.N. 29 - Ottobre 2007
IL PRINCIPIO DELL'EQUILIBRIO EUROPEO NELL'OTTOCENTO
Il sistema di Vienna e le sue contraddizioni:
dall’ancient
regime all'età contemporanea
di
Stefano De Luca
Il
principio dell’equilibrio tra Stati nacque a metà
Quattrocento in Italia, realtà geopolitica
frammentata al suo interno in varie Repubbliche,
Principati, Ducati e Signorie che si erano venute a
formare nel Medioevo.
Nel 1454 con la Pace di Lodi e
l’anno seguente con la stipulazione della Lega
Italica, gli staterelli
italiani avevano infatti
stabilito, per mantenere la pace, di accettare la
reciproca esistenza impedendo il predominio degli uni
sugli altri. Questo equilibrio italico durò meno di
mezzo secolo e fu rotto dalle mire espansionistiche
del Duca di Milano Ludovico il Moro sul Regno di
Napoli, e dall’appoggio strumentalmente offertogli dal
Re francese Carlo VIII, che approfittò della sua
richiesta d’aiuto per penetrare con l’esercito nella
penisola.
Morto in Italia, il principio dell’equilibrio risorse
due secoli più tardi e cominciò ad essere applicato
alla politica europea nel 1648 quando, per porre fine
alla Guerra dei Trent’anni,
venne stipulata la Pace
di Westfalia. Dopo la
scissione della cristianità conseguita alla riforma
luterana, per l’Europa si era
infatti aperto uno scenario di tipo nuovo nel
quale i vari Stati, sempre più gelosi delle proprie
peculiarità culturali e della propria indipendenza,
abbandonarono ogni velleità universalistica,
dimostrando che il sogno di Carlo V di un impero
omnicomprensivo era una concezione politica ormai
desueta ed inapplicabile alla nuova realtà.
Venne così prendendo corpo un’idea d’equilibrio
europeo che assegnava agli Stati dei ruoli ben
precisi: la Francia e la
Spagna erano “i piatti”, la Gran Bretagna “l’ago”
e l’Italia e la Germania, frammentate al loro interno
in vari staterelli, due
sottoinsiemi ai quali applicare in scala lo stesso
principio generale.
Nel Settecento si
inserirono in questo sistema anche i Paesi baltici (a
seguito delle Guerre del Nord) e la Russia, che con
Pietro I il Grande si era affacciata prepotentemente
sul palcoscenico europeo.
Dopo lo sconvolgimento causato dalla Francia
rivoluzionaria e l’espansione napoleonica che
esportò i principi universalistici della libertà e
dell’eguaglianza, inconciliabili con le ambizioni
delle principali monarchie continentali, il sistema
dell’equilibrio europeo venne
istituzionalizzato nel 1815 durante il Congresso di
Vienna, e considerato ormai una condizione necessaria
per impedire nuove crisi.
Fu
proprio nel momento in cui l’equilibrio si affermò
come principio accettato dai vari Sovrani europei che
esso divenne sinonimo di conservazione, in quanto
presupponeva il mantenimento di uno status quo
che non teneva conto delle aspirazioni nazionalistiche
degli italiani e dei tedeschi, e non accettava
l’ingresso delle masse sulla scena politica,
nonostante dopo la Rivoluzione Francese questo
processo fosse chiaramente giunto a maturazione. A
tentare di frenarlo fu il Primo Ministro austriaco
Metternich ed il suo pari
inglese Castelragh,
deus ex machina del mantenimento dei confini e
delle forme di governo nate col Congresso
di Vienna.
Il loro
sistema di sicurezza continentale
venne chiamato pentarchia, in quanto le cinque
potenze dominanti (Austria, Russia, Gran Bretagna,
Francia, Prussia) erano
chiamate a prendere delle decisioni valevoli per tutti
durante i Congressi europei che, da allora, si tennero
con regolarità scientifica. Da molti definito come
sistema dei Congressi, il
perno del nuovo equilibrio europeo divenne la
diplomazia, intesa come strumento capace di dirimere
pacificamente le controversie internazionali.
