N. 19 - Dicembre 2006
DA BISMARCK A KOHL, BREVE RASSEGNA
DEL GIORNALISMO TEDESCO
Un percorso tra innovazione e censura
di
Tiziana Bagnato
Una
vera e propria roccaforte della carta stampata in
Europa: è questo il quadro della Germania che emerge
dalle stime delle copie dei quotidiani venduti, circa
25 milioni, da quelle dei settimanali, circa 5
milioni, e dal numero dei giornalisti, circa 60 mila.
Un vero e proprio omaggio all’informazione, verso cui
la storia ha educato i tedeschi a partire
dall’Ottocento.
A
porre il primo mattone nella costruzione di questo
impero, fu Otto Von Bismarck, il quale, nominato
cancelliere nel 1862, decise che per porre la Germania
a capo dell’Europa era necessario diffondere lo
spirito tedesco strumentalizzando la carta stampata.
E’ proprio in quegli anni, infatti, che la stampa
raggiunse livelli di diffusione altissimi, alimentando
il fenomeno della “massenpresse”, la stampa delle
masse. Tra gli atti di Bismarck che ne favorirono il
proliferare, vi fu la legge sulla stampa del 1874, con
la quale veniva abolita la censura e qualsiasi
tassazione o imposta sulla stampa.
Ma
se da un lato, il moltiplicarsi delle pubblicazioni
contribuiva a delineare il disegno del cancelliere,
dall’altro, il movimento operaio approfittava del
fenomeno per diffondere le sue idee, così come ,con i
movimenti sindacali, prendevano piede modelli che
avevano dominato in Francia fino a qualche decennio
prima. La stampa socialista era, insomma, diventata un
vero e proprio collante per gli operai, i minatori e
tutti coloro che erano i “figli poveri” della
rivoluzione industriale.
In
totale controtendenza con la politica precedente,
Bismarck iniziò allora una politica fatta di censura e
sequestri nei confronti dei fogli che diffondevano le
idee leniniste e marxiste, e dell’Avanti in
particolare. Allo stesso tempo, il cancelliere capì
l’importanza di avere degli organi di stampa a cui
appoggiarsi e da contrapporre ai giornali di
opposizione, come il quotidiano conservatore Neue
preussische zeitung e il
Frankfurter Zeitung.
La
stampa tedesca iniziò ad assumere la forma che ha oggi
agli albori del ventesimo secolo, trovando la propria
culla nella Repubblica di Weimar, sorta sulle ceneri
del primo conflitto mondiale. I giornali che erano
stati messi a tacere durante la guerra, ritrovarono
spazio sia a livello provinciale che locale con oltre
147 giornali stampati negli anni Venti.
La
libertà di stampa in quel periodo sarebbe stata tale
da non avere eguali nemmeno dopo la seconda guerra
mondiale. A giustificare un tale proliferare di carta
stampata, sarebbe stata la difficile e fragile
situazione sulla quale si stava ergendo la Repubblica
di Weimar. I tedeschi avevano bisogno di capire e si
affidavano agli organi di informazione come a bussole
in un mare in tempesta.
L’onda della Rivoluzione d’Ottobre, l’uccisione di
Rosa Luxemburg, fecero della rivoluzione sociale uno
spettro aleggiante. Le copie dei giornali di partito,
di quelli di opinione e la stampa economica
moltiplicarono le proprie copie, sfiorando il tetto
dei 25 milioni di esemplari venduti.
Ma è
con Adolf Hitler che la Germania prende coscienza
dell’importanza strategica dei mezzi di informazione.
Ancor prima della sua nomina a cancelliere, Hitler
aveva, infatti, sfruttato l’organo ufficiale del suo
partito, il Volkischer Beobachtet, per
raccogliere consensi. E sempre la stampa, fu il mezzo
tramite cui cercò di pilotare il consenso dei tedeschi
negli ultimi tre anni della Repubblica di Weimar.
Diventato Fuhrer, Hitler intervenne sul sistema
dell’informazione con una serie di decreti mirati
controllare eventuali voci di dissenso. Nel 1933,
venne emanato il decreto per la difesa del popolo
tedesco che portò alla cancellazione dei giornali
socialisti e comunisti. Si introdussero le licenze
governative e i direttori dei giornali vennero scelti
esclusivamente tra persone fidate, appartenenti al
regime nazista.
