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N. 2 - Luglio 2005

VIAGGIO IN TURCHIA

La costa dell'Egeo - Parte I

di Antonio Montesanti

 

Ci sono luoghi che, anche se tra loro distanti, hanno un unico motivo di essere e di vivere, radici e crescite comuni, storie che in gran parte si sovrappongono, in parte viaggiano in parallelo, in parte hanno caratteristiche simili, quasi uguali, identiche…

 

Clicca per ingrandire l'itinerario

 

Alla base di un’unica comunità greca vi sono paesi che sono stati toccati, altri colpiti, altri ancora ‘invasi’ dalla Grecia antica. Si, perché i Greci ci hanno conquistato. Si la Grecia è ormai nostra e dentro di noi, Noi Greci, Noi Italiani, Noi Turchi, Noi Europei. Ci sono paesi che sono stati solo sfiorati dalla grande espansione o colonizzazione greca avvenuta tra il 1100 e il 700 a.C. ca., la Francia, la Spagna, la Croazia, la Libia, l’Egitto, la Romania, l’Ucraina... ma l’Italia e la Turchia, sono casi a parte, che insieme alla Grecia stessa hanno costituito, più volte in passato, un unicum culturale di portata eccezionale.

 

Chi è innamorato del Sud Italia, della Sicilia, della Grecia, non potrà non sentire scorrere nelle sue vene, insieme al suo sangue, quella sensazione simile all’emozione che si prova ad entrare in un giardino di cui si conoscono le geometrie, le architetture, anche molte specie di piante: e dove ciò che cambia è il sostrato culturale, i profumi, i colori e le dimensioni. Non è tutto diverso. È solo magico… Il viaggio che si intraprende dall’Italia alla Turchia è un viaggio che lascia senza fiato.

Come ci andate in Turchia? Arrivate con l’aereo a Istanbul e affittate una macchina. Scorrete allora molti capoversi e decine di righe…

 

Ma se partite dall’Italia o da qualsiasi altra parte dell’Europa occidentale via terra, beh, allora non esitate ad attraversare l’Italia intera e ad un certo punto vi renderete conto di essere arrivati nelle Puglie e almeno in un momento vi troverete sull’Appia, la strada fatta costruire nel 312 a.C., per collegare Roma a Capua, come dice qualcuno; anche se è difficile pensare che la strada si fermasse in Campania, quando si arriva alla tappa ultima di questa consolare: Brindisi.

 

È impossibile pensare che questa strada avesse il solo compito di condurre armenti, truppe, mercanzie ‘solamente’ da Capua a Roma o viceversa; e lo diventa ancora di più quando ci si trova di fronte ad una delle due colonne superstiti ed immense che si affacciavano sul porto di Brindisi. Ora delle due, una è a Lecce e sostiene la statua del patrono salentino, l’altra guarda, ormai da sola, il mare nella speranza, nel benaugurio della partenza o nell’abbraccio del ritorno.

Da qui si salpa arrivando ad Igumenitsa dopo una notte di attraversamento di un mare che già alla partenza mostra dall’altra parte il luogo d’arrivo.

Capitale della Tesprozia, impervia regione greca, la città non ha che il compito di accogliere i viaggiatori per condurli ad Est, attraversando, tramite le orme di una consolare romana, impervie regioni.

 

La strada, l’antica via Egnazia, naturale e voluto proseguimento della Via Appia, è estremamente tortuosa, s’inerpica sui monti tesproti a quote non molto elevate; però se la strada non sarà intrapresa nel periodo estivo spesso il tragitto, soprattutto nei valichi, verrà ravvivato dalla presenza della neve. Anche l’altopiano di Ioànnina, capitale della prefettura omonima, rappresenta un momento di uscita dalla monotonia dei tornanti di montagna, gradevole da guardare mentre si specchia nelle acque del lago Pamvòtida con la sua isola, che porta semplicemente il nome greco di ciò che è: Nissi.

