N. 6 - Novembre 2005
I
RIBELLI DI NALCHIK
La
questione cecena
di Leila
Tavi
Giovedì 13 ottobre
gruppi armati di guerriglieri per l’indipendenza della
Cecenia hanno sferrato attacchi simultanei
all’aeroporto e ad alcuni edifici amministrativi, tra
cui tre commissariati, le sedi locali dei servizi di
sicurezza e del Ministero degli Interni, della città
di Nalchik, la capitale della Kabardino-Balkaria, una
repubblica della Federazione russa di appena 12.500
chilometri quadrati a soli 150 chilometri ad ovest di
Grozny, la capitale cecena.
L’azione avrebbe avuto
come causa l’arresto di un gruppo di ribelli (e
l’uccisione di alcuni) da parte delle locali forze di
polizia all’alba del giovedì. Per ordine del
presidente russo Vladimir Putin la cittadina di circa
235 mila abitanti è stata accerchiata sin dalle prime
ore della mattina e sono stati evacuati i quartieri
centrali; per timore che i guerriglieri potessero
prendere, come a Beslan (che si trova a poco più di 50
chilometri a sud di Nalchik), in ostaggio insegnanti e
bambini è stata immediatamente evacuata la scuola n.
5, vicino al commissariato in mano ai ribelli. Secondo
l’agenzia di stampa russa Interfax l’attacco
all’aeroporto è stato respinto in breve tempo;
inizialmente la radio commerciale Fun Radio con sede a
Bratislava inviava comunicati ogni 10 minuti circa la
gravità della situazione anche in aeroporto, strano
che nello stesso momento l’Ansa non facesse menzione
affatto del tentativo di insurrezione in
Kabardino-Balcaria.
I guerriglieri hanno
cercato, simultaneamente agli attacchi in città, di
occupare un posto di blocco al confine della
Kabardino-Balkaria e il quartier generale del
regionale Ufficio penitenziario, ma sono stati
respinti dalle forze dell’ordine.
Lunedì 10 ottobre sono
stati ritrovati in una fabbrica abbandonata alle porte
di Nalchik 500 chili di esplosivo, lanciagranate e un
migliaio di proiettili. Martedì 11 ottobre in serata
un gruppo di 10 guerriglieri è stato individuato nel
villaggio di Belaya Rechka (Fiume Bianco), 3 di loro
sono stati uccisi dalla polizia; tra gli uomini uccisi
forse Anzor Astemirov, uno dei capi della Yarmuk
Jamaat dei Mujaiddeen, nonché l’ideatore dell’attacco
a una locale agenzia anti-droga nel dicembre 2004, in
cui sono morti 4 poliziotti ed è stato rubato un
grosso quantitativo d’armi. L’azione attribuita al
gruppo Yarmuk è stata rivendicata dai ribelli ceceni
con un comunicato reso noto nel sito web Kavkaz
Tsentr: “daremo battaglia a tutti i costi,
qualsiasi sarà il risultato. […] O
sconfiggeremo i nemici o entreremo nel paradiso”.
Alla fine di gennaio di questo anno un gruppo di
militanti Yarmuk, formato da 7 uomini, di cui 4 donne,
è perito durante un contrattacco dell’esercito, che ha
avuto luogo giovedì 27 gennaio nelle prime ore della
mattina (una coincidenza, che proprio di giovedì è
scattato il recente attacco a Nalchik?) e si è
concluso con i militari russi che hanno aperto il
fuoco sui 7 ribelli assediati in un appartamento senza
risparmiare la vita di nessuno.
Tutto fa pensare che i
ribelli abbiano preparato quest’ultimo attacco del 13
ottobre in risposta alle recenti operazioni di
“repulisti” delle forze armate.
L’azione è stata
rivendicata il 17 ottobre, come quella del dicembre
2004, nel sito web Kavkaz Tsentr, ancora una
volta dal leader indipendentista ceceno Chamil
Bassaïev, come per l’attacco al teatro Dubrovka di
Mosca e a Beslan. Secondo le dichiarazioni di Bassaïev,
di cui non è stato possibile verificare l’autenticità,
l’operazione è stata condotta dell’emiro Seifullakh e
compiuta da 217 militanti, di cui solo 41 sarebbero
rimasti uccisi.
