Che qualcosa in Unione Sovietica stesse cambiando, dopo la morte
di Stalin, fu evidente a tutti, ma intuire quale sarebbe
stata la portata di tale cambiamento era un’impresa ben più
ardua. E’ certo che il solo fatto della ‘percezione’ di un
cambiamento poteva permettere ai cittadini sovietici di
guardare al domani con più fiducia.
Se si voleva tentare di cambiare le cose in meglio,
liberalizzando il regime, bisognava però trovare la forza di
agire. In tal senso, la rivista letteraria ‘Novyj Mir’
(Mondo Nuovo), diretta da Aleksandr Trifonovič
Tvardovskij, uscì allo scoperto. Col fine di constatare
le reali intenzioni degli uomini del Cremlino in merito
all’apertura nel campo culturale, nel dicembre del 1953
Tvardovskij pubblicò sulla rivista l’articolo intitolato
Della sincerità in letteratura, che portava la firma di
Vladimir Pomerancev.
Questi sosteneva che lo scrittore avrebbe dovuto
evitare di farsi condizionare nella propria creazione
dall’ambiente esterno, altrimenti sarebbe stato un ipocrita
ed un traditore dell’arte e del popolo. Aggiungeva che “il
grado di sincerità, cioè l’immediatezza dell’opera, deve
essere il primo criterio di valutazione. La sincerità è la
somma di quel complesso di doti che noi chiamiamo talento.
La sincerità distingue l’autore di un libro e di una
commedia dal suo compilatore. Per comporre sono sufficienti
l’intelligenza, l’abilità, l’esperienza. Per creare occorre
talento, cioè in primo luogo sincerità”.
L’attacco era condotto, indirettamente ma non
troppo, ai burocrati della letteratura ufficiale, i quali
mancando di ‘sincerità’ non potevano esprimere il loro
‘talento’ nella produzione artistica. Su ‘Novyj Mir’
comparvero allora altri scritti, specie quelli di Michail
Lifšits, che criticavano alcuni libri di scrittori sovietici
recenti colpevoli di idillizzare la realtà sovietica e i
suoi reali problemi. Da sottolineare il fatto che fosse
finalmente una rivista, liberamente pubblicata e quindi
facilmente accessibile per tutti i lettori, a portare alla
ribalta queste tematiche che prima di allora erano state
analizzate solo da gruppi ristretti di letterati, per questo
facilmente reprimibili.
La condatta che impresse Tvardovskij a Novyj Mir,
pur non avendo finalità controrivoluzionarie, venne vista
comunque con timore dal Partito Comunista, che non poteva permettere
il proliferare di pericolosi tentativi di fuga in avanti
lungo la via del ‘rinnovamento’. L’11 agosto del 1954, in
una seduta allargata della presidenza della direzione
dell’Unione degli scrittori, Aleksej Surkov, segretario
generale dell’Unione dal 1953 al 1959, attaccò apertamente
‘Novyj Mir’, e soprattutto lo scritto di Pomerancev.
Surkov sosteneva che non fosse la sincerità a
permettere di
“comprendere i concreti fenomeni letterari
come […] espressione e raffigurazione dell’ideologia, della
psicologia e del carattere degli uomini che tale società
costruisce; uno scrittore non va giudicato dal suo minore o
maggiore grado di sincerità, ma dalla sua posizione di
classe entro la società stessa”.
La sostanza della questione non era affatto mutata
rispetto agli anni Trenta e Quaranta, così come non erano
cambiate le conseguenze per chi continuava a non adeguarsi
alle direttive del Partito. Infatti, a seguito della seduta,
Tvardovskij venne rimosso dalla direzione della rivista,
sostituito da Konstantin Simonov. Il PCUS, in una fase
cruciale per il futuro sovietico, non intendeva lasciarsi
sfuggire dalle mani la gestione diretta delle tematiche
principali della transizione e ‘Novyj Mir’ venne per
questo attaccata, ma non messa tacere: il nuovo direttore, Simonov,
proseguì infatti lungo
la linea tracciata da Tvardovskij.