N. 18 - Novembre 2006
IL GOLPE CILENO
11
settembre 1973
di
Matteo Liberti
L'undici settembre del 1973, trent'anni prima
dell'ultimo 11/9, prese velocemente forma un
tragico evento nella storia del Cile e di tutto
il Sudamerica.
Era un martedì, affondato nel cuore della
Guerra Fredda. Era di mattina, e quel che accadde fu
che alcuni corpi speciali dell’esercito del Cile,
comandati dal generale Augusto Pinochet,
diedero vita ad un violento colpo di stato volto a
destituire il presidente Salvador Allende ed il
suo governo (democraticamente eletto) legato alla
coalizione di Unidad popular.
Il palazzo presidenziale (el
Palacio de
la Moneda)
venne bombardato con all’interno lo stesso Allende ed
alcuni tra i suoi ministri e consiglieri.
Il presidente cileno morì quella mattina, dopo aver
gridato attraverso Radio Magallanes
le sue ultime parole: “Viva il Cile!, Viva il popolo!,
Viva i lavorator!i”.
Dopo di lui iniziarono ad essere eliminati
altri militanti e simpatizzanti del movimento operaio.
Ma ancora era solo l’inizio.
Quel che stava per cominciare era una dittatura
militare che sarebbe durata per quasi vent’anni. E che
non trascurò di trasferire nel proprio ricordo, tra le
altre cose, omicidi e deportazioni di massa:
furono circa diecimila i cileni torturati, e centinaia
le migliaia di persone costrette all’esilio.
La distruzione delle istituzioni democratiche
fu veloce e capillare. A tutto si sostituì il dominio
militare.
Salvador Allende aveva vinto le elezioni tre
anni prima della sua morte, il 5 settembre del
1970. Per pochissimi voti aveva battuto il
candidato voluto dai partiti della destra, l'ex
presidente Jorge Alessandri.
Quello che iniziava i suoi lavori era il primo
governo di sinistra eletto democraticamente in Cile ed
in tutto il Sudamerica.
All’ordine del giorno c’era l’avvio di un
processo di nazionalizzazione dell'economia,
tipico delle politiche economiche dei paesi
sudamericani. In Cile, particolarmente importante era
la produzione di rame, ma, purtroppo per il
popolo cileno, nel settore avevano i loro forti
interessi gli Stati Uniti d’America, i quali,
sia per gli interessi sul rame che per il contesto
disegnato dalla Guerra Fredda, non potevano
accettare di buon grado la nuova politica del
presidente Allende.
Il nuovo governo cileno dovette così molto
presto affrontare un crescente fronte oppositore
fomentato dagli Stati Uniti. Allende tra le prime cose
nazionalizzò i monopoli, con lo stato che prese
il controllo dei prezzi. A ciò aggiunse una scelta di
politica estera favorevole alla relazione con altri
stati socialisti. D’altro canto gli scontenti
iniziarono ad emergere sia a sinistra che a destra: i
gruppi rivoluzionari pressavano affinché il governo
prendesse decisioni di stampo più radicale, mentre la
destra era complessivamente in profondo disaccordo con
tutto il progetto governativo. In ogni caso il primo
anno di governo del nuovo presidente si chiuse con una
forte crisi economica (dettata anche da
fattori legati alla situazione internazionale) e con
un netto calo di investimenti e nella produzione. Alla
fine dell'anno vennero riscattate molte aziende in
fallimento, ma senza riuscire ad amministrarle in
maniera realmente produttiva.
Alla fine 1971 le manifestazioni di
protesta furono numerose; tra queste si ricorda la
cosiddetta protesta delle casseruole, messa in
atto dalle donne della borghesia e soprattutto lo
sciopero dei camionisti, il cui sindacato
riuscì all’inizio del nuovo anno a paralizzare
l’intero paese.
Sempre nel 1971, dopo una visita ufficiale di
Fidel Castro, Allende annunciò con orgoglio il
ripristino delle relazioni diplomatiche con lo stato
cubano. Questo nonostante il divieto posto nell’ambito
dell’Organizzazione degli Stati americani e,
ovviamente, il nuovo disappunto degli Stati Uniti.
L'amministrazione del presidente americano
Richard Nixon cominciò ad esercitare una pressione
economica sempre più crescente attraverso molti
canali, illegali e non, e che andarono dall'embargo al
finanziamento degli oppositori politici all'interno
del Congresso.
Lo stesso sindacato dei camionisti, prima dello
sciopero, ricevette sostanziosi finanziamenti dagli
Stati Uniti.
Cercando nuovi alleati per far fronte alla crisi
aperta da congiuntura economica e pressioni
statunitensi, Salvador
Allende si rivolse anche, suo malgrado, ad un
fidato generale dell'esercito.
Nome, Augusto Pinochet.
