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N. 21 - Febbraio 2007

BENIAMINO ROSATI

Così parlò il medico di Benedetto Croce

di Arturo Capasso

 

Per trent’anni Beniamino Rosati è stato medico ed amico di Benedetto Croce, il famoso filosofo, critico e storico morto a Napoli nel 1952.
Beniamino Rosati ha novantacinque anni e li porta bene.
Vive solo, non s’è mai sposato. Nel suo studio ci sono dei disegni di Croce e un olio che raffigura Wagner da giovane. Egli è abruzzese, ma ha vissuto la maggior parte della sua vita a Napoli.


Parla con scatti nervosi, a volte si ferma. Poi riprende il filo. Preferirebbe non parlare; mi dice che alcuni anni fa l’editore Ricciardi concesse un’intervista e poi apparvero delle cose che egli assolutamente non avrebbe voluto far pubblicare.
Mi racconta che Ricciardi era furioso, che voleva buttarsi dalla finestra. Ci sono cose che per ora preferisce non dire: c’è gente che occupa posti di grande responsabilità e lui non vuol recare danno.


Ma mentre si dichiara estremamente riservato, l’onda dei ricordi gli prende la mano e a me non resta che ascoltare. Nei tre incontri ho cercato di ritornare su alcuni episodi, chiedendo maggiori particolari.

In una delle visite al filosofo, sfollato a Sorrento, venne a sapere che il giorno prima vi era stato Achille Lauro, il leader monarchico.
Il prof. Rosati si arrabbiò con don Benedetto (“ero uno dei pochi privilegiati a chiamarlo così; gli altri lo chiamavano senatore”), facendogli notare che tale personaggio politico non  doveva assolutamente mettere piede nel suo studio.
Croce gli rispose che la casa del filosofo è come quella della puttana: aperta a tutti.
E, quasi a giustificarsi, aggiunse che Lauro era stato lì per raccomandare l’assunzione di un critico musicale al Mattino.

Domanda: Come ha conosciuto Benedetto Croce?

Risposta: “Un giovane studente di lettere, poeta dialettale abruzzese, conobbe Croce che insieme col soprintendente visitava il tempio di San Clemente a Casauria, che andava in rovina ed ora è restaurato. Alfredo Lucani - il poeta - lesse alcune sue liriche che furono apprezzate e lodate da Croce.


Era l’autunno del 1910 quando il poeta - essendosi unito con una contadinella del suo paese, Pescosansonesco - fu cacciato di casa dal padre e non avendo mezzi di sussistenza piombò a Napoli e si adattò nella mia abitazione.


Al poeta non rimaneva che presentare la tesi di laurea. Tesi sulla lingua e il dialetto che il professore Torraca rifiutò. Luciani pensò di ricorrere a Croce per essere aiutato a non perdere la sessione di esami e così una sera ci recammo a Palazzo Filomarino. Croce, letto il titolo senza sfogliare una pagina, disse secco che la tesi non andava per Torraca e consigliò di stenderne un’altra sugli scritti del marchese Cappelli, umanista abruzzese, avvertendo che occorreva imbottire la tesi con qualche autografo e qualche fotografia, documenti molto apprezzati da Torraca.


Così, di tanto in tanto, ebbi occasione di portargli qualche lirica e notizia della tesi, che fu varata alla sessione successiva.


Intanto la mia stretta amicizia con l’editore Riccardo Ricciardi mi consentiva di incontrare in casa sua il filosofo e successivamente - per ragioni sanitarie - i rapporti divennero sempre più confidenziale e amichevoli. Croce non è stato mai malato, salvo qualche volta per infreddatura e solo una volta per una lieve forma di ittero, allora detto catarrale, contratto per una colazione indigesta a Foggia, nel caldo estivo.”

D: Come si svolgeva la giornata del filosofo?

R: “La intimità mi consentiva di conoscere le sue abitudini, le sue simpatie e le sue antipatie.


Detestava gli oziosi ed aveva il culto del lavoro che era un bisogno persino fisico. Levatosi la mattina, correva nello studio a frugare tra le carte lasciate la sera sullo scrittoio.


Nel pomeriggio di regola usciva per una passeggiatina, che era una ricognizione tra i vecchi librai, dove con un fiuto felino scopriva qualche raro pezzo o qualche cimelio sconosciuto.


