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> Diritti umani e civili

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N. 2 - Luglio 2005

VIOLAZIONE DEI DIRITTI UMANI NEL PAESE CHE ESPORTA LA DEMOCRAZIA

Amnesty International, Rapporto 2005: USA

di Stefano De Luca

 

Il Rapporto 2005 di Amnesty International riguarda la violazione dei diritti umani riscontrata in 149 paesi e territori nel corso del 2004. Il preambolo del Rapporto lascia pochi dubbi sull’esito dell’indagine: “Sessant’anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, i governi continuano a tradire le loro promesse di un ordine del mondo basato sui diritti umani e perseguono gli obiettivi di una nuova, pericolosa agenda. Il linguaggio della libertà e della giustizia è finalizzato ad adottare politiche che sfruttano la paura e l’insicurezza, come i cinici tentativi di ridefinire e condonare la tortura”. Paolo Pobbiati, presidente della Sezione Italiana di Amnesty International, afferma che “nel corso del 2004, i governi non hanno mostrato leadership morale e di questo fallimento devono essere chiamati a rispondere”.

 

In questo articolo è analizzata la condotta degli Stati Uniti d’America, e questa scelta risponde ad un criterio valutativo molto chiaro: la superpotenza che oggi è l’indiscussa paladina dell’ordine mondiale, e combatte in prima linea contro il terrorismo internazionale, ha infatti più di una volta violato quegli stessi principi che costituiscono il presupposto della sua azione militare, il suo casus belli. Quanto verrà detto non vuole essere una presa di posizione anti-americana bensì, prendendo spunto dai fatti reali, una critica costruttiva della loro politica finalizzata a capire gli errori sin qui commessi, e ad eliminare quelle zone d’ombra che rischiano di minare, ed in parte lo hanno già fatto, la loro credibilità “morale”.

 

A Guantanamo Bay, base navale americana che si trova nella parte orientale dell’isola di Cuba, centinaia di detenuti sono trattenuti “senza accusa né processo”, sospettati di connivenza con al-Qaeda o il regime dei Taliban. Il Tribunale di revisione dello status dei combattenti (Combatant Status Review Tribunal – CSRT), un organismo amministrativo di revisione creato ad hoc ed articolato in commissioni composte da tre militari, è preposto stabilire se i detenuti siano effettivamente “combattenti nemici”. Questi compaiono di fronte al CSRT senza avere l’assistenza di un legale. A fine anno, nessun detenuto aveva goduto di alcuna revisione giuridicamente legale sulla legittimità delle propria detenzione.

 
Ad agosto, in seguito alla pubblicazione delle foto riguardanti le torture e le sevizie compiuti da personale statunitense nella prigione irachena di Abu Ghraib, la Commissione indipendente per la revisione delle procedure detentive del Dipartimento della Difesa, nominata dal segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, ha reso noto che dall’inizio delle operazioni militari in Iraq e in Afghanistan circa 50.000 persone erano state arrestate durante le operazioni di sicurezza. I militari statunitensi hanno operato in 25 strutture detentive in Afghanistan e in 17 in Iraq, ed in tutti questi istituti è stato costantemente negato ai detenuti il diritto di incontrare un legale, o persino un semplice familiare.

 

L’amministrazione statunitense ha quindi reso pubblici alcuni documenti riservati allo scopo di “fare chiarezza sulla questione”, e da questi risulta che il governo avesse autorizzato tecniche di interrogatorio che “violavano la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura”.

Dagli incartamenti Amnesty International ha riscontrato come il presidente Bush abbia deciso di “non applicare le Convenzioni di Ginevra alle persone catturate in Afghanistan su suggerimento del proprio consigliere legale, Alberto Gonzales”.

 

A febbraio è stato diffuso il resoconto delle indagini condotte dal Generale dell’esercito statunitense Antonio Taguba. Il Rapporto Taguba ha accertato “numerosi casi di abusi criminali sadici, manifesti e perversi” ai danni dei detenuti di Abu Ghraib tra l’ottobre e il dicembre 2003, e che uno dei prigionieri era deceduto durante la detenzione.

Rumsfeld ha ammesso di “aver autorizzato almeno in un caso la CIA (Central Intelligence Agency) a tenere un detenuto al di fuori da qualsiasi registro carcerario”.
 

Alcuni detenuti, giudicati dalle autorità statunitensi più “interessanti” dal punto di vista dell’intelligence, si trovano rinchiusi in località segrete. Le modalità del loro arresto e della loro reclusione sono ascrivibili a vere e proprie “sparizioni”. Si ritiene cha alcuni di loro siano detenuti in queste condizioni da circa tre anni: “il rifiuto o l’incapacità delle autorità statunitensi di chiarire la situazione di questi reclusi”, chiarisce il Rapporto, “lasciandoli al di fuori della protezione della legge per periodi così prolungati, costituisce una violazione degli standard sanciti nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla protezione dalle sparizioni forzate”.
 

Il Rapporto di Amnesty International racconta anche la storia di due Sergenti dell’esercito, Camilo Mejía Castello e Abdullah William Webster, due obiettori incarcerati che possono essere ascritti alla categoria dei prigionieri di coscienza. Il primo è stato condannato a una anno di reclusione per diserzione dopo che si era rifiutato di ritornare alla sua unità di stanza in Iraq “per motivi morali in relazione ai suoi dubbi sulla legittimità della guerra e sulla la condotta delle truppe statunitensi nei confronti della popolazione civile irachena e dei prigionieri”. Webster invece è stato condannato a 14 mesi di reclusione e alla perdita della paga e delle indennità “per essersi rifiutato di partecipare al conflitto in Iraq a causa del suo credo religioso”.


L’ultimo dato rilevante del Rapporto riguarda la pena di morte, pratica ancora in uso in alcuni Stati americani. Nel corso dell’anno sono state eseguite 59 sentenze capitali, ed è così salito a 944 il numero di prigionieri messi a morte da quando nel 1976 la Corte Suprema pose fine a una moratoria. Lo Stato del Texas ha ucciso 23 condannati, assommando complessivamente 336 esecuzioni dal 1976.

 

Che Saddam Hussein fosse un criminale, ed ancor più lo fosse Osama Bin Laden, è fuori discussione, e l’eliminazione dei loro regimi (i baathisti in Iraq ed i taliban in Afghanistan) rende senza dubbio il mondo più libero, e soprattutto più liberi i cittadini iracheni ed afghani. Quello che lascia perplessi è il comportamento poco coerente degli Stati Uniti, dal quale si evince una disomogeneità tra pensiero ed azione, tra retorica e realtà, che sta creando un danno alla loro immagine, e di riflesso sta gettando inquietudine sulla loro condotta militare. Il rapporto di Amnesty International fa luce su molti problemi ed aspetti controversi: il mio augurio è che possa servire agli Stati Uniti per diventare una soperpotenza non solo economico-militare, ma anche dei principi di libertà e di diritto dei quali si sono responsabilmente fatti paladini ed “esportatori”, in modalità molto diverse, a partire dal 1945.

 

Il testo integrale del Rapporto 2005 di Amnesty International è consultabile su www.amnesty.it

 

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