio carisma, ma esistono carismi usati a fin di bene, e carismi usati a fin di male. Hitler ha usato il suo a fin di male.

 

Quando l'ho visto per quei pochi minuti, il suo sguardo - malgrado  attorno a lui tutto sapesse di sconfitta e morte - mi era parso fermo e autoritario. Ma forse era anche lo sguardo dell'uomo che ormai viveva in un mondo tutto suo rifiutando la realtà dell'evidente prossima sconfitta che al contrario quasi tutti attorno a lui sentivano, avvertivano sicuramente con paura e angoscia. Tutti temevano soprattutto la reazione e la vendetta dei sovietici.

 

6) Lei ha anche coraggiosamente affrontato il tema della violenza dell’invasione russa in Germania, violenza che si è rivolta verso i cittadini e che troppo spesso è stata taciuta. Secondo lei perchè?, perchè i tedeschi erano visti tutti come “cattivi”?

 

Naturalmente non tutti i tedeschi erano cattivi né considerati cattivi dai russi, loro sapevano bene che nelle cantine delle città devastate vegetavano anche donne, bambini, vecchi e malati innocenti, ma la Germania di Hitler aveva arrecato immani sofferanze all'Unione sovietica, e quando l'Armata Rossa si era trovata finalmente sul suolo tedesco, nessuno era riuscito a frenare la cieca sete di vendetta di buona parte dei soldati russi.

 

7) Dopo la guerra lei ha lasciato la Germania, ma i rapporti con la sua famiglia non sono migliorati, e quindi, appena diciassettenne, è andata a vivere da sola e si è mantenuta, creandosi una nuova vita a Salisburgo e poi a Vienna. In questa vita già c’era la scrittrice, e anche se sarebbero occorsi anni alla sua affermazione, fu proprio il denaro del primo anticipo di un libro, che  non sarebbe mai stato pubblicato, a permetterle di venire in Italia, dove ha conosciuto suo marito e dove si è trasferita. Com’era per una tedesca vivere in Italia, 40 anni fa?, permanevano i luoghi comuni e gli strascichi emotivi di una guerra ancora un pò vicina?

 

Vivendo in Italia dal 1963 non ho avvertito alcuno strascico della Seconda Guerra Mondiale. Ho sentito al contrario un popolo vivo e in qualche modo determinato a riconquistare di nuovo il benessere. Tutti compravano tutto con le cambiali e i diciottenni non storcevano il naso quando, chiedendo a papà in prestito la macchina per portare a spasso la propria ragazza, questa macchina non era una veloce BMW ma solo un'umile Seicento. C'era ancora la gioia delle piccole cose, delle cose modeste. Questo si é perso. Oggi c'é il culto del superfluo e le nuove generazioni ne sono state contagiate.

 

8) Lei ha osservato che non è tollerabile continuare a far pesare colpe sui tedeschi, dopo tanto tempo, colpe di cui ben pochi sono responsabili, soprattutto fra le generazioni attuali. Eppure ha anche fatto notare che secondo lei non era possibile che i tedeschi, allora, non sapessero, come spesso è stato sostenuto. Per lei, la maggioranza della popolazione, sapeva ciò che stava accadendo a milioni di persone?, o erano idee vaghe, rifiutate?

 

La maggior parte della popolazione  non sapeva cosa succedeva a milioni di ebrei, ma nello stesso tempo troppi sapevano, ad esempio le centinaia di migliaia di persone che avevano contribuito a costruire e a far funzionare i Lager, le camere a gas, i crematori.... Naturalmente sapeva anche il gran numero di guardiani, cuochi, elettricisti, sorveglianti, nonché i medici che compivano sedicenti esperimenti sulle cavie dei campi. Insomma, un esercito di "volonterosi carnefici" regolarmente stipendiati per collaborare allo sterminio di prigionieri, ecclesiastici, zingari, omosessuali ed ebrei era  perfettamente a conoscenza di quanto avveniva nei campi di concentramento nazisti.  

 

9) Nel 1971, con suo figlio bambino, è riuscita a scoprire a Vienna quella madre di cui non sapeva nulla, perchè suo padre non le aveva mai detto niente del motivo della sua “partenza”. Scopre così che sua madre faceva parte della Waffen SS e che era stata sorvegliante ad Auschwitz-Birkenau, ma soprattutto che non aveva modificato la sua visione della vita, assolutamente, anzi. Rimaneva in lei il dolore per la caduta di Hitler, e l’orgoglio per la sua appartenenza nazista. L’incontro fu breve. Come poteva difendere un’ideologia così terribile, dopo tanto? La propaganda, la realtà di allora potevano averla resa cieca, ma dopo tanto, nemmeno una piccola revisione, di fronte ai ricordi delle atrocità del campo di sterminio?

 

La fede nel nazionalsocialismo é rimasta incrollabile in mia madre fino alla sua morte. Ma non era la sola: credo che Priebke, ad esempio, sia  ancora convinto di aver ubbidito solo a ordini superiori e inevitabili. Esattamente come mia madre.  

 

10) Com'è cambiata la sua vita, scoprire che quella madre sparita era in realtà un membro attivo del nazismo?

 

La mia vita non é  cambiata, ma era cambiato qualcosa dentro di me. Sentivo una sorta di colpa riflessa per il passato di mia madre, e lo sento ancora.

 

11) Sua madre fu condannata a sei anni da un tribunale degli alleati,  ma ne scontò solo due perchè collaborò. In una specie di dossier veniva definita come “bugiarda, fanatica, infida”. Per quel poco che l’ha conosciuta, nemmeno un aggettivo buono può venir fuori? Non mostrò nemmeno per un piccolo momento un pò di dispiacere per essersene andata?, per aver angariato i prigionieri?