 

Il viaggio prosegue superando posti incantevoli, valli fluviali e picchi scoscesi. La bellezza dei luoghi non colpisce: affascina; ma la lunghezza temporale del viaggio e la complessità della strada prima di giungere in un tratto più rilassante, arriva addirittura alla noia in alcuni casi… ed ancora dopo i primi 100 km ca., ricominciano le montagne, questa volta quelle epirote, molto più alte e scoscese delle precedenti, che i Romani avevano reso accessibili a valle, mentre i Greci hanno preferito rendere agibili le mulattiere disseminate di tornanti. Eppure, adesso, con un’opera immensa il governo ellenico sta costruendo un’autostrada che taglierà questo fastidioso disagio, ripristinando il percorso dell’antica strada romana.Solo da lontano si potrà superare, senza tedio alcuno, gli ultimi 20-40 km, guardando dall’alto dell’ultima montagna la strada che conduce a valle e osservando ancor più da lontano i torrioni che si ergono nella piana di Trikala, appendice della più vasta pianura di Larissa.

 

 

Quasi tutte queste immense torri, litiche costituite da forme di erosioni ancora ignote, tengono sulla cima un monastero bizantino-ortodosso. I Greci le chiamano “Meteora”. Cadute chissà da dove e impiantatesi nel bel mezzo della pianura circostante. Il fascino che emanano è sconvolgente, il silenzio che li circonda, nessuna traccia di modernità se non nel paese attuale di Kalampaka. Spettacolo che si consuma puntualmente dentro ognuno di essi, per i monaci, gli affreschi e ancora il silenzio… E il vento…

 

Ripreso verso nord il viaggio ogni punto da qui diventa una scoperta, anche per i profani, dalla piana di Larissa dove venivano allevati i migliori cavalli e cavalieri di Grecia, a Farsalo, luogo di numerose battaglie tra cui quella più famosa tra Cesare e Pompeo, fino al lontano Golfo di Volos, maestoso e vivace e ancora la Valle di Tempe che insieme al Monte Olimpo chiudeva l’Ellade vera e propria dal resto del mondo barbaro. Ancora, poi, subito la Macedonia, Salonicco e più avanti la penisola Calcidica con i tre bracci che si protendono nel mare, da lontano su uno di essi il Monte Athos, evidentemente “Sacro” per nomea, posizione ed eventi. Nel 492 a.C. nella prima spedizione, gli Dei stessi scesero in campo in aiuto dei Greci per bloccare lungo le sue coste l’avanzata della flotta persiana venuta ad invedere l’Europa.

 

Una sosta terminerà questo giorno, a Kavala, da dove si vede la città, ricca di vestigia antiche, sulla cui costa si riposa bene, si mangia del buon pesce e si vede l’isola di Thasos, un punto idilliaco per prepararsi a superare la frontiera con la Turchia, ormai alle porte. La città che alla mattina ci si presenta poco dopo sembra essere stata posta in quel punto di divisione a pochissimi chilometri dalla frontiera proprio da chi unì mirabilmente questi due mondi, seppur per breve tempo, e che gli ha dato il nome Alexandroupoli.

 

Il fiume Evros che scorre sotto larghi ponti di legno è quieto, la zona, lacustre più che fluviale rispecchia la pace del rio che ivi scorre. Da lontano si vedono degli uomini muoversi, dai costumi e dal passo particolare, le guardie di frontiera greche mantengono la loro volontaria diversità dalla Turchia che una volta la dominava. Una sottile linea, sempre sul ponte di legno e poi altri soldati, come i primi in formazione, ma più austeri, scrutano… L’Asia europea ci spalanca le porte, la frontiera è solo burocrazia e formalità, ma le divisioni storiche non mentono. Ad Ipsala si entra in un’altra regione fisica, vaste e bassissime colline, no, non verdi ma placide e sconfinate mentre da lontano piccoli laghi prima di giungere a vedere il mare. Le acque qui mantengono uno strano colore, un turchese troppo acceso per essere vero. Spaventa in alcuni momenti. Ancora da lontano un ammasso di case di forme e colori diverse, un cartello indica che Istanbul è vicina. L’ingresso alla città fa paura, dovrebbe essere lo stesso effetto che fece Roma ai primi turisti tedeschi alla fine degli anni sessanta. Come è possibile che la capitale di due imperi sia ridotta in questo stato. Il traffico, le case, il disordine, il caos, i rumori fastidiosi…

 

È questa Costantinopoli, Bisanzio, Istanbul?

Si, lo è… il Bosforo saluta i nuovi arrivati, alla luce degli ultimi strali del tramonto, il mare, ma soprattutto la città che ci si immerge, lungo le mura bizantine, verso il Galatasaray, la torre dei Galati dei Celti che ancora porta il ricordo della loro invasione e sul ‘loro’ ponte si blocca il cuore nel vedere una moschea confondersi nel rosso del fuoco…

 

Non bastano certo pochi giorni per rimanere affascinati da una città che ti stordisce con un tramonto. Con le "nuove chiese” nate dall’unione dell’esperienza e del contatto con gli arabi e con i bizantini. Le moschee sono qualcosa di magico. Sono la risultanza della fusione di un tempio cristiano, come la chiesa di Aghia Sophìa.

