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N. 27 - Agosto 2007

FENIKS '66

Yurj Galanskov

di Stefano De Luca

 

Tra il 17 ed il 19 gennaio del 1967 vennero arrestati a Mosca Jurj Galanskov, Aleksej Dobrovol’skij, Vera Laškova e Sergej Radžievskij.

 

I primi tre erano accomunati dall’aver collaborato alla redazione della rivista del samizdat (le auto edizioni clandestine, non sottoposte al vaglio dell’intransigente censura sovietica) Feniks ´66, in forme e con contenuti diversi. La peculiarità di Feniks ´66 risiede nel fatto che, a differenza delle principali riviste clandestine dell’epoca che venivano stampate in Unione Sovietica, non si limita a pubblicare scritti di carattere esclusivamente poetico e letterario perché aveva l’ambizione di informare i cittadini su avvenimenti taciuti dalla stampa ufficiale.

 

Galanskov, il direttore della rivista, dopo aver collaborato nei primi anni sessanta con Feniks e Syntaksis - un’altra rivista del samizdat - ed avendo per questo ricevuto delle velenose critiche dalla stampa sovietica, nel 1961 venne rinchiuso in un ospedale psichiatrico per essere sottoposto ad un periodo di ‘cure’. Una volta uscitone, si  fece nuovamente notare nel giugno del 1965, quando sostò per quattro ore davanti all’Ambasciata americana di Mosca esponendo dei cartelli di protesta contro la politica di Johnson nella Repubblica Dominicana

 

Decise poi di pubblicare una miscellanea di lavori letterari, religiosi e politici, scelti tra quelli rifiutati dalle case editrici ufficiali, o che non erano riusciti a superare il vaglio della censura.

 

Il fine di Galanskov era pacifista, voleva “sconvolgere il sistema basato sul monopolio politico ed ideologico” dello Stato sovietico. Questo monopolio è a suo avviso “tollerabile solo in determinate fasi storiche di transizione”, mentre se persiste anche “dopo aver assolto la propria funzione, esso non ha più senso e si tramuta in un sistema reazionario e perciò stesso destinato alla morte, che sarà più o meno repentina a seconda di come si combineranno i vari rapporti sociali”.

 

Galanskov riteneva “storicamente inevitabile” la creazione in Unione Sovietica di “libere organizzazioni”, a meno che non fosse sopraggiunto il “conflitto termonucleare” che “avrebbe posto fine una volta per tutte a questa nostra infame civiltà”.

 

Dobrovolskij lavorava con Galanskov al Museo della Letteratura di Mosca e fu proprio in questo luogo che i due entrarono in stretto contatto. Dobrovolskij confessò a Galanskov la propria volontà di compiere azioni estreme per rovesciare il Potere sovietico, ma non trovò appoggio. Galanskov, infatti, era profondamente convinto dell’importanza del rispetto della legalità durante ogni azione di protesta.

 

Nonostante queste divergenze sui ‘mezzi’ da adottare, Dobrovolskij accettò di pubblicare su Feniks ‘66 i suoi articoli ‘Rapporti tra conoscenza e fede’, un saggio apologetico, ed ‘Accadimenti nel monastero di Pochajev: venne per questo anch’egli arrestato dalle autorità sovietiche.

 

La Laškova, che di  Galanskov apprezzava l’idealismo ed il fatto di non essere spinto nella sua attività da fini materiali, era invece colei che aveva battuto a macchina Feniks ‘66. Assieme ad essi venne arrestato anche Radžievskij, che sarebbe stato repentinamente rilasciato in quanto estraneo alla stesura della rivista. Non venne inizialmente arrestato Aleksandr Ginzburg, che aveva raccolto tutto il materiale a lui accessibile sul ‘caso’ Daniel’ e Sinjavskij, in modo da per poter offrire ai propri concittadini una appropriata informazione, rispettosa dei fatti realmente accaduti.

 

Giunta la notizia dell’arresto di Galanskov, Dobrovol’skij e Laškova, Ginzburg fu tra i protagonisti di una manifestazione in Piazza Puškin, svoltasi a Mosca il 22 gennaio del 1967, che chiedeva l’immediata scarcerazione dei redattori di Feniks 66.

 

Le dimostrazioni non organizzate dalle autorità costituiscono qualcosa di “completamente nuovo in Unione Sovietica”, la milizia era costantemente vigile e pronta ad intervenire, ed il tempo a disposizione dei manifestanti era ridotto ad una manciata di minuti, che andavano sfruttati nel modo più razionale possibile.

 

La pubblica e pacifica dimostrazione di piazza di idee non gradite alle autorità sovietiche era un’attività che si scontrava con delle difficoltà organizzative e logistiche ben maggiori di quanto non accadesse in Occidente per analoghe iniziative.

 

Tali difficoltà, assieme alle conseguenze penali cui si andava incontro, spiegano anche perchè il numero dei manifestanti era così basso ma composto da persone che, come gli autori di Feniks ’66, avevano il coraggio di non piegare le proprie idee alla morsa di regime pronto a stroncare ogni forma di dissenso.

 



 

 

 

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