Di tanto in tanto in casa arrivava con qualche rivendugliolo con un sacco di vecchi libri e vecchie carte. Il suo gusto era quello di poter dire a Ricciardi o a Doria e Niccolini di aver trovato una copia di qualche raro libro ed a poco prezzo.


Era affabile, cortese, tollerante verso tutti quelli che mostravano passione per lo studio; non consentiva ad alcuno di fargli perdere tempo.


Fino a tarda età scriveva senza occhiali, con una mano piccola sempre composta in un gesto pronto al lavoro. Ineguagliabile nell’esporre un fatto storico, un aneddoto, con una precisione infallibile di date.


Una delle più eccezionali doti era le stereotipia mnemonica: tutto ciò che aveva letto, sentito o visto, veniva registrato nella sua mente, e restava ordinato e incancellabile.
Né, ottantenne, aveva visto affievolirsi la memoria. Gli si poteva chiedere una notizia, un autore, un testo, una data e la risposta era sempre precisa: sala A, scaffale B, ripiano C.


E’ ben certo che la somma di opere scritte da Croce “quantitativamente” si è potuta realizzare per una capacità mnemonica che gli ha consentito di guadagnare tempo. Il suo calendario, a differenza di quello nazionale e cattolico, non aveva date rosse e date nere, tutte uguali, necessarie al lavoro. Una sera di Natale sua figlia Alda non aveva finito di sbucciare un’arancia, che si sentì richiamare per sapere se le ultime bozze erano state corrette e se erano pronte per la spedizione la mattina seguente.
Sobrio in tutto, giusta luce sullo scrittoio e nelle stanze, giusto calore nella stufa, così come erano di giusta misura le parole che occorrevano ad esprimere un concetto o un pensiero.


Il suo stile ne fa fede, come la su grafia stesa a colonna con carattere minuto, ma chiaro.”

D: Com’era il suo carattere?

R: “Per molti Croce è stato una specie di mastino dedito a sbranare; talvolta lo era con chi gli faceva perder tempo con scritti vacui e parole vane.


Nella conversazione era affascinante per la ricchezza, per l’originalità e la forma, con un linguaggio senza decorazioni, asciutto ma  armonioso.


Rare erano le conversazioni, nei brevi periodi di riposo. Era un uomo semplice, senza pose e senza atteggiamenti di uomo superiore.


Il pensatore di Auguste Rodin lo faceva sorridere; diceva anzi che per conto suo alcune delle migliori idee gli erano sorte anche mentre s’allacciava le scarpe. Lo sport e la vita sportiva non lo interessavano. A Cesare De Lollis (suo amico e collaboratore), che si ostinava a fargli praticare la equitazione, disse scherzando che nella sua testa c’erano tante idee come in un sacchetto di noci che galoppando avrebbero fatto soltanto rumore.”

D: Come giudicava il fascismo?

R: “Detestava il fascismo come un gran male. Sono in errore coloro che lo hanno ritenuto favorevole al regime in un primo periodo.


La verità è che Mussolini ed i nazionalisti partirono con un programma liberale e con dichiarazioni filomonarchiche, cioè politicamente crociane.


Successivamente cambiarono rotta e Croce dichiarò fermamente la sua decisa opposizione.”

D: Dove rimase durante la seconda guerra mondiale?

R: “La dichiarazione di guerra lo addolorò profondamente, convinto che l’Italia l’avrebbe perduta con immenso sacrificio.


Con la guerra Croce non volle lasciare la casa e la biblioteca.


Solo dietro insistenza di familiari e amici si decideva di scendere - ma non sempre - in uno scantinato che fungeva da ricovero, dove continuava il suo lavoro.


Quando i bombardamenti divennero più violenti e frequenti ed una bomba squarciò la chiesa di Santa Chiara, pochi metri discosta dalla sua casa, si studiò il modo di farlo allontanare: gli prospettammo il pericolo  della distruzione della biblioteca e gli facemmo la proposta di salvare almeno la Vichiana, la parte a lui più cara. Infatti, non si poteva provvedere subito al trasporto degli oltre ottantamila volumi.


Non si arrese; ma quando gli si assicurò che a Sorrento nella Villa del Tritone - proprietà di un olandese - c’era un rifugio sicuro, venne a trattative ed accettò la nostra garanzia.


Chi ha visto Croce volteggiare intorno al quale si caricavano i libri, cupo, triste, silenzioso, non può non ricordare il distacco di Orfeo da Euridice.