Diversa concezione dell’equilibrio era data dallo zar
Alessandro I, eroe della
vittoria su Napoleone, che teorizzava, attingendo
all’idealismo Settecentesco, una Lega europea che
stabilisse i principi base della coesione. Una
Santa Alleanza fondata sui valori della pace e
della giustizia, che aggiungeva alla visione di
Metternich e
Castelragh degli elementi
mistici che urtavano il loro pragmatismo politico, e
che infatti non trovò
attuazione concreta.
A
sancire la vittoria della posizione di
Metterncih fu la
stipulazione della Quadruplice Alleanza nel
1815 da parte dell’Austria, della Russia, della
Prussia e della Gran
Bretagna, che prevedeva un mutuo soccorso sia in caso
di attacchi esterni, che in
quello in cui uno dei contraenti fosse stato
minacciato da una sommossa interna. Era il
riconoscimento e l’accettazione dello status quo
sia dei confini che delle forme di governo esistenti,
vale a dire un ritorno al
passato che non teneva conto della nuova dimensione
della politica.
A
partire dal 1820 a Cadice, l’Europa fu
infatti scossa dai moti rivoluzionari,
un fenomeno ascrivibile per primi agli ambienti
militari che erano entrati in contatto durante le
guerre napoleoniche con i principi rivoluzionari, e
poi agli ambienti intellettuali della società.
Se prima del 1789 non
esisteva alcuna partecipazione politica dal basso,
dopo l’esempio francese della nazione in armi che
lotta contro i monarchi di tutta Europa, in molti
presero coscienza di quanto invece si potesse fare, e
di quanta forza avesse la coesione delle masse nel
perseguire tenacemente un obiettivo. Presero forma e
sostanza le Società segrete, portatrici di nuovi
valori e pronte ad intavolare nuove battaglie
coi sovrani in nome della
Costituzione ma anche, come in Italia e in Germania,
di quell’unità nazionale
che da sentita divenne, con uomini come Mazzini,
Cavour e Bismark,
finalmente voluta.
La
visione del Metternich era
un retaggio dell’ancient
regime che presupponeva la sovranità regia per
volontà divina, e si dimostrava cieca di fronte al
nuovo concetto, teorizzato dal filosofo
ginevrino
Jean
Jacque Rousseau,
della volontà popolare e dell’origine
contrattualistica della
sovranità: il re era tale, in questa nuova visione, in
quanto era stato delegato dal popolo a rappresentarne
i comuni interessi. Il cambiamento era epocale. La
posizione del Metternich
resse per poco più di
trenta anni, e finì nel 1848 con la destituzione del
primo Ministro e della sua politica.
Ad
uscire pressoché indenne dal 1848 fu la
monarchia inglese capace, a differenza di quelle
continentali, di adeguarsi ai tempi e di favorire un
allargamento della base elettorale che permise di
mitigare la conflittualità
tra gli interessi regi e la crescente richiesta di
partecipazione politica delle masse. Il 1848 sancì la
fine del sistema di Vienna, e del concetto
di equilibrio europeo che
ne costituiva il presupposto. Per l’Europa si aprivano
scenari nuovi. L’Italia e la
Germania ottennero la tanto agognata unità, e
cominciarono ad emergere i concetti di nazione
e di nazionalismo che generarono a loro volta
una nuova condizione di conflittualità. Questa rottura
dell’equilibrio europeo sta all’origine delle due
Guerre Mondiali che appena un secolo dopo posero fine
all’egemonia europea e generarono un nuovo equilibrio,
questa volta su scala planetaria, sancito
ufficialmente a San Francisco nel 1946 con la nascita
dell’ONU.
Riferimenti bibliografici:
Giovanni Aliberti – Francesco Malgeri, Due secoli
al Duemila, Milano, 1999
Federico Chabod, Idea
di Europa e politica
dell'equilibrio, Bologna, 1995
Federico Chabod, Storia
dell'idea d'Europa, Bari, 1977 |