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> Storia Contemporanea

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N. 29 - Ottobre 2007

PRIGIONIERO DEL TEMPO

Boris Pasternak, Živago e la censura sovietica

di Stefano De Luca

 

Da poco tempo ho terminato la mia fatica principale, più importante, l’unica di cui non mi vergogno, di cui rispondo senza paura, Il dottor Živago, romanzo in prosa con appendice poetica. Le poesie disperse lungo tutti gli anni della mia vita e raccolte in questo libro sono i gradi preparatori del romanzo”.

 

Queste sono le parole del poeta usate nella conclusione della sua Autobiografia che avrebbe dovuto, almeno nelle intenzioni, precedere la pubblicazione del romanzo. Per Boris Pasternak, Il dottor Živago costituiva l’opera della maturità, la sintesi perfetta di tutta la sua attività artistica, che se da un lato fu causa delle maggiori disavventure della sua vita, dall’altro rese piena la grandezza di scrittore.

 

Pasternak, che cominciò ad ideare il romanzo dalla metà degli anni Quaranta, non ne fece mai un segreto con nessuno ma anzi, leggendone i brani appena scritti, chiedeva spesso un giudizio sincero ai suoi uditori. Dal febbraio del 1952 fino al 1956, Pasternak mantenne un rapporto epistolare con Varlam Šalamov, il futuro autore de I racconti di Kolima (che fino al 1953 si trovava rinchiuso proprio nel luogo dove sarà ambientata la sua opera), al quale inviò, in due riprese, il suo nuovo romanzo. Šalamov, che condivideva con Pasternak l’amore per la poesia, rimase entusiasta dell’opera, correggendone perfino un’inesattezza.

 

Nella primavera del 1956 il romanzo, ormai pronto, “giaceva sulle scrivanie delle redazioni, e le redazioni tacevano”. Né Novyj Mir né il Goslitizdat (le Edizioni di Stato della letteratura) sembravano intenzionate a pubblicare un romanzo che raccontava una realtà troppo ‘umana’, e non utile, a loro avviso, per la letteratura sovietica, schiava dei canoni del realismo socialista. Pasternak era consapevole delle difficoltà esistenti. “Sono giunto alla conclusione”, diceva alla compagna Olga Ivinskaja (sua compagna, nonostante fosse già sposato), “che bisogna darlo a leggere a tutti, a chiunque ce lo chieda. A tutti bisogna darlo, e che lo leggano pure, perché sono certo che non sarà mai pubblicato”.

 

A questo punto dobbiamo spostarci in Italia, per raccontare la storia di un altro uomo, l’editore Giangiacomo Feltrinelli, il quale avrà, nell’intera vicenda riguardante la pubblicazione del romanzo, un ruolo di primaria importanza. Feltrinelli, iscritto al PCI, era alla ricerca di opere significative per dare slancio alla sua casa editrice, ed ebbe la fortuna di imbattersi in uno dei romanzi più significativi del Novecento russo, Il dottor Živago per l’appunto. Sergio D’Angelo, anch’egli iscritto al PCI, nel 1956 lavorava a Radio Mosca, e fungeva da talent scout per Feltrinelli in Unione Sovietica.

 

D’Angelo ascoltò, durante un notiziario culturale, che presto sarebbe stata pubblicata l’opera di Pasternak, e comprese subito l’importanza dell’occasione presentatasi. Siccome gli autori russi, dopo la prima pubblicazione in patria, non sono protetti dal copyright, chi in Occidente pubblica per primo la loro opera, ma entro trenta giorni dalla pubblicazione sovietica, ne ottiene l’esclusiva per il mercato occidentale. Quella volta però si verificò una situazione particolare, in quanto l’opera fu pubblicata all’estero prima (di ben trent’anni) che in Unione Sovietica, ed in questo caso le conseguenze peggiori le avrebbe avute l’autore.

 

D’Angelo si diresse, nel mese di maggio, al villaggio degli scrittori a Peredelkino, alle porte di Mosca, dove spesso soggiornava Pasternak con la famiglia. Riuscì ad incontrare il poeta, che gli affidò il manoscritto per permettere a Feltrinelli di iniziarne la traduzione. Pasternak, consapevole della sua decisione così come dei problemi che essa avrebbe comportato, congedò D’Angelo dicendogli: “Voi siete sin da ora invitato alla mia fucilazione”. A Berlino, D’Angelo diede il manoscritto a Feltrinelli, che il 13 giugno scrisse a Pasternak una lettera con allegata la bozza del contratto.

