N. 19 - Dicembre 2006
AURELIO
PADOVANI
Uomo solo
contro l'arrivismo e la cuccagna
di
Antonio Pisanti
È ricorso quest’anno
l’ottantesimo anniversario della scomparsa di Aurelio
Padovani, capitano dei Bersaglieri diventato a Napoli
e in Campania punto di riferimento di quel fascismo
rivoluzionario che, proponendosi di tener fede alle
sue origini, rifiutava ogni compromesso con il sistema
di potere del notabilume locale e con il suo
trasformismo.
Di lui avevo sentito
parlare spesso in famiglia da ragazzino.
La figura di Padovani
era avvolta in un mito, accresciuto per noi
giovanissimi dal fascino delle rievocazioni che
venivano dai documenti e dalle testimonianze dirette
dei nostri familiari ed, ancor più, dal “mistero”
della sua fine, in quel pomeriggio del 16 giugno del
1926, in via Generale Orsini, dove era crollata la
balaustra del balcone dal quale, per rispondere al
saluto della folla lì convenuta nel suo giorno
onomastico, il “Comandante” si era affacciato con un
gruppo di amici a lui più vicini. Tra le vittime della
tragedia che vennero giù dal balcone con Padovani,
c’era un fratello di mia madre, Antonino Micillo.
Dopo ottanta anni da
quel drammatico avvenimento, il cui seguito, per la
partecipazione e le emozioni che suscitò in città,
confermò la popolarità del personaggio e della sua
linea politica, è più che mai illuminante la lettura
di un accorto e documentato saggio in cui Gerardo
Picardo ha fatto luce sulle vicende del primo fascismo
in Campania e sull’incidente che costò la vita a
Padovani e ad altri otto componenti del suo movimento.
Dalle pagine di “Aurelio
Padovani, il fascista intransigente” (Ed.
Controcorrente), si comprende quanto poco fondata
potesse essere l’ipotesi del giallo, tendente a far
valere la tesi del delitto politico tramato dai
mussoliniani per eliminare un avversario scomodo in
ascesa, poco disposto ad assecondare i compromessi per
i quali il Duce, dopo l’enfasi rivoluzionaria
iniziale, andava via via facendosi più disponibile.
Anche se infondata, la
tesi dell’attentato fu magari utile per quanti di
essa si servirono nell’intento di acuire la dissidenza
dei padovaniani e di discreditare i gruppi di potere
mussoliniani. Non a caso, tra i documenti recuperati
da Picardo per ricostruire la vicenda ve ne sono
alcuni che danno una significativa testimonianza
dell’atmosfera venutasi a creare tra i fascisti
napoletani dopo il disastro di via Generale Orsini.
Gli stessi ordini del servizio e le misure d sicurezza
predisposti in occasione dei funerali e l’attento
monitoraggio delle celebrazioni e degli avvenimenti
successivi danno la prova inconfutabile di come una
interpretazione tendenziosa delle cause del crollo
potesse far temere fermenti pericolosi per l’ordine
pubblico.
Diradate, forse
definitivamente, le nebbie del dubbio intorno alla sua
sventurata fine, emerge la figura di Padovani, con
quelle doti di coerenza, di onestà e rigore morale che
gli furono riconosciute dallo stesso Guido Dorso, al
quale Picardo e, nella prefazione, Giorgio Accame si
rifanno per accreditare i meriti del personaggio
attraverso una autorevole testimonianza proveniente da
ben altre posizioni politiche. Recentemente Gigi Di
Fiore, in “La camorra e le sue storie” (Ed.
Utet), ha ricordato l’azione di contrasto di Aurelio
Padovani nei confronti di camorristi e usurai.
A distanza di tanti
anni, rimane l’amara constatazione della persistente
ed incalzante presenza del sistema di clientele e di
trasformismo a Napoli e nel Mezzogiorno d’Italia, che
Padovani, come Dorso, sebbene con strumenti diversi,
intendeva combattere nella speranza di un futuro
migliore per il Sud e per l’Italia.
“Un
capo che voleva evitare l’arrivismo e la cuccagna”,
ed ancora, “Un uomo solo nel tentativo di
riformare il costume politico di una regione” scrisse
di Padovani Guido Dorso, che pure sapeva bene come il
Capitano non potesse essere ritenuto solo, visto il
gran consenso di popolo, ma certamente lo era rispetto
ai ceti dirigenti e all’intellighenzia locale.
Nella cartolina ricordo fatta stampare dagli amici di
Giugliano in Campania nel giugno 1930, per il quarto
anniversario del tragico evento di via Generale Orsini,
la classica iconografia dell’epoca.
Capo e gregario, uniti dalla stessa avversità del fato,
come si legge in epigrafe, sono rappresentati con
diversa rilevanza, in relazione ai loro rispettivi
ruoli. |