N. 2 - Febbraio 2008
(XXXIII)
DALL'ISLAM ALLA MATEMATICA
L’ARMONIA DEL RIGORE in
Maurits Cornelis Escher
di Federica Campanelli
L’attrattiva prodotta dalle opere di Maurits
Cornelis Escher è
fuori discussione: cariche
di ambiguità e di virtuosismo, in esse ci si può
facilmente
smarrire...
ma anche
scoprire una
lucidità
fuori dell’ordinario. Si può
scegliere di abbandonare ogni criterio razionale di
comprensione, oppure ci si può ritrovare in una
direzione contraria,
privilegiando
il
processo intellettivo.
Occhi e cervelli impegnati in una lettura
altra, per non cadere nell’equivoco di
una rappresentazione nemica della logica, per
decifrare un confine che, forse, non esiste.
Nondimeno è
lecito credere che il più ferreo raziocinio,
l’ordine e la metodicità
possano
rendere possibile
l’impossibile mondo di Escher.
C’è un solido equilibrio in ogni segno e
trasmutazione, nei sequenziali mutamenti delle figure,
nello statico-dinamico degli innumerevoli disegni
prodotti in oltre cinquanta anni di carriera. Primo, fra tutti i criteri di cui è figlia
l’armonica, incantata e rigorosa opera di Escher, ve ne è
uno necessariamente matematico. La
costruzione dei suoi patterns è suggerita
da
antiche forme d’arte, ricercate nelle decorazioni di un
Islam che ha saputo dispensare tanta grazia
stilistica fatta di elementi geometrici e cromatici.
L’incontro più diretto e immediato che
l’artista olandese ha con lo stile arabo, si compie nel
1926, anno in cui lascia il paese natale per
eseguire un’ampia serie di viaggi in Europa che lo
condurranno fino
in Spagna.
A Granada, Escher s’imbatte nello
stupefacente complesso residenziale dell’Alhambra:
elegante e superlativo esempio di arte moresca (o
nazarì, come è definita dagli spagnoli),
costruito a partire dal 1238 da Muhammad ibn
Nasr, fondatore della dinastia
Nasridi.
L’Alhambra (il
cui
nome arabo
è
Qal at al-hamrā
il “forte rosso”) conserva tra i più rappresentativi
motivi ornamentali propri dell’arte nazarì: questi si
esplicano nella realizzazione di numerose decorazioni
murarie in ceramica, in cui si replicano,
teoricamente senza limite, forme astratte in disposizioni
simmetriche .
Particolare di mosaico. Alhambra, Granada
Le tassellazioni del piano praticate dagli
artisti moreschi, sfruttano la possibilità di ripetere
un infinito numero di volte un motivo (pattern),
che assume
il
ruolo di unità elementare,
costruendo quindi un reticolo.
Particolari di mosaici. Alhambra, Granada
Le traslazioni così eseguite comportano quella
che è definita in geometria una trasformazione affine.
Detta anche affinità, la trasformazione
affine è un'operazione che fa corrispondere ad un punto
P di coordinate x-y il punto
P’ di coordinate x’-y’; si intende
dunque una variazione,
resa
possibile da una
trasformazione
lineare.
Questo
movimento, definito di tipo rigido, in
quanto non deforma le figure ripetute nel piano, è una
isometria.
Esempi di isometrie sono anche:
-rotazioni;
-riflessioni;
-antitraslazioni
(glissoriflessioni);
tutte utilizzate nella realizzazione delle decorazioni
moresche prima citate.
Dall’osservazione delle opere presenti all’Alhambra Escher trova una possibile soluzione ad una sua
esigenza:
la divisione regolare del piano, il
riempimento periodico e ornamentale dello spazio
bidimensionale in maniera del tutto coerente,
riproducibile ed esatta.
Compone per l’occasione numerosi schizzi che
propongono le tassellazioni esaminate.
È nella simmetria che Escher identifica
l’ideale mezzo per la costruzione della forma: la
simmetria è intesa come ordinamento di
una struttura, dettato da certi canoni e regole, non
come mero equilibrio ed eleganza compositiva (seppur
sempre presenti e mai sacrificati).
Raccolti i dati necessari, tuttavia, l’artista
olandese ne fa un uso personalissimo, applicando
importanti varianti.
Sopra, a sinistra, vi è un esempio delle
riproduzioni di Escher circa i mosaici dell’Alhambra.
Accanto, la stessa immagine è stata ripartita
in modo tale da studiarne la simmetria,
ricavando così il modulo impiegato per ottenere una
copertura completa del piano.
L’intera composizione è ottenibile, partendo
dal modulo, attraverso diverse possibili combinazioni di
isometrie:
-rotazione intorno al punto centrale e
riflessione;
-traslazione e riflessione;
-glissoriflessione e riflessione.
Uno dei caratteri distintivi nell’opera personale di Escher è però l’utilizzo non più di forme astratte,
bensì di figure concrete, di elementi figurativi noti.
Le decorazioni moresche hanno carattere
prettamente religioso...
ed è noto che il Corano esclude
ogni fenomeno d’idolatria.
Essendo vietata la possibilità di rappresentare
il profeta Muhammad (e tantomeno Dio), l’arte islamica si
distacca nettamente dalle altre religioni proprio per
l’assenza di un corredo iconografico fatto di figure ed immagini
realistiche che riconducano ad un personaggio o ad un
evento della letteratura sacra.
