Proseguono numerose le
celebrazioni in corso per onorare la memoria e
ricordare l’opera di Gaetano Salvemini in occasione
del cinquantenario della morte. Convegni, mostre e
seminari di studio si tengono sin dalla scorsa
primavera in diverse località italiane, a
cominciare da Molfetta, dove l’insigne storico e
uomo politico ebbe i natali l’8 settembre 1873, fino
a Ivrea e Torino, sede dell’Istituto di Studi
storici “Gaetano Salvemini”.
A Sorrento il
programma delle manifestazioni, avviato a maggio per
iniziativa del locale Liceo scientifico statale a
lui intitolato e culminato nei tre giorni di
convegno del 9, 11 e 12 ottobre, si concluderà a
dicembre.
Al Capo di Sorrento
Salvemini fu ospite di amici che lo accolsero
nella villa “La Rufola” negli ultimi anni della sua
vita. Una vita lunga ed operosa che lì si concluse
il 6 settembre 1957, segnata da una molteplicità di
significative esperienze nel campo
dell’insegnamento, dell’attività politica e
parlamentare, dell’impegno giornalistico e
pubblicistico a sostegno delle sue idee.
Le sue battaglie,
caratterizzate da rigore intellettuale e
intransigenza morale poco inclini ai compromessi e
alle ipocrisie della politica, gli procurarono
l’allontanamento dall’Italia, sebbene rimanessero
immutati in lui l’attenzione per le vicende del
proprio paese ed il coinvolgimento per la causa
della democrazia e del socialismo riformista.
Tra i temi che
contrassegnarono l’azione politica di Salvemini
furono quelli della lotta al trasformismo, alla
corruzione pubblica e alla criminalità organizzata
che, allora come ora, trovavano nelle regioni
meridionali la propria inesauribile riserva di voti.
Convinto assertore
delle possibilità di crescita civile e sociale del
Mezzogiorno, fino a capovolgere le teorie di matrice
lombrosiana in voga al suo tempo, Salvemini fu
meridionalista poco disposto ad indulgere nei
confronti di quel meridionalismo che dalle
condizioni di arretratezza del Sud finiva col trarre
motivi di giustificazione per l’assistenzialismo
paternalistico ed il parassitismo. Egli propugnava
energicamente la causa di una maggiore
responsabilizzazione della classe politica e delle
popolazioni del Sud, dalla valorizzazione delle cui
risorse si attendeva sin da allora il loro riscatto.
Fu per questo
sostenitore della piccola industria e della piccola
proprietà, andando oltre le teorizzazioni marxiane e
smithiane, nell’intento di privilegiare l’ipotesi
di una terza via che, negando gli orrori del
socialismo rivoluzionario e gli esiti del socialismo
di stato, approdasse ad un sistema democratico di
governo, garante di progresso, di giustizia e di
libertà.
Contro l’alleanza tra
latifondisti meridionali e capitalismo del Nord,
Salvemini sostenne l’impegno consapevole di
contadini ed operai per abbattere i privilegi di
qualsiasi genere, senza alcuna distinzione. La sua
fu una visione laica e democratica della vita e
dello stato che lo spinse a schierarsi contro le
ingerenze dei centri di potere ecclesiastico e a
rifiutare l’alternativa tra i totalitarismi
imperanti in Europa durante e subito dopo la seconda
guerra mondiale, rigettando il ricorso al comunismo
come unico antidoto ai pericoli del nazismo e del
fascismo.
Non a caso, già negli
anni ’30 egli si era allontanato dal gruppo di
“Giustizia e Libertà”, perché non aveva condiviso la
radicalizzazione classista del movimento, nella cui
nascita aveva pur avuto un sì importante ruolo
accanto ai fratelli Rosselli. Le sue convinzioni di
socialista-liberale, contrario ad ogni dogmatismo e
ad ogni esasperazione ideologica, non gli
consentivano, infatti, di dare credito a quanti
proponevano rimedi peggiori del male, opponendo alle
involuzioni antidemocratiche della destra quelle non
meno antidemocratiche della sinistra, alle
degenerazioni della società borghese quelle della
società socialista.
Di particolare
attualità nel pensiero di Gaetano Salvemini è ai
nostri giorni il tema del federalismo, nel quale il
meridionalista pugliese vedeva un efficace strumento
di contrasto per combattere l’egemonia del
centralismo di stato e della finanza capitalistica
del Nord e promuovere lo sviluppo endogeno del
Mezzogiorno d’Italia: un federalismo, lontano e
contrario alle tentazioni separatiste e
ribellistiche, che intendeva fare leva sulle
autonomie territoriali a livello di grandi aree
regionali e comunali per la risoluzione delle
questioni locali.
Per Napoli, come per
altri centri metropolitani, Salvemini proponeva,
non a caso, la creazione di organismi consultivi
formati da componenti con specifiche e sicure
competenze. Contrario alle “fumosità ideologiche” e
alle millanterie di taluni uomini politici, Gaetano
Salvemini colse infatti più di un’occasione per
distinguere capacità politiche e competenze tecniche
e per esprimere i suoi dubbi, alla luce
dell’esperienza (lui, che si era battuto per il
suffragio universale!) sulle capacità di
discernimento dell’elettorato sul possesso delle
“conoscenze tecniche necessarie per una valutazione
intelligente di tutte le misure su cui un deputato o
un senatore è chiamato a votare”.
Ma la condanna
dell’intellettuale pugliese per le degenerazioni
della politica, il suo malcostume e le sue “menzogne
ufficiali”, fu ben lontana dagli esiti
qualunquistici che connotano la pur comprensibile
impopolarità della politica nel nostro tempo. Ebbe
modo di presagire anche la crescente importanza
della stampa nelle vicende politiche ed economiche
e, da buon educatore quale fu, si soffermò non solo
sull’onestà intellettuale e sulle buone intenzioni
dell’individuo, ma anche sulla stessa “chiarezza
nell’espressione in quanto probità nel pensiero e
nell’azione”.
Una nuova biografia
dell’illustre meridionalista esce in questi giorni
per i tipi dell’editrice “il Mulino”. Ne è autore
Gaetano Quagliariello.