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N. 11 - Aprile 2006

IL XX CONGRESSO DEL PCUS

Il 1956 raccontato dagli uomini di Nikita Hruscëv

di Leila Tavi

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Il 25 febbraio del 1956, alla conclusione del XX congresso del Partito comunista sovietico, il capo del partito NIkita Hruscëv  tenne un discorso segreto durato più di cinque ore in cui denuncia i crimini commessi dal regime sovietico durante l’era staliniana.

 

La cartella con il discorso segreto, “la cartella rossa”, finì all’ambasciata israeliana di Vienna e poi a Tel Aviv, nelle mani di Ben Gurion, per arrivare negli Stati uniti.

 

Il New York Times poco tempo dopo, il 6 luglio 1956, pubblicò un estratto dal discorso segreto sui crimini staliniani. Nel frattempo nell’Europa dell’Est il discorso venne letto a tutti i membri dei partiti comunisti nazionali.

 

I servizi segreti israeliani ottennero l’informazione dal giornalista polacco Victor Grajewski, perché la sua compagna lavorava come segretaria per il capo del partito comunista polacco.

 

Il luogo dello scambio fu Varsavia per un milione di dollari come compenso, anche la CIA cercò di ottenere la cartella.

 

Per i paesi satelliti dell’URSS il discorso del capo del partito comunista sovietico e la destalinizzazione furono interpretati come la possibilità di veder realizzato un nuovo socialismo dal volto umano.

 

Nell’Europa occidentale il discorso di Chrušëv e dei crimini contro l’umanità compiuti durante l’era staliniana ebbero un effetto shock; Vera Belmont, del partito comunista francese, considerava il partito come una famiglia, una dimensione umana e all’insegna della fratellanza.

 

Quello che accadde nell’Unione sovietica ripudiava gli ideali socialisti a cui i partiti dell’Europa occidentale si rifacevano. Il partito comunista francese entrò dopo le rivelazioni del XX Congresso del PCUS in un’impasse interna e strutturale.

 

Gene Sosin di Radio Liberty considera che la strategia degli Stati uniti di allora fosse di destabilizzare il blocco socialista.

 

Intanto nell’Unione sovietica venivano riabilitati i primi prigionieri politici dei gulag; per ex prigionieri, come Susanna Petschura e Juri Fidelholz, al ritorno a casa ci fu il divieto però da parte del KGB di raccontare quello che succedeva nei gulag. I reduci furono considerati come stranieri in terra propria.

 

La reazione nei paesi satelliti fu diversa da stato a stato: per la DDR si trattò semplicemente di distanziarsi dalla linea tenuta da Stalin, in Polonia invece si respirava un clima di insoddisfazione per l’aumento dei prezzi e per il crollo del potere d’acquisto.

 

Il 26 giugno del 1956 cento mila lavoratori polacchi scesero per le vie di Poznań per protestare: zadamy chleba, pane gratis, fu lo slogan. Poi però si cominciò a gridare: “Fuori i Russi dalla Polonia”. La repressione fu durissima.

 

In ottobre fu l’Ungheria a sollevarsi contro l’URSS.

I carri armati entrarono a Budapest il 19 ottobre con l’ordine, se necessario, di sparare.

 

Chrušëv non voleva rischiare che si finisse in un bagno di sangue, così decise di far rientrare i carri armati, ma il 23 ottobre gli operai e gli studenti scesero di nuovo in piazza a Budapest: fu la primavera d’autunno.

 

“La statua di Stalin venne rovesciata a terra con la faccia contro l’asfalto e poi fatta a pezzi”, ricorda Soltan Borsany. Arpard Gőncz, l’allora consigliere di Nagy, commenta che “non tutti i simboli del consumismo vennero presi il 23 ottobre d’assalto, solo il culto per Stalin venne ripudiato”.

 

I carri armati sovietici tornarono a Budapest, ma il Cremino scelse la strada della trattativa; fu incaricato Anastas Mikojan come mediatore per il Cremino, Notscha per gli Ungheresi.

 

Egli fu disposto al compromesso con Mosca, ma allo stesso tempo non voleva rinunciare alla lotta. Il 27 ottobre Notscha chiese il ritiro dei carri armati; fu arrestato e processato il 30 ottobre.

 

Il Politbüro era deciso al negoziato, la situazione era critica e avrebbe potuto scatenare una reazione a catena in tutti i paesi del blocco. In poco tempo però iniziarono i durissimi scontri che durarono 11 giorni.

 

Per il comunista francese Michel Cardoza la violenta repressione della rivolta di Budapest ha rappresentato l’affermazione del potere personale di Hruscëv e la fine di un sogno, la disillusione per i paesi dell’Europa dell’Est.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Abrechnung mit Stalin. Das Jahr 1956, documentario, Francia, Germania, 2006

 



 

 

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