A lui venne affidato il comando delle forze
armate, e sempre a lui il presidente cercherà di
chiedere aiuto durante l’assedio dei carro armati al
palazzo presidenziale della Moneda, senza
sapere di chiedere aiuto al proprio carnefice.
Carnefice dietro al
quale avevano agito, come abbiamo visto, gli
Stati Uniti del presidente Richard Nixon e soprattutto
del segretario di stato Henry Kissinger.
Pochi giorni dopo la vittoria elettorale di
Allende nel settembre del 1970, i due già stavano
cospirando nella Stanza Ovale. Loro il piano e
la volontà di rovesciare il governo cileno, attraverso
un’azione attentamente preparata dai servizi
segreti.
Nei tre anni successivi all'elezione di Allende,
la CIA aveva scientemente organizzato forme di
sabotaggio economico e di guerra psicologica contro
quel governo così restio a mettersi in riga con i
dettami di Washington, ossia: non permettere ai
partiti comunisti di entrare nell’esecutivo; non
espropriare le proprietà degli Stati Uniti; perseguire
un economia di libero mercato ed evitare, come già
detto, ogni relazione con Cuba. Alla fine si passò a forme più dirette, ed i militari cileni poterono procedere alla
distruzione del sistema bicamerale dello stato, delle
istituzioni democraticamente elette, dei sindacati e
dei liberi mezzi di comunicazione.
Più generalmente, furono cancellate tutte le
libertà civili già conquistate dai cileni.
Con la benedizione degli Stati Uniti.
Fu americano l’assenso al formarsi della dittatura,
un vero regno del terrore, e fu americana la
responsabilità di aver permesso che questa dittatura,
riassunta nella figura del generale Augusto Pinochet,
potesse durare più di quanto durò quella hitleriana.
Peraltro l’atteggiamento americano fu, negli anni
successivi al colpo di stato, di sostanziale
estraneità alle cose cilene, mostrandosi non coinvolti
con quel regime militare che si andava
caratterizzando per la repressione, l'autoritarismo ed
il blocco di tutte le politiche economiche di matrice
marxista.
Solo di recente il segretario di Stato Colin Powell
ha ammesso che l’affare cileno non è stata una pagina
della storia americana di cui andare orgogliosi.
D'altronde, ha anche ricordato Powell, Allende aveva
commesso il grave errore, in tempi di guerra fredda,
di ammettere all’interno della sua coalizione di
Unidad popular il partito comunista cileno…
Che Nixon e Kissinger volessero davvero salvare il
Cile, come confidarono a Richard Helms
(ex direttore della CIA)? Sebbene Mosca non diede un
significativo aiuto ad Allende, il dogma ideologico di
Nixon e Kissinger fu sufficiente a motivare il
sostegno al golpe.
Lo stesso Helms confidò in alcuni suoi appunti di aver
ricevuto l'esplicito ordine di rovesciare il governo
del Cile, senza preoccuparsi degli eventuali rischi
connessi.
Ma l’atteggiamento americano in Cile, è bene
ricordarlo, non fu un fatto isolato. Si possono
purtroppo menzionare altre intromissioni laddove si
presentasse lo spauracchio del pericolo comunista.
Successe con il Nicaragua, successe ad Haiti
e successe, come sappiamo, a Cuba, dove grazie al
famigerato Emendamento Platt le forze armate
poterono occupare l'isola in diverse occasioni, oltre
ad impiantarvi una propria base nella Baia di
Guantanamo.
Ma all’inizio del secolo le truppe americane non si
erano risparmiate interventi (per contrapporsi a
movimenti rivoluzionari locali) in Colombia, in
Honduras, nella Repubblica Dominicana, a
Panama, in Messico ed in Guatemala
e Costarica.
Addurre come scusante per gli eventi cileni la Guerra
Fredda significa
voler ignorare i significativi antecedenti
interventisti della politica estera degli Stati Uniti
durante tutto il ventesimo secolo, in Sudamerica e
altrove.
Quel che fece la CIA
durante la Guerra Fredda fu agire in
piena violazione di una serie di trattati firmati
dagli stessi Stati Uniti e che escludevano
l'intervento negli affari interni delle altre nazioni.
A quindici anni di distanza dal golpe venne
organizzato un plebiscito per sapere se la popolazione
desiderava che continuasse il governo di Pinochet.
La risposta fu no.
Nel 1990 l'addio
politico di Pinochet, con l'elezione di
Patricio
Aylwin, del Partito Democratico Cristiano.
Il generale dittatore venne accusato per
l'esecuzione di terribili crimini e violazioni contro
i diritti umani, ma non fu giudicato. Si dichiarò che
soffriva di demenza vascolare.
Da due anni il generale
sanguinario è agli arresti domiciliari, la Corte
Suprema ha dichiarato non valida la sua immunità per
demenza, ma il giudizio per i suoi crimini ancora non
è stato emesso. |