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N. 26 - Luglio 2007

CHIAPAS

Gli ultimi anni dello stato chiapateco

di Matteo Liberti

 

"Il Chiapas è potenzialmente ricco, al punto di essere riuscito ad arricchire l'oligarchia portando alla miseria la popolazione, in maggioranza indigena". (Manuel Vazquez Montalban, 1998).

 

Nel sud-est della repubblica federale del messico, tra l’oceano pacifico e le verdeggianti rovine Maya della città di Palenque, passando per la colorata San Cristobal de Las Casas, si allarga lo stato del Chiapas, proprio sopra il confine con il Guatemala, come fosse la coda degli Stati Uniti del Messico. Regione prevalentemente montuosa, il Chiapas è probabilmente, nelle sue potenzialità una delle più ricche dell’America Centrale: la sua produzione agricola è notevole, particolarmente per quanto riguarda il caffè ed il mais, pianta simbolo della stessa cultura Maya e della quale è la maggior produttrice dell’intera Repubblica.

 

Ciononostante, la maggior parte della sua popolazione vive oggi in uno stato di grave povertà, soprattutto nelle zone più montuose, ed è sempre più colpita da gravi patologie da denutrizione, nonchè aggravata dalla costante pressione demografica proveniente dal Guatemala. Uno scenario che vede circa duecentomila famiglie di contadini possedere poco più della metà del territorio nazionale, mentre il resto è nelle mani di poche migliaia di famiglie più ricche.

 

Le maggiori risorse naturali come gas e petrolio, nonchè la grande potenzialita idroelettrica sono quasi esclusivamente sfruttate da compagnie straniere; quel che rimane sono le circa diecimila morti annuali per carenza di cibo o per malattie che in qualsiasi paese occidentale risulterebbero innoque o facilmente curabilli. Pochissimi sono inoltre i giovani che riescono a frequentare e terminare la scuola, sia per la carenza delle strutture, sia per ovvie necessita lavorative. I salari sono ovunque bassissimi e quasi sempre si assestano sotto i minimi sindacali. A volte, addirittura, con drammatica semplificazione, il lavoro non viene pagato affatto.

 

Questo stato di cose si è consolidato ed è anzi peggiorato, con terribili ripercussioni sociali ed economiche, durante gli anni al governo di Carlos Salina de Gortari, ufficialmente in carica dal 1988 al 1994.

Il presidente Salina ha subito sposato una politica di modernizzazione e liberismo, tutta fondata su privatizzazioni, rafforzamento dei capitali privati (fondamentalmente stranieri), favoreggiamento di attività speculative e su una sempre più marcata penetrazione della politica economica nordamericana negli affari locali.

 

Il trattato di libero commercio del giugno 1994, il cosidetto NAFTA (North American Free Trade Agreement) ha quindi ulteriormente rinforzato i legami commerciali tra Canada Messico e Usa, producendo presto una ulteriore concentrazione di capitali in poche compagnie estere ed internazionali, con la lenta, progressiva ed agonizzante esclusione delle minoranze locali.

 

I piccoli coltivatori, privi di quei finanziamenti convogliati zelantemente altrove, si sono gradualmente ritrovati nell’effettiva impossibilità di poter competere sul mercato agricolo, dovendo anzi sempre più spesso vendere a prezzi stracciati i propri terreni o le proprie attività ai grandi latifondisti.

 

Di fronte a questo stato di cose, però, già qualche mese prima dell’ufficializzazione del NAFTA, si stava innsecando una reazione interna e prevalentemente popolare, una sorta di resistenza armata che si rifaceva alle lunghe tradizioni delle guerriglie di liberazione tipiche di molti paesi del SudAmerica. Le popolazioni indigene in cerca di libertà ed autonomia, un esercito popolare ed un capo carismatico ne furono i protagonisti.

 

Tutto iniziò all’alba dell’anno 1994, precisamente quando, alle ore 00:30 del primo gennaio, alcuni ribelli appartenenti all’EZLN (esercito zapatista di liberazione nazionale), diedero vita, divisi in vari gruppi, all’occupazione di alcuni comuni dell’altopiano chiapateco e della sede della radio locale, dalla quale vennero lanciati i primi proclami rivoluzionari.

 

Il gruppo principale dei ribelli, guidato dal subcomandante Marcos, portavoce e primo rappresentante dell’EZLN, occupò l’importante  municipio di SanCristobal de Las Casas, forte dello slogan: Per secoli siamo stati sfruttati, disprezzati e discriminati. Abbiamo detto Basta!. L’esercito messicano fu messo in stato di allerta.