Non che gli arabi si privino della facoltà di
manifestare il divino, piuttosto rinunciano alla sua
illustrazione: la divinità è illimitata e senza tempo.
L’eternità stessa implica l’assenza di un inizio e di
una fine.
Se per l’umano, che è finito, è impossibile
concepire la mancanza di un principio e di un
compimento, allora la mente non è in grado di
comprendere l’eterno.
L'uomo deve allora guardare al Divino e
modellarvisi, non viceversa.
L'Islam accresce
piuttosto
l’arte calligrafica
ed i motivi ornamentali, in cui il simbolismo e l’astrattismo
geometrico soprintendono al sacro.
La presenza di uno stile lineare fatto d’arabeschi
e calligrammi è l’unico,
incorruttibile, strumento d’espressione artistica e per
la diffusione della parola divina.
Esempio di calligrafia all’Alhambra
In Escher l’approccio è certamente diverso, ma
l’intenzione decorativa è identica.
Al di là del
contenuto formale e dei retroscena culturali, vi è un
simbolismo assolutistico in entrambi i casi.
Altro fondamentale carattere distintivo presente in
Escher è la possibilità di ottenere forme ed
effetti di vivace dinamismo volumetrico attraverso
l’applicazione delle fondamentali leggi della percezione
visiva.
Mediante l’uso dello spazio negativo,
interposto a spazi positivi, è facile creare
fenomeni d’illusione in cui il confine logico tra pieno
e vuoto, concavo e convesso
venga meno.
Qui sotto
osserviamo due xilografie a tal
proposito
esemplari.
Gli spazi negativi (i vuoti) creati
dall’intervallo tra le serie di figure monocromatiche
assumono a loro volta un ruolo di forma compiuta.
L’occhio non è in grado di osservare l’intera
composizione in maniera simultanea, ed è piuttosto
costretto a focalizzarsi su un elemento monocromatico
alla volta. L’interscambio tra pieno e vuoto è istantane,o
a dimostrazione della loro coincidenza.
Il
vuoto è inscindibile dal pieno, entrambi fanno
parte di una medesima unità.
Nella figura in alto i vuoti assumono
materia e consistenza: i personaggi che ne derivano
hanno la capacità di emergere dal
piano bidimensionale, in uno straordinario effetto
illusionistico.
Il vuoto nell’opera di Escher si rivela
quindi non come assenza, ma come spazio
produttivo.
Il soggetto dei disegni (e in generale di
tutta la produzione artistica) è ben distante
dall’astrattismo proprio dell’arte moresca: tuttavia non
è
facile
definire se in Escher ci sia unicamente
l’intenzione di servirsi di figure note per
enfatizzare l’ambiguità della rappresentazione, o se vi
sia un livello d’interpretazione più profondo, che vada
al di là della forma.
A tal proposito è utile citare un’altra
personalità di rilievo nel panorama della ricerca e
sperimentazione della rappresentazione illusionistica:
Bruno Ernst, matematico olandese,
contemporaneo di Escher.
Ernst, autore di testi totalmente focalizzati
sulla percezione visiva e la costruzione di figure
impossibili (tra cui il celebre “LO SPECCHIO
MAGICO DI M. C. ESCHER", del 1976) è da
considerarsi a tutti gli effetti un divulgatore
dell’opera di Escher, e di lui ha più volte espresso di
non doverne necessariamente ricercare più profonde
interpretazioni che siano poste oltre la struttura
compositiva.
Bruno Ernst vuole rilevare una genialità
che si esprime nella messa in opera della razionalità
matematica, capace di precedere più ampi studi
cristallografici; tale affermazione è tra l’altro in
perfetto accordo con le esplicite dichiarazioni dello
stesso artista, per cui non vi sia nulla di segreto e misterico nei suoi soggetti.
In realtà non pochi studiosi, o semplicemente abili osservatori, sarebbero pronti ad affermare
l’esatto contrario, d'altronde sarebbe difficile non
servirsi di una certa simbologia per riconsegnare
al fruitore dell’opera ciò che in altro modo non sarebbe
esprimibile.
Si può osare credere che in Escher lo stesso maniacale e
incontenibile uso della simmetria possa essere, di per
sé, simbolo di quella razionalità umana in grado di
creare mondi chimerici e realtà distanti nella
fisica delle cose, ma vicini perché presenti nella
mente.
A dimostrazione dell’assoluto impegno e competenza di
Escher, la cui ricerca non si esaurisce nella sola
esercitazione grafica fine a se stessa, la statunitense
Doris Schattschneider, direttrice del dipartimento di matematica al Moravian College di Bethlehem in Pensiylvania, compone e
pubblica, nel 1990, il volume: "VISIONI
DELLA SIMMETRIA - I disegni periodici di M.C.Escher”,
edito in Italia dalla Zanichelli.
Il testo è un’analisi scrupolosa dei disegni di Escher,
composti soprattutto negli anni quaranta:
si tratta di
oltre
trecento pagine ricche di riproduzioni e trattazioni che
quantificano l’importanza e l’interesse che da sempre Escher suscita tra matematici, tra chi si occupa della
fisica dei solidi e tra tutti coloro in grado di entrare
in una tortuosa dimensione
iper-razionale e al tempo stesso fantastica.
Escher s’imprime
così
nella memoria della storia dell’arte, in
quanto emblema dell’alternativa idea per cui: tutto
ciò che può sembrare assurdo è, senza limiti, sempre
possibile.
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