Questa volta il Cremlino,
dopo le pesanti critiche ricevute riguardo al silenzio
sulla strage di Beslan, ha decido di permettere ai
media russi di seguire le vicende dell’attacco; per il
governo il fallito tentativo aveva come scopo quello
di liberare alcuni detenuti appartenenti a gruppi
separatisti che lottano per la causa dell’indipendenza
cecena. Per Arkadij Baskajev, membro della Comissione
per la sicurezza della Duma, intervistato da Interfax,
“si è trattato di un’azione premeditata, come per
Beslan”.
La reazione del Cremlino
è stata ancora una volta quella della linea dura;
Putin ha dato ordine di “sparare a vista” su chiunque
si fosse opposto alle forze dell’ordine, come
confermato dal comunicato stampa del viceministro
dell’Interno Aleksandr Cekalin. Nella giornata di
venerdì 14 ottobre i combattimenti tra guerriglieri e
forze dell’ordine sono cessati e la città è tornata in
mano alle forze governative, dopo l’uccisione di 10
dei ribelli asserragliati in uno dei commissariati;
così hanno dichiarato il vice-procuratore Vladimir
Kolesnikov e il vice ministro per le Comunicazioni di
massa, Nikolai Lyapin. Il bilancio delle vittime
oscilla tra i 14 e gli 86, a seconda se la fonte è
governativa o privata (alcune fonti non ufficiali
parlano addirittura di 100 morti), più di 100 i feriti
negli ospedali; anche sul numero dei ribelli non ci
sono certezze, il governo parla di 60, i giornali di
150.
Il Ministro degli
Interni Andrei Novikov ha dichiarato che 61 dei
guerriglieri sono stati uccisi dalle forze
dell’ordine, mentre le vittime tra civili e poliziotti
sono state rispettivamente 12 e 12; versione
parzialmente confermata dal comunicato stampa di Fedor
Shcherbakov, portavoce dell’inviato Dimitrij Kozak. Un
bilancio che ci lascia perplessi, soprattutto a fronte
delle recenti persecuzioni nei confronti dei ragazzi
che professano in Caucaso la religione islamica e si
recano regolarmente cinque volte nelle moschee per
pregare, come il Corano prescrive. Un caso di morte a
causa di maltrattamenti e torture da parte della
polizia locale ai danni di un giovane credente si
trova in un articolo del Frankfurter Rundschau
online dell’ottobre 2004. Il quotidiano tedesco
testimonia la storia di Rassul Zakojev, morto il 4
ottobre 2004 nel reparto di rianimazione dell’ospedale
di Nalchik per complicazioni a seguito di un trauma
cranico. Ai piedi del ragazzo sono stati trovati segni
di elettroshock, sul corpo ustioni causate da
sigarette e sulle braccia segni di iniezioni. I
poliziotti lo hanno arrestato, interrogato e torturato
una notte intera solo perché sospettato di avere
procurato cibo e un cellulare a degli estremisti. La
madre del ragazzo, Suchra, ha dichiarato che Rassul
era un ragazzo come gli altri, frequentava anche amici
ortodossi e usciva con ragazze in minigonna.
Il movimento dei
cosiddetti Wahhabiti, gli estremisti islamici, che
lotta contro il governo di Mosca non è, secondo Alexej
Malashenko, specialista del Carnegie Moscow Center,
che una piccola minoranza, mentre le persecuzioni di
giovani uomini nel Caucaso da parte delle forze armate
sono ormai all’ordine del giorno. Per Malashenko si
corre il rischio che “la guerra in Cecenia e in
Inguscezia si allarghi a tutto il Caucaso, alimentando
ancora di più i conflitti che si cerca di contrastare”.
Durante il periodo
sovietico la Kabardino-Balkaria viveva soprattutto di
turismo, grazie alle sue montagne, di cui l’Elbrus è
la vetta più alta con i suoi 5642 metri, e al rinomato
sanatorio di Nalchik. Del conflitto ceceno scoppiato a
meno di 80 chilometri di distanza dopo il crollo del
regime sovietico, non si sono avute negli anni ’90
gravi conseguenze in Kabardino-Balkaria. Oggi però la
regione è la seconda in tutta la Federazione russa per
tasso di povertà; la metà dei 900.000 abitanti sono
musulmani. Prima della fine del socialismo la
religione islamica ricopriva naturalmente un ruolo
secondario; agli imam era permesso solo di celebrare
matrimoni e funerali, la stessa conoscenza del Corano
era parziale e “di seconda mano”.
