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N. 22 - Marzo 2007

L’ANIMA TRAGICA DI MIRAMARE

La sfortunata storia di Carlotta e Massimiliano d’Asburgo

di Alessia Ghisi Migliari

 

Il castello quasi scivola nel mare.

 

Eppure sta lì, imponente, immaginifico, accoccolato in un lembro di terra che sembra proprio prossima a tuffarsi.

Trieste perderebbe parte d’anima, senza Miramare.

Infatti nessuno passa di lì senza rimanerne colpito – stanze di stili diversi, vedute oniriche, quasi ci si muove in un luogo che non è realtà.

Forse Trieste perderebbe anche tanta parte di storia, se lì non fosse quella bianca fantasia – un inno a due vite tragiche, unite, paradossalmente sfortunatissime.

 

Carlotta e Massimiliano erano figli e nipoti di regnanti.

Erano giovani e belli, e avevano dedicato tempo e moltissimo denaro alla costruzione del loro Miramare: sarebbe stata, nel diluvio della loro esistenza, nido di pace e prigione.

Magari, da lì, non se ne sono mai andati.

Neppure oggi.

 

Carlotta (1840-1927) era figlia del re del Belgio Leopoldo I, la sua adorata nonna materna, Maria Amalia delle due Sicilie, era nipote di Maria Teresa d’Austria e la madre,

Luisa Maria, principessa francese, morì quando la bimba era piccola.

I nomi illustri, nell’albero genealogico di Carlotta, occuperebbero pagine (la regina Vittoria e il marito erano entrambi suoi primi cugini); graziosissima sin dalla più tenera età, terribilmente intelligente, anche se un pò troppo seria e compita, la sua crescita fu allietata più dal fratello Filippo che dal padre, figura assente e non particolarmente espansiva.

Del resto, donna, il suo ruolo era legato ai progetti matrimoniali che si sarebbero eretti attorno a lei – che di doti non difettava, e quindi era partito assai appetibile.

E qui arriva lui.

 

Massimiliano d’Asburgo (1832-1867) era il fratello minore di Francesco Giuseppe – e cara gli costò questa posizione subalterna.

Nacque a Schonbrunn, mentre nella stanza accanto moriva, ancora ragazzo, il figlio di Napoleone e Maria Luisa (giovane cui era legatissima sua madre Sofia, al punto che si spettegolò senza ragione sulla paternità del nuovo venuto).

Teneramente amato, probabilmente più dell’erede, ciò creò col futuro imperatore una frattura che mai si sarebbe sanata.

Questo brillante nobile era liberale, molto colto, un pò presuntuoso sì, ma forse con una maggiore flessibilità, il che l’avrebbe reso più idoneo al potere.

Quando fu insignito del titolo di vicerè del Lombardo-Veneto, avrebbe mostrato tutto il suo carisma: gli italiani non amavano la dominazione austriaca, nè mai l’avrebbero accettata, ma stimavano e apprezzavano moltissimo il tatto e la mente di Massimiliano, al punto che lo stesso Cavour fu assai sollevato quando la missione del ragazzo (aveva ventisei anni) terminò – credeva fermamente che, nel tempo, l’arciduca sarebbe riuscito a conquistare i lombardi, impedendo l’unificazione.

Invece “Max” fu richiamato, stoltamente, proprio mentre stava seminando con profitto (Francesco Giuseppe non apprezzava l’eccessiva “liberalità” del preferito di mamma).

 

Questo passo falso fu però compiuto nel 1859, quando erano già un paio d’anni che Massimiliano condivideva il potere con la sua affascinante consorte: Carlotta, appunto.

 

Lei lo amava senza sosta e senza dubbi.

Anche lui le si legò profondamente, di questo se ne ha prova, ma il suo coinvolgimento non fu altrettanto totale, viene da dire.

E ancora oggi rimangono dubbi sulla consumazione delle nozze: avvenne?, lui era omosessuale?, smisero di condividere le notti in seguito?

Dalle affermazioni postume della stessa arciduchessa, ormai anziana e mentalmente instabile, pare che no, lei sia rimasta vergine: e si sa, nella follia c’è una vena di profonda onestà.

Comunque fosse, erano una coppia ben assortita: lui più disinvolto, ma entrambi colti, tenaci, coraggiosi e di carattere. Nei dipinti formano una coppia magnifica: lei, con la mascella un pò forte, ma il viso femminile, gli occhi e i capelli scuri, lo sguardo carezzevole.

Lui alto, biondo, le iridi azzurrissime, una barba tipica dell’epoca, adatta anche a difendere qualche piccolo difetto del mento.

Ma, soprattutto, sapevano parlare al popolo, e del popolo si interessavano, moderni e lungimiranti.

Piccola difficoltà: perso il Lombardo-Veneto, non avevano più nulla, da governare.

Si ritirarono in quel di Miramare, che adoravano.

Ma erano giovani, attivi, intraprendenti: ritirarsi a vita privata, per un’iniziativa (errata) del geloso imperatore,  non poteva soddisfarli.

 

Max aveva già rifiutato la corona del Messico, precedentemente.

Ma nel 1863, dopo che un plebiscito dichiarò l’accettazione dell’impero (un plebiscito alquanto discusso), fu lo stesso Napoleone III di Francia, a incoraggiare il giovane.

Voleva divenire imperatore?

Accettarono.

Non per ambizione, ma per avere, finalmente, fra le mani, la possibilità di “fare qualcosa”.