 

L’EZLN ripropose il problema del secolare intreccio fra la questione india e la questione agraria, riportando alla memoria quel grido di Tierra y Libertad di Emiliano Zapata che nel 1910 diede inizio al movimento rivoluzionario indigeno e contadino nel sud del Messico. L’organizzazione dell’esercito zapatista di liberazione, espressione della cultura indigena, si basa su una democrazia formale diretta, con votazione e discussione in assemblea, il tutto riassunto nella parola d’ordine comandare obbedendo.

 

Obiettivo degli indios di Marcos (soprattutto Tzotzil, Tzetltal, Chol e Tojolabal) è quello di un cambiamento in senso democratico dell’intero paese, con l’interruzione delle politiche liberiste del governo federale, causa principale dei problemi del Chiapas. La lotta zapatista vuole inoltre avere un carattere internazionale: nell’estate del 1996 è stato organizzato un primo Incontro Intercontinentale per l’Umanità e contro il Neoliberismo, con la partecipazione di oltre tremila persone provenienti dai cinque continenti, riunite per costruire una rete collettiva di resistenza al neoliberismo e per l'umanità, una rete intercontinentale comunicazione alternativa, un mondo dove ci siano tutti i mondi.

 

Il 16 febbraio precedente, il Governo Federale, assieme ad una commissione parlamentare multicolore e all’EZLN, aveva firmato nel municipio chiapaneco di San Andrés Larràinzar quattro documenti noti come Accordi di San Andrés. Con questi il Governo messicano riconosceva che i popoli indigeni erano stati oggetto di assoggettamento, disuguaglianza e discriminazione.

 

Per superare questa realtà, si affermò, erano necessarie nuove iniziative radicali da parte del Governo e della società. Nello stesso tempo si ufficializzava la necessaria partecipazione dei popoli indigeni affinché siano attori fondamentali delle decisioni che riguardano la loro vita e riaffermino la loro condizione di messicani. Gli indigeni dovevano venir considerati come nuovi soggetti di diritto, nel rispetto delle loro origini storiche, delle loro richieste e della pluriculturalità dell’intera nazione messicana.

 

Il nuovo governo del presidente Zedillo, tuttavia, nei mesi immediatamente successivi all’accordo, non mostrò alcuna volontà reale di prestarvi fede.

 

Il clima politico tornò ad agitarsi, e così si mantenne durante tutto il 1997. Nel frattempo la repressione e la persecuzione contro le regioni indigene si inasprirono fino a sfociare nel famigerato massacro di Acteal: il 22 dicembre del 1997 un gruppo di 60 paramilitari scatenò una violenta offensiva contro gli sfollati di Las Abejas ed i simpatizzanti zapatisti rifugiatisi ad Acteal (Municipio di Chenalhò), lasciando dietro di se 45 morti e decine di feriti.

 

Una qualche possibilità di riallacciare il dialogo sembrò riaffacciarsi con la conquista del Governo Federale da parte del PAN (Partito di Azione Nazionale). Il nuovo Presidente della Repubblica Vicente Fox (ex presidente della Coca Cola), durante la campagna elettorale promise più volte che, se vincitore, avrebbe fatto in modo che gli accordi di San Andrés fossero stati finalmente rispettati, ma così non fu.

 

Oggi, dopo la disillusione del Governo Fox, si assiste ad un lento peggioramento delle condizioni di vita degli indigeni, non solo abbandonati dalle istituzioni statali ma, cosa ancora più grave, lentamente sfiancati dall’acuirsi della repressione attuata dal Governo Federale che, pur senza uno scontro dichiarato ed aperto, mantiene una situazione di costante controllo attraverso l’oppressione militare, paramilitare e poliziesca, caratterizzata da striscianti violenze e continue violazioni dei diritti umani e civili.

 

Se la scoperta del Chiapas come luogo per un turismo non di massa sta portando nuova circolazione di capitale ed una maggiore attenzione sulle problematiche locali, la maggior parte degli indigeni vive ancora in uno specie di limbo, a metà tra la tradizione e la penetrazione straniera: come un piccolo remake degli anni successivi al 1519, data dello sbarco di Cortes sulle coste messicane.

 

Si spera che la sorte possa essere più gentile con le popolazioni locali di questi altopiani immersi nella giungla.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Tzvetan Todorov, La conquista dell'America. Il problema dell' "altro", Einaudi, 1984

Manuel Vazquez Montalban, La cyberguerra del Chiapas, in La Repubblica del 03/ 01/1998

www.zmag.org/chiapas1/

http://chiapas.indymedia.org/

www.paviainseriea.it/chiapas.htm

www.tmcrew.org/chiapas/chiapas.htm

www.ecn.org/reds/mondo/americalatina/chiapas/chiapas0209a.html

http://amolt.interfree.it/Messico/storia12_chiapas.htm

www.warnews.it/index.cgi?action=viewnews&id=39

www.ipsnet.it/chiapas/

 



 

 

 

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