Ma eravamo sicuri che la vedovanza non sarebbe durata a lungo. Il giorno dopo infatti non mi feci vivo, ma la telefonata non mancò. Recatomi da lui, lo pregai - a scanso di responsabilità - di recarsi a Sorrento e rendersi conto della sistemazione.

Il parco, la villa, la Vichiana ordinata, tutto concorse a rischiarare il volto e l’anima del filosofo, che si decise a sfollare.


Questo episodio accrebbe la benevolenza di Croce nei miei riguardi, col condono della furbizia usata per il buon fine dell’operazione.”

D: Quale fu il suo atteggiamento verso la classe politica del dopoguerra?

R: “Né sulla classe politica, né sugli uomini che la praticavano dopo la liberazione ha mai vantato giudizi.


Egli esaminava le reazioni, le valutava, le approvava o le respingeva, ma sempre senza personalismi. Aveva il culto della libertà e il liberalismo era una fede da inculcare nello spirito di ognuno.


Per il partito liberale aveva dettato la formula: partito di centro e progressista. La responsabilità di averla o no rispettata spetta a chi gli è succeduto.


La frana del partito liberale sarà chiarita in seguito, quando non saranno più vivi coloro che non l’hanno potuta o saputa fermare.


Essa ha avuto inizio col voto di sfiducia a Parri. Col voto dei liberali fu consegnato il potere al partito popolare. L’altra causa fu la scissione del partito d’azione che divise il partito liberale in due tronconi inerti, atti solo a rissare.


Croce non accettò, ma subì la decisione del partito che propose l’intesa col partito popolare, che De Gasperi mosse come la bandiera dell’anticomunismo. Da questo voto è venuto fuori il trentennio di strapotere democristiano di cui l’Italia sta trascinando la tisica esistenza.”

D: Nel 1947 si dimise dal partito liberale e si ritirò dalla politica. Perché?

R: “Prima di tutto perché soffriva di dover sottrarre il suo tempo al lavoro prediletto, ai suoi studi e al Centro di studi storici.


Per quanto riguarda poi i nuovi politici, la stasi del partito - privo di qualcuno che avesse tenuto conto del progressismo della sua formula - e le bizze tra i giovani sono le ragioni che, a differenza di altre, possono essere rese note oggi. Il successore di Croce alla presidenza dei liberali dichiarò, senza mezzi termini, che il partito liberale era conservatore. Da allora è andato alla deriva, inesorabilmente.


Lo spirito del filosofo ritrovò la serenità nella sua biblioteca.”

D: Quale suo libro rilegge con più interesse?

R: “Fra i libri di Croce prediligo la Estetica: la ricchezza delle idee, la originalità di esse, la esposizione con un linguaggio cristallino ricordano la prosa di Boccaccio e di Machiavelli.


La lettura non affatica e dona al lettore serenità senza far sentire il peso dei concetti e delle idee tanto elevate.


E ad ogni pagina c’è una rivelazione, magari di cose da noi intuite, ma allo stato nebuloso.


Un periodo, una frase ti ridà la luce. Chi ha avuto in mano e ha sfogliato e letto le pagine dell’autografo è rimasto sbalordito per l’esiguo numero di parole corrette o cancellate.


Si avverte che nella mente dio Croce ciò che intendeva dire nasceva, si formava e si esprimeva con una chiarezza, una semplicità, senza pentimenti. Ciò era frutto di convinzioni meditate e tanto più semplicemente espresso quanto più elevato ed eletto. Leggere e rileggere la Estetica non è un piacere, è un bene.”

Queste ed altre cose mi ha detto il prof. Rosati, che ha avuto espressioni roventi per l’attuale classe politica italiana.


Da anni, ormai, non si reca più a votare. Attua così la sua protesta.


Chissà se il suo Amico approverebbe tale comportamento.


Ora Beniamino Rosati vive in un mondo di ricordi, di esperienze oltremodo interessanti. Il suo affetto per Croce è rimasto, credo, immutato.


L’ho notato quando mi ha dato le pagine dell’Estetica. S’è avvicinato alla scaffalatura ed ha tirato fuori alcune cartelle: con un lento ma deciso movimento della dita e con devozione profonda ha preso tre fogli e me li ha regalati.

 

Grazie, Don Beniamino. E perdonatemi per avervi disturbato tre volte.

 



 

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