Capace di creare una cupola in grado di resistere al tempo, alle invasioni, ai cedimenti strutturali, come il nome, anch’esso rimasto quello antico, nonostante i Turchi abbiano cambiato nome ad ogni cosa.

E di fronte… di fronte la Moschea Blu, imponente, speculare al tempio bizantino di cui ne ritrae, ma in maniera moderna e fastosa, le forme.

 

Gli interni sono opposti proprio come i colori che le contraddistinguono, la prima rispecchia l’anima antica della chiesa giustinianea, con l’uso del marmo, degli archi, dei secondi piani, la fastosità degli affreschi e soprattutto dei mosaici che resero famosi i Bizantini nell’arte, e la luce fioca, sacrale... L’altra è l’anima della semplicità, gli spazi non sono riempiti, ne ci si è lasciati andare a sfarsi inutili, se non a ciò che è utile alla preghiera: la semplice maestosità strutturale a cui si affianca la compattezza di ciò che è estremamente saldo, come la fede islamica. I due templi sono separati dall’antico circo o ippodromo di Costantinopoli, nel quale ancora si trovano doni e colonne, sottratti alla Grecia.

 

Le mura che videro migliaia di attacchi e nemici d’ogni stirpe, rimangono il baluardo racchiudendo al loro interno la città dai 1000 assedi, inespugnabile… il mare la rendeva tale, i rifornimenti non mancavano e l’acqua era disponibile per anni. Una delle tante cisterne, immensa, quasi un palazzo imperiale sotterraneo, con la sua foresta di colonne, conteneva gli approvvigionamenti necessari per respingere ogni nemico.

 

Eccetto i Turchi… Loro ormai sono gli eredi di questo impero perduto, come tutti gli imperi, e noi ce lo abbiamo avuto qui, a portata di mano, un retaggio dell’antico, fino a 500 anni fa… Ed ora, invece del palazzo dell’imperatore, del basileus bizantino, sorge un edificio, il cui nome ricorda che, questo nuovo impero, l’Ottomano, primeggiò per più di trecento anni in Asia e Europa con la polvere da sparo: la porta del Cannone o Topkapi. Stanze, cortili, torri, porte, giardini che si affacciano sulle vedute migliori della città, da una parte l’Oriente e dall’altra l’Occidente, tenuti insieme dal Ponte su Bosforo che forse più che mai ti fa percepire il passaggio dall’Europa all’Asia immensa.

 

Il centro Istanbul è rilassante a tal punto che il tentativo di prendere un tè e fumare il narghilè può diventare una piacevole abitudine con la quale si scambiano rapporti umani, semplicemente stando seduti a riposarsi, rilassarsi fino alla partenza…

 

L'intera regione è fondamentalmente importante e tutta si collega ed unisce con un sottile filo di mare, che si stringe e allarga e che non ti fa accorgere di entrare, all’altezza di Gallipoli o in turco Çannakkale, in Anatolia. Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul sono solo una presenza è solo la chiave di un posto. È questo, che già gli antichi, al pari di quella delle Puglie, chiamavano “Città Bella”, il punto per cui da più di 3000 anni Oriente ed Occidente si sfidano, si massacrano, si invadono. Questo punto, quest’area, questa regione è la vera porta dell’Asia intera.

 

Lo sapevano già le popolazioni balcaniche che almeno 1000 anni prima della rocca cantata da Omero, controllavano questo punto, lo sapevano le popolazioni anatoliche, lo sapevano gli eredi di Ilio, lo seppero, poi anche i Greci che vennero ad occupare quest’area con un pretesto.

La pace, il silenzio, in onore dei morti e della storia attanaglia pesantemente Troia insieme al caldo torrido e soffocante. Le mura della cittadella, uniche vestigia degne di nota, lasciano l’amaro in bocca, ma non quando dalla cima di Troia osservi la piana dello Scamandro. E osservi il confondersi del blu e del verde e da lontano l’ingresso ai Dardanelli…

 

Al momento del riposo, la spiaggia da queste parti ti induce al sonno dopo una lauta cena a base di pesce e dopo aver bevuto il raki una specie di anice che qui ti servono con il melone bianco. È una prelibatezza dagli effetti devastanti, uno o due bicchieri accompagnati dal dolce frutto e sarà difficile rimanere in piedi per l’effetto alcolico. Per riprendersi la mattina consigliano un caffè doppio e soprattutto amaro, cosa che funziona veramente!

