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N. 12 - Maggio 2006

IL XXII CONGRESSO DEL PCUS

La destalinizzazione tra Liberman e Solzenicyn

di Stefano De Luca

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Tra il 17 ed il 31 ottobre del 1961 si svolse a Mosca il XXII Congresso del PCUS, che riunì un numero altissimo di delegati, 4800 (al XX ce n’erano 1430), e che si sviluppò lungo due direttrici principali: da un lato vennero ripresi gli intenti espressi durante il XXI Congresso (gennaio 1959) di fissare la tappe per il passaggio dal socialismo al comunismo (dal 1961 al 1971 si sarebbero create le basi materiali del comunismo, mentre nel decennio 1971-1981 si sarebbe finalmente entrati nel comunismo vero e proprio); dall’altro si riprese, questa volta in modo pubblico, l’impervia strada della destalinizzazione.

 

Al Congresso, Nikita Chruscev attaccò i complici di Stalin, tra i quali Molotov, Kaganovic, Malenkov e Vorosilov, costringendo quest’ultimo a pubblica autocritica. Sperava così di “manovrare la massa politicamente inesperta dei delegati che avevano avuto, nella maggioranza dei casi, responsabilità troppo scarse prima del 1953 per essere stati immischiati nei crimini dello stalinismo, e di ingranare una dinamica anti-conservatrice che avrebbe spazzato via i suoi oppositori”.

 

Ma le resistenze in questo settore restavano enormi, tanto che la sua proposta di costruire un monumento commemorativo delle vittime di Stalin venne respinta. Tuttavia le conseguenze prodotte dal XXII Congresso nel campo della destalinizzizazione furono significative, perché tutto quello che venne deciso, fu poi detto apertamente, e stampato sui giornali.

 

Gesti simbolici come la rimozione del corpo di Stalin dal Mausoleo di Lenin, o il fatto che la città di Stalingrado venne ribattezzata Volgograd, fecero molto effetto tra la popolazione.

 

L’autunno del 1962 Chruscev trasformò in azione la sua linea politica rilanciata col XXII Congresso. Il Primo Segretario decise per prima cosa di permettere l’apertura di un pubblico dibattito riguardante il piano e il profitto nell’economia aziendale. Il più autorevole dei quotidiani sovietici, la Pravda, organo del CC del PCUS, promosse, nel mese di settembre del 1962, la discussione sul profitto e sugli incentivi aziendali, temi sino ad allora riservati alle ricerche di gruppi di specialisti.

 

Questo significava l’apertura di un “processo di ripensamento critico sulle forme e sui metodi della pianificazione sovietica”, comprendente anche una tendenza al decentramento e all’estensione di alcuni poteri decisionali degli enti regionali. Il 9 settembre del 1962 comparve sulla Pravda l’articolo dell’economista Evsei Liberman, intitolato ‘Piano, profitti, premi’.

 

Le idee che Liberman presentava erano finalizzate ad “organizzare un sistema di pianificazione e di valutazione dell’attività aziendale tale che le aziende siano profondamente interessate a raggiungere traguardi produttivi più elevati […], e la massima efficienza della produzione”.

 

L’economista proponeva di creare degli indici relativi al volume di produzione per ogni settore produttivo, e delle connesse norme pianificate di redditività: in questo modo si potevano creare delle “scale di incentivi” che avrebbero dato l’esatto valore dei premi che sarebbero spettati alle aziende in base alla produttività raggiunta dalle stesse.

 

Gli incentivi avrebbero avuto natura progressiva, ossia tanto maggiore fosse risultato l’indice di produttività raggiunto dall’azienda, tanto maggiore, anche proporzionalmente, sarebbe stato il premio che le spettava.

 

Gli indici, pianificati centralmente, sarebbero stati poi trasmessi ai sovnarkhozy, che a loro volta li avrebbero dovuti comunicare alle aziende della propria regione economica. Le aziende avrebbero dovuto godere, a suo avviso, della libertà di definire autonomamente il piano aziendale per raggiungere gli obiettivi pianificati centralmente. Anche se le idee di Liberman non trovarono al momento un’attuazione pratica, la loro circolazione si estese invece considerevolmente, finendo per coinvolgere anche altre riviste, come il Kommunist o le Izvestia.

 

Così facendo, fu possibile sottoporre all’attenzione di larghi gruppi di operatori economici, generalmente alieni ad ogni processo decisionale, delle idee sul profitto e sulla produttività che erano state fino a quel momento rigettate dai vertici del potere sovietico in quanto considerate caratteristiche dei Paesi capitalistici.

 

Nel novembre dello stesso anno la rivista Novyj Mir, tornata sotto la direzione di Tvardovskij, pubblicò il romanzo breve di Aleksandr Isaevic Solzenicyn intitolato Una giornata di Ivan Denisovic, che avrebbe permesso al mondo intero di scoprire uno dei massimi scrittori russi contemporanei, ed ai cittadini sovietici di conoscere un pezzo di storia recente (e contemporanea) del loro Paese.

 

Il fantasma di Stalin ora faceva forse meno paura ma la politica di Chruscev non riuscì ad eliminare le contraddizioni presenti in Unione Sovietica, tanto che i Gulag sopravvissero fino all’89, e con essi il meccanismo di pianificazione economica quinquennale introdotta da Stalin.

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Riferimenti bibliografici:

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Nicholas Werth, Storia della Russia del Novecento

Liberman – Nemcinov, Piano e profitto nell’economia sovietica, Roma, Editori Riuniti, 1965

 



 

 

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