 

No. Mia madre non si é pentita di nulla. Nemmeno per aver abbandonato due bambini piccoli al proprio destino.

 

12) Nell’incontro seguente, nel 1998, sua madre, ormai anzianissima, permaneva nella propria ideologia, e lei disse di essere rimasta ancora più sconvolta del primo incontro. Sperava che si fosse ravveduta, addolcita?, almeno un poco?, o che si fosse resa conto che quelle persone, nei campi, non erano “sporchi ebrei”, ma, appunto, persone?

 

Si, in fondo speravo che si fosse pentita, che - seppure tardi - si fosse svegliato in lei un sentimento materno; una parvenza di dolcezza materna. Ma fu una speranza vana.

 

13) Lei non crede che per tante persone, essere rimaste legate al credo nazista anche dopo aver visto quanto avevano fatto, possa dipendere da una questione di sopravvivenza? Insomma : vivere per una filosofia in maniera totale, e poi scoprire che quella realtà era assassina oltre ogni immaginazione. Ammetterlo non potrebbe significare perdersi?, avere sbagliato tutto? Per sua madre non poteva essere così?

 

Non so che cosa possa determinare un fanatismo ad oltranza alieno a ogni ragionamento. Forse é proprio così: se mia madre avesse capito quanto era stato criminale il regime di Hitler, forse sarebbe scivolata in una sorta di pazzia. Non lo so.

 

14) Mi sembra di notare un paradosso. Il regime nazista diceva alle donne che il loro compito era essere buone mogli e madri. Malgrado il bisogno distorto di potere, sua madre non sarebbe stata più aderente al credo nazista rimanendo al fianco della propria famiglia, visto che questo era quello che si chiedeva a una buona tedesca nazionalsocialista?

    

Il nazismo diceva tutto e il contrario di tutto. Da un lato propagandava l'unione della famiglia, dall'altro faceva di tutto per disgregarla e convertire tutti i suoi membri: madri, padri e figli fino dagli 8-9 anni all'ideologia nazionalsocialista. Ogni componente familiare doveva iscriversi a un'associazione nazista e farne attivamente parte.  Perciò, essendo tutti occupati in diversi orari, la famiglia non aveva quasi più la possibilità di incontrarsi a casa propria.

 

15) Lei ha avuto la forza di lottare per avere una vita piena e di successo, malgrado i molti dolori. E ha accettato il compito, sicuramente doloroso, di testimoniare. Ormai è famosa, e le sue parole giungono ovunque. Malgrado lo senta come un dovere, non ha mai pensato di lasciare da parte la “testimone” per far posto solo alla “scrittrice”, che esiste da sempre e che magari è stata messa in ombra dal suo vissuto?

 

Io desidero fortemente scrivere un puro romanzo, e ci sto provando. Ma la mia carriera va avanti con una specie di Leitmotiv che si chiama: Helga Schneider fra letteratura e testimonianza. E' vero, ormai me ne sento un po' prigioniera.

 

16) Con la cultura che c’è oggi in Occidente e i mezzi di comunicazione di cui disponiamo... può tornare un altro Hitler?

 

Malgrado la cultura e i potenti mezzi di comunicazione, il mondo potrebbe essere coinvolto in una sciagura forse ancora peggiore del regime nazista.

“Resisti agli inizi”, diceva Ovidio. Parole sagge.

 

Opere di Helga Schneider:

 

Il rogo di Berlino, Adelphi, 1995  (la difficile sopravvivenza in una Berlino devastata dalle bombe) –  anche in edizione scolastica per “La Nuova Italia Editrice”; 

Porta di Brandeburgo -  Storie berlinesi 1945-1947, Rizzoli, 1997 (il precario dopoguerra nella Berlino distrutta); 

Il piccolo Adolf non aveva le ciglia, 1998 (romanzo che affronta il tema del “Progetto di eutanasia nazista” volto a eliminare le cosiddette “esistenze indegne di vivere”) ;     

Lasciami andare, madre, Adelphi, 2001 (l'ultimo e drammatico incontro con la madre, nazista mai pentita);  

Stelle di cannella, Salani, 2002 – in edizione scolastica per Mursia Scuola  (storia di un'amicizia fra due ragazzini di nove anni, uno ariano e l'altro ebreo, che il razzismo nazista riuscirà a distruggere); 

L’usignolo dei Linke, Adelphi, 2004 (il racconto della  fuga drammatica di un piccolo profugo prussiano);

L’albero di Goethe, Salani, 2004 (storia di minori internati al campo di concentramento Buchenwald assoggetti all'abuso sessuale da parte delle SS); 

Io, piccola ospite del Führer, Einaudi, 2006.

 

Il sito di Helga è www.helgaschneider.com

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Lasciami andare, madre (Adelphi, 2001)

Il rogo di Berlino (Adelphi, 1995)

www.helgaschneider.com

www.viaggio-in-germania.de/schneider1.html

www.nonleggere.it/narrativa/verde1/helga_schneider_testo/schedatesto.asp

www.italialibri.net/contributi/0510-1.html

www.bib.uab.es/pub/quadernsitalia/11359730n7p151.pdf

www.ilditoelaluna.net/schneider.htm

www.viaggio-in-germania.de/schneider2.html

www.flipnews.org/italia/antonio_russo/intervista_alla_scrittrice_helga.htm

www.nonleggere.it/narrativa/verde1/helga_schneider/schedaautore.asp

 



 

 

 

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