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N. 30 - Novembre 2007

GAETANO SALVEMINI

Un professore contro le bugie della politica

di Antonio Pisanti

Proseguono numerose le celebrazioni in corso per onorare la memoria e ricordare l’opera di Gaetano Salvemini in occasione del cinquantenario della morte. Convegni, mostre e seminari di studio si tengono sin dalla scorsa primavera in diverse località italiane, a cominciare  da Molfetta, dove l’insigne storico e uomo politico ebbe i natali l’8 settembre 1873, fino a Ivrea e Torino, sede dell’Istituto di Studi storici “Gaetano Salvemini”.

A Sorrento il programma delle manifestazioni, avviato a maggio per iniziativa del locale Liceo scientifico statale a lui intitolato e culminato nei tre giorni di convegno del 9, 11 e 12 ottobre, si concluderà a dicembre.

Al Capo di Sorrento Salvemini fu ospite di amici  che lo accolsero  nella villa “La Rufola” negli ultimi anni della sua vita. Una vita lunga ed operosa che lì si concluse il 6 settembre 1957, segnata da una molteplicità di significative esperienze nel campo dell’insegnamento, dell’attività politica e parlamentare, dell’impegno giornalistico e  pubblicistico a sostegno delle sue idee.

Le sue battaglie, caratterizzate  da rigore intellettuale e intransigenza  morale poco inclini ai compromessi e alle ipocrisie della politica, gli procurarono l’allontanamento dall’Italia, sebbene rimanessero immutati in lui l’attenzione per le vicende del proprio paese ed il coinvolgimento per la causa della democrazia e del socialismo riformista.

Tra i temi che contrassegnarono l’azione politica di Salvemini furono quelli della lotta al trasformismo, alla corruzione pubblica e alla criminalità organizzata che, allora come ora, trovavano nelle regioni meridionali la propria inesauribile riserva di voti.

Convinto assertore delle possibilità di crescita civile e sociale del Mezzogiorno, fino a capovolgere le teorie di matrice lombrosiana in voga al suo tempo, Salvemini fu meridionalista poco disposto ad indulgere nei confronti di quel meridionalismo che dalle condizioni di arretratezza del Sud finiva col trarre motivi di giustificazione per l’assistenzialismo paternalistico ed il parassitismo. Egli propugnava  energicamente la causa di una maggiore responsabilizzazione della classe politica e delle popolazioni del Sud, dalla valorizzazione delle cui risorse si attendeva sin da allora il loro riscatto.  

Fu per questo sostenitore della piccola industria e della piccola proprietà, andando oltre le teorizzazioni marxiane e smithiane, nell’intento  di privilegiare l’ipotesi  di una terza via che, negando gli orrori del socialismo rivoluzionario e gli esiti del socialismo di stato, approdasse ad un sistema  democratico di governo, garante di  progresso,  di giustizia e di libertà.

Contro l’alleanza tra latifondisti meridionali e capitalismo del Nord, Salvemini sostenne l’impegno consapevole di contadini ed operai per abbattere i privilegi di qualsiasi genere, senza alcuna distinzione. La sua fu una visione laica e democratica della vita e dello stato che lo spinse a schierarsi contro le ingerenze dei centri di potere ecclesiastico e a rifiutare l’alternativa tra i totalitarismi imperanti in Europa durante e subito dopo la seconda guerra mondiale, rigettando il ricorso al comunismo come unico antidoto ai pericoli del nazismo e del fascismo.

Non a caso, già negli anni ’30 egli si era allontanato dal gruppo di “Giustizia e Libertà”, perché non aveva condiviso la radicalizzazione classista del movimento, nella cui nascita aveva pur avuto un sì importante ruolo accanto ai fratelli Rosselli. Le sue convinzioni di socialista-liberale, contrario ad ogni dogmatismo e ad ogni esasperazione ideologica, non gli consentivano, infatti, di dare credito a quanti proponevano rimedi peggiori del male, opponendo alle involuzioni antidemocratiche della destra quelle non meno antidemocratiche della sinistra, alle degenerazioni della società borghese quelle della società socialista.

Di particolare attualità nel pensiero di Gaetano Salvemini è ai nostri giorni il tema del federalismo, nel quale il meridionalista pugliese vedeva un efficace strumento di contrasto per combattere l’egemonia del centralismo di stato e della finanza capitalistica del Nord e promuovere lo sviluppo endogeno del Mezzogiorno d’Italia: un federalismo, lontano e contrario alle tentazioni separatiste e ribellistiche, che intendeva fare leva sulle autonomie territoriali a livello di grandi aree regionali e comunali per la risoluzione delle questioni locali.

Per Napoli, come per altri centri metropolitani, Salvemini  proponeva, non a caso, la creazione di organismi consultivi formati da componenti con specifiche e sicure competenze. Contrario alle “fumosità ideologiche” e alle millanterie di taluni uomini politici, Gaetano Salvemini colse infatti più di un’occasione per distinguere capacità politiche e competenze tecniche e per esprimere i suoi dubbi, alla luce dell’esperienza (lui, che si era  battuto per il suffragio universale!) sulle capacità di discernimento dell’elettorato sul possesso delle “conoscenze tecniche necessarie per una valutazione intelligente di tutte le misure su cui un deputato o un senatore è chiamato a votare”.

Ma la condanna dell’intellettuale pugliese per le degenerazioni della politica, il suo malcostume e le sue “menzogne ufficiali”, fu ben lontana dagli esiti qualunquistici che connotano la pur comprensibile impopolarità della politica nel nostro tempo. Ebbe modo di presagire anche la crescente importanza  della stampa nelle vicende politiche ed economiche e, da buon educatore quale fu, si soffermò non solo sull’onestà intellettuale e sulle buone intenzioni dell’individuo, ma anche sulla stessa “chiarezza nell’espressione in quanto probità nel pensiero e nell’azione”.

Una nuova biografia dell’illustre meridionalista esce in questi giorni per i tipi dell’editrice “il Mulino”. Ne è autore Gaetano Quagliariello.

 



 

 

 

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