 

Pergamo accoglie da lontano colui che giunge, sormontata dalla sua acropoli su una vera e propria montagna, la salita è una scalata, che fa pensare perché nei tempi più recenti la città moderna sia sorta ai suoi piedi. Ciò che rimane è una composita accozzaglia di elementi architettonici, rimasti più o meno intatti solo nella parte più alta. Il resto è stato deturpato, smontato, riusato, affibbiato, ricostruito…

 

Più che l’acropoli stessa è il teatro che mirabilmente sfrutta il ‘non’ dolce pendio salendo quasi verticalmente con le sue gradinate, e poi del maestoso altare di Zeus? Non rimane che un parallelepipedo scomposto in blocchi di arenaria, riavvicinati tra loro. I Bizantini, continuatori e non conservatori, avevano spaccato tutti i bassorilievi che ne componevano i fregi per farne delle nuove mura difensive. I tedeschi che alla fine del XIX secolo, in procinto di stipulare alleanze con l’impero ottomano, per una guerra che sarebbe giunta da li a pochi anni, trovarono i primi frammenti, conglobati nel calcestruzzo e con la stessa tecnica usata per la porta di Babilonia e per altri innumerevoli monumenti si riportarono questo splendido puzzle a Berlino.

 

Le coste turche sono meravigliose. Al pari e forse meglio di quelle italiane, ti presentano sempre nuovi paesaggi, isole, pendii a picco sul mare, come quello da cui si dipartiva un’isoletta rocciosa, collegata con la terraferma, sulla quale sorgeva un piccolo ristorante. La luna piena illuminava la costa notturna… Il caldo si attenua la sera, quando trovi un punto per poter riposare, mentre al tramonto ti godi, la vista delle isole, centinaia, migliaia su questo mare che entra nella terra nei più bei giochi di spirali. La visione ti richiama al tuffo nel mare, le cui coste cosparse di cocci di ogni epoca, riportano al fatto che non si tratta di luoghi da otium, ma punti di commercio, di ricchezza, avamposti economici…

Come lo era l’antica Smirne o Izmir, città più ‘ricca’ e popolosa dell’Egeo, ma che ormai lascia sicuramente l’amaro in bocca e ancora di più nel naso, il mare assume un colore petrolifero mentre le sue costruzioni sono delle baracche colorate e a volte neanche troppo cromatiche.

Certo l’Egeo era, è meraviglioso, ma nella sua bellezza ritorna assai famigliare, insomma le coste del Mediterraneo sono meravigliose un po’ ovunque. La necessità di vedere qualcosa di differente di cercare di allontanare la calura atroce, può spingere ad addentrarsi all’interno, ancor prima di vedere Efeso, alla volta della “Fortezza di Cotone”.

 

Pamukkale, così la chiamano i Turchi, è un posto che implica il passaggio in una antica città greca quasi sperduta. All’interno il caldo non cala. Sul tragitto che dalla costa porta all’agognato traguardo si incontra Afrodisia, che è, o meglio, era una città che per essere raggiunta, necessitava, anticamente di un buon motivo. Oggi quel buon motivo è rappresentato dalla maestosità del suo circo, ippodromo al terzo posto durante l’Impero Romano solo alle due capitali, d’Oriente e d’Occidente, ma attualmente quello conservato meglio al mondo. Una volta il motivo per giungere fino a qui c’era e il luogo doveva essere anche molto ben frequentato se il suo stadio poteva contenere un numero di spettatori più alto rispetto al Colosseo. Bastava forse il solo nome per ricordare a coloro che si mettevano in viaggio, che la città era consacrata alla dea dell’Amore e che in essa venivano curati i maggiori problemi di salute al livello sessuale.

 

La meta rimane comunque la frescura… quella che mette in visibilio, soprattutto per lo spettacolo meraviglioso,  colui che giunge di fronte a questa montagna ricoperta di neve… Ma non siamo in alta montagna, non fa freddo, anzi… Sembra che il sole riflesso su questa muraglia bianca intensifichi l’umidità dell’acqua che vi scorre sopra e faccia aumentare la temperatura.