Negli ultimi anni,
invece, molti giovani musulmani in Kabardino-Balkaria
seguono i precetti del trentanovenne Musa Mokoshev,
che ha studiato il Corano in Giordania e in Arabia
Saudita. I seguaci di Mokoshev sono oggi migliaia e
sono malvisti dal governo, perché non seguono i
precetti ufficiali del Consiglio dei Musulmani,
l’autorità riconosciuta. Tutti i seguaci di Moloshev
vengono soprannominati indistintamente Wahhabiti,
fondamentalisti islamici. “Le moschee della
Kabardino-Balkaria sono divise” confessa
Chasratalij Dsaseshev, vice capo del locale Consiglio
spirituale dei Musulmani, nell’intervista di Florian
Hassel per il Frankfurter Rundschau. “Questo
però ha poco a che vedere con i Wahhabiti, si tratta
di un conflitto di tipo generazionale. Le vecchie
generazioni interpretano l’Islam seguendo le usanze
loro tramandate. I giovani studiano il Corano in
originale e pretendono che le regole vengano seguite
alla lettera.”
Questo irrigidimento dei
giovani musulmani, questo ritorno al Corano, non può
che essere una reazione ai soprusi subiti e alla
corruzione di politici e agenti della sicurezza che,
agli occhi della gente, non fanno altro che mettere i
propri interessi prima di quelli della comunità. A
detta del giornalista tedesco Florian Hassel la
polizia locale dispone di una lista di 430 uomini
considerati “nemici dello Stato”, secondo l’imam
Chasratalij Dsaseshev, si tratterebbe solo di credenti
che frequentano le moschee per pregare e non per
cospirare.
Certo che nella regione
ci sono gruppi di estremisti armati, come il già
citato Yarmuk e lo Dshamaat n.3, ma si tratterebbe per
il momento della minoranza della popolazione.
Ma la politica del
braccio di ferro di Putin non fa altro che favorire il
coalizzarsi dei gruppi separatisti con quelli degli
estremisti islamici, ormai anche al di fuori dei
confini ceceni. La Kabardino-Balkaria è la quinta
delle sette repubbliche del Caucaso a subire le
conseguenze del conflitto ceceno. Anche in questo caso
gli insorti hanno cercato di sfruttare a loro favore
il malcontento generale, la povertà in cui la regione
versa e le tensioni tra i vari gruppi etnici.
Secondo il politologo
russo Alexandr Ignatenko, esperto di estremismo
islamico, il terrorismo di matrice araba vede la
Kabardino-Balkaria come una possibile base europea per
nuove cellule di militanti arabi allo scopo di
incoraggiare e sostenere i gruppi locali. Un massiccio
reclutamento come quello a cui stiamo assistendo in
Medio Oriente porterebbe sicuramente alla
destabilizzazione dell’intero Caucaso; l’estremismo,
forse più politico che religioso, si sta velocemente
diffondendo tra la gente nonostante le dure misure
anti-terrorismo del governo russo. Secondo uno studio
condotto dal Carnegie Moscow Center, presentato
durante il seminario internazionale “Islam and
social conflicts in the North Caucasus”, tenuto a
Mosca il 27 giugno 2005, gruppi di fondamentalisti
islamici avrebbero reclutato sistematicamente dal 1990
più di 20 milioni di musulmani russi in tutta la
regione del Caucaso del Nord. Alexandr Šaravin,
direttore dell’Istituto per l’analisi politica e
militare di Mosca, non mette in dubbio che molte delle
moschee della regione siano diventate il quartier
generale dei gruppi islamici, che supportano con
retorica e finanziamenti la lotta indipendentista
cecena.
Dopo la morte nel 2002
del saudita Omar Ibn al-Khattab (forse avvelenato), il
suoi successori, anch’essi sauditi, Abu Walid, ucciso
all’inizio del 2004 e poi Mohammed Abu Omar al-Seif,
di cui si dice sia stato uno degli ideatori
dell’attacco di Beslan, sono stati tutti considerati
emissari di al-Qaida in Cecenia e stretti
collaboratori di Bassaïev. Ignatenko considera al-Seif
il capo spirituale dei ribelli ceceni. L’infiltrazione
di cellule di al-Qaida nella guerriglia cecena non ha
solo rappresentato una commistione di politica e
religione in Cecenia, ma ha anche modificato le
tecniche di lotta; i combattenti arabi hanno importato
nel Caucaso le nuove tattiche del “bomber” suicida.