Nell’aprile 1934, inoltre, venne introdotto una legge
che legalizzò la sottomissione delle stampa alla
censura di Stato. Le testate iniziarono a diminuire e
lentamente scomparvero.
Intanto, con la radio Hitler si assicurava un mezzo di
informazione efficace e capillare, visto che accordi
con i produttori, permisero la messa in commercio di
apparecchi economici, per riuscire a penetrare in
tutti gli strati sociali.
Perché l’informazione potesse ritornare a respirare,
la Germania dovette aspettare la fine della seconda
guerra mondiale. Ma con la divisione dello Stato in
quattro parti, il processo non avvenne dappertutto in
ugual modo. Nella zona americana, inglese e francese
la stampa ricominciò a fiorire, con il meccanismo
delle licenze governative. Nella zona, invece, gestita
dall’Unione Sovietica, continuò a vivere una stampa
figlia della concezione del partito unico, sottomessa
alla censura.
Inoltre, sotto l’ala protettrice dell’Urss, vennero
messe a tacere le pubblicazioni socialdemocratiche,
liberali e borghesi, favorendo, invece, la stampa di
matrice marxista e sostenendo economicamente fogli
come la Deutsche Volkzeitung, organo del
partito comunista.
Con
la nascita nel 1949 della Repubblica federale tedesca,
che raccoglieva i punti cardinale della Repubblica di
Weimar, proprio la stampa ebbe un ruolo fondamentale
nella ricostruzione della democrazia all’interno del
Paese. Contemporaneamente all’abolizione delle
licenze, infatti, nacquero grandi giornali
indipendenti, che fecero da piattaforma a numerosi
dibattiti, oltre a costituirsi come vere e proprie
lobbies per far riottenere alla Germania un ruolo di
primo piano nello scacchiere internazionale, con
l’ingresso nell’Organizzazione delle Nazioni Unite. I
giornali avrebbero fatto da vera e propria agenda
setting, delineando quelle grandi tematiche
nazionali ed estere che poi sarebbero state riprese ed
affrontate dal cancelliere Adenauer.
Fra
gli anni Cinquanta e Sessanta, iniziano a formarsi due
categorie di fogli di informazione: i cosiddetti
giornali principali e quelli satellite.
Sostanzialmente, il processo di diffusione
dell’informazione ruotava intorno ad un editore,
proprietario di un’edizione principale, il quale poi
si impegnava a distribuire gli articoli di carattere
nazionale, i servizi di politica interna, estera,
economia ecc., ai giornali satellite, differenti per
cronaca locale, notizie municipali e sportive e per la
testata, che di solito riprendeva la città di
riferimento.
Questo particolare fenomeno editoriale, ancora oggi
presente, ha causato quella che è stata definita
“letargia giornalistica”, ovvero un giornalismo da
parte dei giornali satellite, non di approfondimento,
ma piuttosto da ufficio stampa. Il risultato in
termini paratici sull’economia del Paese è che, oltre
il 40 per cento della tiratura totale dei quotidiani
appartiene a cinque grandi gruppi editoriali. Le
fusioni dominano il mercato e i magnati della
stampata si giustificano descrivendo i vantaggi in
termini di costi di produzione, abbattimento delle
tasse e recupero di risorse per finanziare per gli
investimenti interni.
Ma
nel 1968, le ripetute critiche a questo sistema di
potere e concentrazione, portarono alla creazione di
una commissione d’inchiesta e solo nel 1976
all’approvazione di una legge antitrust e sulla libera
concorrenza.
Negli anni Ottanta, a questi grandi temi si
accompagnarono sui quotidiani le campagne per la
riunificazione delle due Germanie, di cui Adenauer fu
uno dei sostenitori e promotori principali.
L’attuazione di questo grande progetto avvenne di
fatto con Kohl, il quale con la stampa tedesca ha
avuto un rapporto ambivalente.
Dopo
essere stato spesso apprezzato per il suo modo
popolare di fare politica, non gli sono stati fatti
sconti, quando, il cancelliere è stato risucchiato
dallo scandalo dei finanziamenti illeciti al CDU. La
stampa, si sa, non perdona. |