Per calzare questo titolo, Francesco Giuseppe, sadicamente, li obbligò a rinunciare a qualunque eventuale diritto nella successione in Austria (l’unico erede, il piccolo Rodolfo, assai simile allo zio, sarebbe poi tragicamente morto nel 1889) – l’amore fraterno ha molte sfumature.


Nel 1864, Carlotta e Max arrivano dunque a Veracruz, e inizia la loro avventura messicana, che durerà appena tre anni.

Acclamati, ben disposti, in realtà dovettero fare i conti con gli impeti repubblicani degli abitanti del luogo, sotto il comando di Benito Juarez: il ruolo dello straniero austriaco era, in verità, non riconosciuto da molti, malgrado tutte le buone intenzioni della coppia imperiale.

Non avendo figli, decisero di adottare i nipoti di Augustin de Iturbide, che una quarantina di anni prima era stato, brevemente, anche lui imperatore, lì, nella sua terra: l’erede degli eruopei sarebbe dunque stato un figlio di quei posti intensi ma ancora sconosciuti.

Ma il malcontento non era solo sobillato da pochi locali: gli scontri tra repubblicani e truppe francesi era pressocchè continuo, e quando per i ribelli arrivarono armi e sostegno dagli Stati Uniti, la posizione dell’imperatore divenne fragilissima.

Napoleone III non riuscì inviare più aiuti, lui che di questo piano era stato l’artefice, e i due regnanti furano lasciati in Messico, con gruppi di monarchici che di certo non potevano bastare.

 

Fu a questo punto che, come diplomatica, Carlotta tornò in Europa, incontrando prima proprio Napoleone III, e poi Papa Pio IX.

E qui, il collasso.

Carlotta  non mancava di forza, ed era persona assai intelligente e lucida.

Ma in questi colloqui iniziò a manifestare un gravissimo squilibrio mentale, una vera e propria paranoia legata al timore di avvelenamento.

Il Pontefice, l’unico di cui si fidava, fu costretto letteralmente ad imboccarla, e a farla dormire in Vaticano (a quanto pare, fu l’unica donna ad avere questo diritto).

Fu un’esplosione, l’ammalarsi della giovane, disillusa, tradita dalla famiglia acquisita e poi dai suoi stessi pari.

Le sue condizioni peggiorarono velocemente, e quindi, senza nulla ottenere, fu letteralmente rinchiusa a Miramare, sotto il giogo di un paio di celebri alienisti e di un ambiguo figuro, il conte di Bombelles, amico di infanzia di Massimiliano.

 

Il precipitare delle rivolte in Messico aveva condotto all’arresto di Max.

Aveva pensato di abdicare (soprattutto quando gli erano giunte notizie dello stato della moglie), ma il dovere l’aveva tenuto incatenato un minuto di troppo.

Quando comprese di dover fuggire, era tardi.

Venne imprigionato e crudelmente fucilato nel 1867, malgrado il fratello avesse in fretta e furia ripristinato i suoi altisonanti titoli, sotto la spinta della madre Sofia, disperatissima.

Tutta l’Europa coronata insorse, indignata, di fronte al veloce evolversi della storia, che aveva portato all’uccisione spietata di un imperatore – che fu fermo e dignitoso nel momento della morte.

 

Carlotta, in Europa, nulla seppe, a lungo.

Rinchiusa, in condizioni pare inumane, fu salvata, dopo  mesi, dal provvidenziale intervento della cognata Maria Enrichetta, sposa del fratello Leopoldo II.

Enrichetta, considerata ben poco a corte, mostrò la sua enorme generosità combattendo strenuamente per portare via l’ex imperatrice da Trieste: tra grane diplomatiche e tentennamenti asburgici, la poveretta era in condizioni pietose, quando fu amorevolmente ricondotta in Belgio.

E solo qui, ormai tra i suoi cari, seppe dell’adorato consorte.

 

Non si rimise mai più: malgrado fosse dolce e sovente innocua, aveva scatti d’ira improvvisi, e deliri che non l’abbandonavano per la maggior parte del tempo.

Malgrado queste condizioni, visse altre sessanta primavere, in una sorta di morbida vita, ritirata e controllata, ma affettuosa.

Triste fine, per una donna del suo spessore e della sua arguzia.

Tra le molte ipotesi, quella maggiormente confermata pare essere davvero l’avvelenamento: fu un medico, a spiegare che non era stato un impazzire “naturale”.

Chi o cosa, di preciso, non si sa.

In ogni caso, una verità che rende ben più crudele la sorte di Carlotta.

 

Massimiliano aveva intimorito, col suo sguardo illuminato, persino il conte di Cavour: troppo talentuoso, il giovane, nel governare.

Rischiava proprio di piacere troppo.

Ma aveva un fratello diffidente e un pò troppo rigido.

Il corpo maldestramente imbalsamato dell’uomo poco più che trentenne tornò alla famiglia, anche se in condizioni impressionanti: i suoi occhi si erano disciolti, ed erano stati sostituiti con quelli della statua di una chiesa.

 

Erano giovani, intelligenti e volenterosi.

Venivano dalle più illustri famiglie europee.

Furono anche imperatori, per poco.

E poi più nulla.

 

Di tutto ciò che amarono, rimane, loro fedele testimonianza, il castello di Miramare.

Quasi scivola nelle acque, sembra.

E invece sta lì, imponente, immaginifico.

 

Carlotta e Massimiliano, in realtà, non l’hanno mai lasciato.

 



 

 

 

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