Ai “consiglieri arabi”
sarebbe riuscito di costituire una fitta reti di
contatti anche con le piccole unità di ribelli locali,
coordinata da al-Seif. Molti dei combattenti arabi che
si sono riuniti al gruppo di Bassaïev, o nella
versione araba Rijadus Salikhin, come ama farsi
chiamare, si trovano adesso a combattere in Irak
Questa versione è confermata da Dia’a Rashwan, un
ricercatore egiziano specializzato in terrorismo, il
quale sostiene che i rapporti privilegiati tra i
ribelli ceceni e i miliziani arabi non hanno eguali in
nessun altra zona dove ci sono lotte per
l’indipendenza. Uno dei gruppi che finanziano la causa
cecena dal Medio Oriente è la Al-Haramain
Islamic Foundation, con base in Arabia Saudita;
nei gruppi radicali come Yarmuk, Tabuk e Dzahannat,
che beneficiano delle “donazioni” arabe, spesso i
leader spirituali sono d’origine saudita. Le autorità
dell’Arabia Saudita sono negli ultimi tempi
accondiscendenti riguardo alle richieste del governo
russo di controllare i flussi di capitale in uscita
verso la Cecenia, proprio perché il fenomeno del Islam
radicale è in continua ascesa tra i Sauditi stessi.
Gli estremisti arabi
trovano terreno fertile su cui attecchire a causa
della povertà estrema delle regioni del Caucaso del
Nord e a causa dell’alto tasso di disoccupazione che,
insieme ai continui abusi dei militari sui civili,
alla corruzione dei politici locali e al rifiuto di
qualsiasi negoziato con gli indipendentisti da parte
del Cremlino, fanno sì che la popolazione non abbia
nessuna fiducia nelle istituzioni, che considera
incapaci di governare.
Chamil Bassaïev chiama
la Kabardino-Balkaria “la bella addormentata”, non
solo per le sue imponenti montagne, ma soprattutto
perché la considera la prossima roccaforte, dopo la
Cecenia, delle insurrezioni di matrice islamica.
Nel prossimo numero
analizzeremo alcune teorie sul separatismo in Caucaso:
una corrente di pensiero che fa risalire la
destabilizzazione della regione a un tentativo degli
Stati Uniti di frammentare e indebolire ancora di più
quello che resta dell’ex potenza sovietica; un’altra
che considera i legami tra il terrorismo islamico e
gli indipendentisti ceceni solo una montatura
dell’entourage di Putin, un’ultima che fa capo alla
scuola dell’economista russo Sergei Khaikin, che
considera i separatisti ceceni una minoranza rispetto
a una maggioranza che si considera ancora di diritto
parte integrante della Federazione russa.
Riferimenti bibliografici:
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militants raid Nalchik, 24 dead”, in The Moscow
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“Assalto
di un commando ceceno. Decine le vittime. Agenti in
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http://www.repubblica.it/2005/j/dirette/sezioni/esteri/scuolarussia/scuolarussia/
“Basaiev
rivendica gli assalti a Nalchik”, in La Stampa web,
17.10.2005,
http://www.lastampa.it/redazione/Esteri/terrorismo.asp
“Caucaso:
la guerriglia attacca, oltre 60 morti”, in Il
Corriere della sera.it, 13.10.2005,
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/10_Ottobre/13/caucaso.1.shtml
“Caucaso:
scontri finiti, uccisi 10 guerriglieri”, in Il
Corriere della sera.it, 14.10.2005,
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/2005/10_Ottobre/14/caucaso.1.shtml
“Chechens’ terro links
drawing attentino”, in NewsMax.com, 27.09.2004,
http://www.newsmax.com/archives/articles/2004/9/26/134134.shtml
“Extremists trying to
desabilize southern Russian regions, analyst says”, in
News from Russia, 13.10.2005, http://newsfromrussia.com/science/2005/10/13/65197.html
Florian Hassel,
“Ausweitung der Terrorzone. Der Konflikt mit
islamistischen Kämpfern greift von Tschetschenien auf
andere Kaukasusrepubliken über“, in Frankfurter
Rundschau online, ottobre 2004,
http://www.fr-aktuell.de/ressorts/nachrichten_und_politik/die_seite_3/?cnt=628064&shtml
“Gunbattles kill dozens
in Russia’s Caucasus”, in Middleeastinfo-org,
http://www.midlleeastinfo.org/forum/viewtopic.phpt?t=5679
“Police battle militants
in Russia”, in CNN.com, 13.10.2005, http://www.cnn.com/2005/WORLD/europe/10/13/russia.shooting/index.html
“Seven killed in N.
Caucasus siege” in BBC News – world edition,
27.01.2005, http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/4211625.stm |