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N. 23 - Aprile 2007

LA GIUSTIZIA NEL TERZO REICH

Uno Stato "giusto"

di Giulio Viggiani

 

Fin dal 1933, l’anno della presa del potere da parte dei nazisti, la Germania nazionalsocialista cessò di essere una società basata sulla legge e sullo stato di diritto.

 

“Hitler è la legge”, proclamavano con orgoglio i giuristi del regime, distorcendo mostruosamente le teoria del realismo giuridico allora imperante, che sosteneva l’assoluta necessità dell’adattabilità del diritto ai cambiamenti tumultuosi di una società in continuo sviluppo. La sociologia tedesca fini dai primi del ‘900, aveva elaborato la tesi della vocazione teleologica del diritto al perenne movimento, prendendo a modello i sistemi giuridici anglosassoni che fanno dell’adeguamento della legge alle esigenze della società la propria bandiera.

 

Ma, aveva tentato di coniugare questa caratteristica con l’estrema rigidità del sistema giuridico romano-germanico, basato sulla codificazione pedissequa del quadro normativo. L’operazione era ambiziosa ma alquanto azzardata perché necessitava l’adozione di fonti costituite dal diritto consuetudinario e dal consolidamento normativo delle sentenze.

 

Il nazismo mutuò brutalmente più di trenta anni di studi giuridici nella sintesi estrema che, parafrasando Goring, “la legge e la volontà del Fuhrer sono una cosa sola”. Era vero: la legge era ciò che il dittatore stabiliva come tale e Hitler, proclamatosi “giudice supremo” del popolo tedesco, si arrogò il diritto di mandare a morte chiunque tentava di opporsi al suo folle disegno di dominio e di distruzione.

 

Sotto la costituzione di Weimar, mai ufficialmente abrogata, i giudici erano indipendenti e tenuti a salvaguardare l’uguaglianza di fronte alla legge, Hitler decise perciò di applicare a tutti i magistrati la legge sul servizio dello Stato del 7 aprile 1933 ed eliminò subito dall’ambiente giudiziario non solo gli ebrei, ma tutti coloro che non avevano una ferrea fede nel nazismo o, come diceva la legge, che “lasciavano capire di non essere disposti a intervenire in ogni circostanza a favore dello Stato nazionalsocialista”.

 

Nel 1936 Hans Frank, ministro plenipotenziario e capo della giustizia del Reich, spiegò ai giuristi che l’indipendenza della legge di fronte al nazionalsocialismo non esisteva: “L’ideologia nazionalsocialista è il fondamento di tutte le leggi basilari, come è precisato nel programma del Partito e nei discorsi del Fuhrer”.

 

A partire da questo assioma il regime nazista istituì i famigerati Tribunali Speciali, responsabili dell’epurazione degli oppositori. In seguito alla decisione del Reichsgericht, la Corte Suprema tedesca, di assolvere per mancanza di prove tre dei quattro comunisti nel processo per l’incendio del Reichstag nel marzo del 1934, il diritto di giudicare casi di tradimento fu trasferito a una nuova corte, la Volksgerichtshof, la Corte del Popolo, che presto divenne il più temuto tribunale del paese. Cinque dei sette membri della corte erano di nomina politica e non era ammesso appello alle decisioni e alle sentenze da esso emanate.

 

Ancor prima della Corte del Popolo era stato istituito il Sondergericht, il Tribunale Speciale, che si riservava, sottraendole ai tribunali comuni, le cause per crimini politici e i casi “di attacchi insidiosi contro il governo”. I tribunali speciali erano composti da tre giudici, sempre fidati esponenti del partito, senza giuria. Un magistrato nazista poteva scegliere se presentare le cause del genere dinanzi a un tribunale comune o dinanzi al Tribunale Speciale, e regolarmente, sceglieva quest’ultima possibilità.

 

Il braccio armato della legge era costituito dalla Gestapo, la polizia segreta di Stato, e dal Sicherheitsdienst, il Servizio di Sicurezza o SD, strutture create rispettivamente da Goring e da Himmler nel 1933 e nel 1932. Nel 1934 il Servizio di Sicurezza venne trasformato nell’organo di informazione per la Gestapo, e nel 1938, una nuova legge le attribuì queste funzioni nei riguardi dell’intero Reich.

Nell’aprile del 1934 la Gestapo divenne l’arma sempre carica delle SS, e, in seguito alla soppressione delle clausole della costituzione che garantivano le libertà civili, assunse il potere di vita o di morte su ogni cittadino tedesco. Gli ebrei, gli oppositori, i portatori di handicap e gli individui non corrispondenti ai canoni della razza ariana, venivano internati nei campi di concentramento che, sorti inizialmente come strumento ricattatorio per estorcere denaro o ridurre alla sottomissione i non allineati, divennero successivamente il braccio esecutivo del folle progetto hitleriano della “soluzione finale”.

 

Soltanto una concezione totalitaria della vita umana, derivata dall’idea hegeliana dello Stato Etico, poteva produrre un sistema giuridico così mostruoso, annullando completamente i diritti inalienabili dell’individuo nella volontà suprema e distruttiva del Capo. Nei paesi anglosassoni, dove la democrazia si fonda sul diritto naturale dell’uomo a difendersi dalle ingerenze della cosa pubblica, non sarebbe mai sorto, e mai sorgerà un sistema giuridico sottomesso alla volontà politica di chi governa.