 

È necessario fermarsi più giorni per godere appieno dei piaceri delle vasche formate dal calcare, per rendersi conto che sulla sommità della collina, proprio sopra al “Castello di Cotone” vi sia la città sacra di Hierapolis.

In inverno, la temperatura dell’acqua che forma le piscine, di 26-32° C si sarebbe potuta ritenere, a ragione, calda. Ma in agosto risulta estremamente piacevole e addirittura fresca. I bagni rigeneranti dentro queste piscine naturali rendono tutto estremamente gioviale nonostante la temperatura aerea sfiori i 50°. L’accoglienza di chi ospita in quei posti è encomiabile, come le persone, miscuglio di occhi cerulei e carnagione scura.

 

Il ritorno verso la costa è traumatico, perché la voglia di abbandonare quel posto è poca eppure il viaggio prosegue alla scoperta delle città greche più ricche della ionia. Si ritorna allora verso la città che ha preso il posto di una delle  sette meraviglie del mondo antico, Kusadasi, una volta Efeso, città antica ancora intatta, con una fortezza che ricorda l’avvento dei crociati in Terra Santa, ma con un carico turistico impressionante, con sbarchi ripetuti di “croceristi” incalliti. Una sosta d pochi minuti per osservare qualcosa che forse in vita loro non hanno mai visto: la biblioteca di Celso.

 

Ma il tramonto lungo la via che conduceva al porto ancora intatta, va visto dalla cima del teatro, è giusto rendersene conto da subito che è uno spettacolo che vale forse più della città antica. La notte se si è fortunati si può assistere ad un matrimonio, in un luogo non tra i più agiati del mondo, ma dove le persone sono ancora felici di farlo, col loro carico di doni d’oro alla sposa, con urla, canzoni e danze per tutta la notte.

 

Si scende, verso Sud, per raggiungere Priene, città che godeva di una posizione splendida sotto ogni punto di vista, artistico, logistico, militare, economico, panoramico. Dalle sue terrazze si scorge il panorama della piana del Meandro.

 

Solo dall’alto, con una vista totale e ampia si capisce il perché noi usiamo chiamare i luoghi angusti e contorti con questo nome, riprendendo lo stesso, dai Greci e dai Romani, quei giochi grafici decorativi complementari. Più in basso su un’altra terrazza, un piccolo teatro accoglie degli attori improvvisati, dei Turchi, non troppo giovani, che ripetono i versi del Giulio Cesare shakesperiano. È un occasione non troppo rara osservare, semplici visitatori turchi presi ad esibirsi al centro dei teatri, come se sapessero la loro funzione e come se potenziassero al massimo le loro capacità, proseguendo un ipotetica eredità.

 

Si scende allora ancora verso sud alla scoperta della deludente Mileto di cui rimane solo il teatro, avendo forse pagato nei secoli lo scotto della ricchezza ed ostentatezza, distrutta e abbandonata diverse volte, intorno non presenta più nulla se non poche macerie. Ma il suo santuario, conosciuto in tutto il mondo antico offre uno spettacolo di rara bellezza nei finimenti e nella pietra usata. La regione puntualmente devastata dai terremoti, ha fatto si che del santuario di Didima, rimanessero pochissime colonne, risollevate per anastilosi e alcune conservate così come si sono ‘adagiate’ al suolo. Il marmo che lo costituisce doveva essere dei migliori delle Cicladi o d’Asia Minore, rifulge dopo quasi 2000 anni ancora al sole con sculture decorative che lasciano senza fiato per l’austerità e lo stile. I bassorilievi, i giochi d’ombre, le simbologie figurative e la pianta stessa del tempio, con una (o più) cavità celate ricorda a tutti che questo era insieme a Delfi, Siwa, Dodona uno dei centri oracolari più famosi del mondo antico.

 

Passato velocemente il borgo “carino” di Bodrum, dove una volta regnava un’altra meraviglia, il Mausoleo d’Alicarnasso, rimane ben poco da fare prima di giungere in quella regione che pur mantenendo l’Egeo da una parte apre al mediterraneo con degli scorci che al tramonto riportano più a luoghi fantastici, impervi ed inaccessibili.

Dove il mare, spesso può essere solo visto da lontano e raggiunto esclusivamente per mare…

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34

VIAGGIO IN TURCHIA

Il mediterraneo - Parte II



 

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