 

Fin dal 1933, l’anno della presa del potere da parte dei nazisti, la Germania nazionalsocialista cessò di essere una società basata sulla legge e sullo stato di diritto.

 

“Hitler è la legge”, proclamavano con orgoglio i giuristi del regime, distorcendo mostruosamente le teoria del realismo giuridico allora imperante, che sosteneva l’assoluta necessità dell’adattabilità del diritto ai cambiamenti tumultuosi di una società in continuo sviluppo.

 

La sociologia tedesca fini dai primi del ‘900, aveva elaborato la tesi della vocazione teleologica del diritto al perenne movimento, prendendo a modello i sistemi giuridici anglosassoni che fanno dell’adeguamento della legge alle esigenze della società la propria bandiera. Ma, aveva tentato di coniugare questa caratteristica con l’estrema rigidità del sistema giuridico romano-germanico, basato sulla codificazione pedissequa del quadro normativo. L’operazione era ambiziosa ma alquanto azzardata perché necessitava l’adozione di fonti costituite dal diritto consuetudinario e dal consolidamento normativo delle sentenze.

 

Il nazismo mutuò brutalmente più di trenta anni di studi giuridici nella sintesi estrema che, parafrasando Goring, “la legge e la volontà del Fuhrer sono una cosa sola”. Era vero: la legge era ciò che il dittatore stabiliva come tale e Hitler, proclamatosi “giudice supremo” del popolo tedesco, si arrogò il diritto di mandare a morte chiunque tentava di opporsi al suo folle disegno di dominio e di distruzione.

 

Sotto la costituzione di Weimar, mai ufficialmente abrogata, i giudici erano indipendenti e tenuti a salvaguardare l’uguaglianza di fronte alla legge, Hitler decise perciò di applicare a tutti i magistrati la legge sul servizio dello Stato del 7 aprile 1933 ed eliminò subito dall’ambiente giudiziario non solo gli ebrei, ma tutti coloro che non avevano una ferrea fede nel nazismo o, come diceva la legge, che “lasciavano capire di non essere disposti a intervenire in ogni circostanza a favore dello Stato nazionalsocialista”.

 

Nel 1936 Hans Frank, ministro plenipotenziario e capo della giustizia del Reich, spiegò ai giuristi che l’indipendenza della legge di fronte al nazionalsocialismo non esisteva: “L’ideologia nazionalsocialista è il fondamento di tutte le leggi basilari, come è precisato nel programma del Partito e nei discorsi del Fuhrer”. A partire da questo assioma il regime nazista istituì i famigerati Tribunali Speciali, responsabili dell’epurazione degli oppositori.

 

In seguito alla decisione del Reichsgericht, la Corte Suprema tedesca, di assolvere per mancanza di prove tre dei quattro comunisti nel processo per l’incendio del Reichstag nel marzo del 1934, il diritto di giudicare casi di tradimento fu trasferito a una nuova corte, la Volksgerichtshof, la Corte del Popolo, che presto divenne il più temuto tribunale del paese. Cinque dei sette membri della corte erano di nomina politica e non era ammesso appello alle decisioni e alle sentenze da esso emanate.

 

Ancor prima della Corte del Popolo era stato istituito il Sondergericht, il Tribunale Speciale, che si riservava, sottraendole ai tribunali comuni, le cause per crimini politici e i casi “di attacchi insidiosi contro il governo”. I tribunali speciali erano composti da tre giudici, sempre fidati esponenti del partito, senza giuria. Un magistrato nazista poteva scegliere se presentare le cause del genere dinanzi a un tribunale comune o dinanzi al Tribunale Speciale, e regolarmente, sceglieva quest’ultima possibilità.

 

Il braccio armato della legge era costituito dalla Gestapo, la polizia segreta di Stato, e dal Sicherheitsdienst, il Servizio di Sicurezza o SD, strutture create rispettivamente da Goring e da Himmler nel 1933 e nel 1932.

 

Nel 1934 il Servizio di Sicurezza venne trasformato nell’organo di informazione per la Gestapo, e nel 1938, una nuova legge le attribuì queste funzioni nei riguardi dell’intero Reich. Nell’aprile del 1934 la Gestapo divenne l’arma sempre carica delle SS, e, in seguito alla soppressione delle clausole della costituzione che garantivano le libertà civili, assunse il potere di vita o di morte su ogni cittadino tedesco.

 

Gli ebrei, gli oppositori, i portatori di handicap e gli individui non corrispondenti ai canoni della razza ariana, venivano internati nei campi di concentramento che, sorti inizialmente come strumento ricattatorio per estorcere denaro o ridurre alla sottomissione i non allineati, divennero successivamente il braccio esecutivo del folle progetto hitleriano della “soluzione finale”.

 

Soltanto una concezione totalitaria della vita umana, derivata dall’idea hegeliana dello Stato Etico, poteva produrre un sistema giuridico così mostruoso, annullando completamente i diritti inalienabili dell’individuo nella volontà suprema e distruttiva del Capo. Nei paesi anglosassoni, dove la democrazia si fonda sul diritto naturale dell’uomo a difendersi dalle ingerenze della cosa pubblica, non sarebbe mai sorto, e mai sorgerà un sistema giuridico sottomesso alla volontà politica di chi governa.

 



 

 

 

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