 

La lingua usata era il francese, perché Pasternak aveva chiesto che “le sole lettere valide saranno scritte in francese […] se riceverete mai una lettera in altra lingua, non dovrete eseguire mai ciò che vi sarà domandato”. Pasternak era pronto a combattere la sua battaglia sino in fondo. “Se la sua pubblicazione qui”, scriveva a Feltrinelli il 30 giugno, “promessa da parecchie riviste, dovesse subire ritardo e la Vostra la anticiperà, io mi troverò in una situazione di tragico imbarazzo. Ma la cosa non Vi riguarda. In nome di Dio, procedete liberamente alla traduzione e alla stampa del libro”.

 

Le autorità sovietiche vennero da subito a conoscenza degli accordi tra Pasternak e l’editore italiano, e lo conferma la lettera spedita il 24 agosto da Ivan Serov, presidente del KGB, al CC del PCUS: “risulta che lo scrittore Boris Pasternak, attraverso Sergio D’Angelo, speaker presso la radio del Ministero della Cultura dell’URSS, […] nel maggio c.a. ha consegnato all’editore italiano Feltrinelli un manoscritto del proprio romanzo inedito, ‘Il dottor Živago’, affinché venga pubblicato in Italia. Nella lettera del 3 luglio c.a., indirizzata a Feltrinelli, Pasternak acconsente ufficialmente alla pubblicazione del romanzo”.

 

La cosa strana è che non risulta nessuna lettera datata 3 luglio. E’ probabile che il KGB non avesse intercettato in realtà nessuna lettera, ma che qualcuno fosse andato a raccontare le intenzioni del poeta, e che queste abbiano raggiunto la attente orecchie del KGB. Olga Ivinskaja, a parere del figlio di Giangiacomo, Carlo Feltrinelli, è l’indiziata principale. I sospetti sembrano fondati, in quanto la Ivinskaja sostiene di aver raccontato tutto a Koževnikov, amico di vecchia data e redattore della rivista ‘Znamja’, perché così sperava di sbloccare la pubblicazione del romanzo in Unione Sovietica. Da questo episodio, probabilmente, sarebbe partita la rete di informazioni che avrebbe presto raggiunto il KGB, e quindi di Serov.

 

Il PCUS decise di fare pressioni sul PCI per recuperare il manoscritto in mano a Feltrinelli, ma i dirigenti Pietro Secchia e Paolo Robotti fallirono nel loro tentativo di persuadere l’editore. Nel gennaio del 1957 i sovietici decisero quindi di intervenire direttamente nella questione, principalmente attraverso Surkov, Segretario dell’Unione degli Scrittori dell’Unione Sovietica. Questi propose a Pasternak un formale contratto di edizione col ‘Goslitizdat’, ovviamente per una versione ‘rivisitata’, ma la sua era solo una mossa per prendere tempo. Tale versione del romanzo sarebbe stata pubblicata, sempre secondo Surkov, nel settembre dello stesso anno.

 

Inoltre Pasternak fu costretto a mandare un telegramma a Feltrinelli, nel quale lo invitava a pubblicare in Italia il romanzo solo dopo la sua uscita in Unione Sovietica, ma tale telegramma era scritto in italiano e l’editore ebbe buon gioco a respingerne la veridicità. Il 6 febbraio Pasternak scrisse a Feltrinelli, questa volta in francese, una nuova lettera: “Le nostre Edizioni di Stato fanno pressione su di me perché io vi mandi un telegramma pregandovi di sospendere la pubblicazione italiana del mio romanzo fino  quando non sarà uscita quella la versione modificata presso le Edizioni. Vi proporrei un termine limite di rinvio, di sei mesi, ad esempio. […] Telegrafate questa notizia alle Edizioni”. Nel frattempo, Pasternak si ammalò seriamente di artrite, ma nonostante ciò non sarebbe indietreggiato di un passo nella sua ferma volontà di far conoscere al mondo intero il suo capolavoro, qualunque fosse stato il prezzo che avrebbe dovuto pagare. Il 10 giugno Feltrinelli scrisse al ‘Goslitizdat’: “Cari Compagni, con la presente desideriamo darvi conferma che non procederemo alla pubblicazione del romanzo […] prima della sua uscita in URSS nel mese di settembre”.

 

Surkov, che mai avrebbe permesso la pubblicazione del romanzo in Unione Sovietica, giocò il tutto per tutto per impedirla anche in Italia, giungendo, ad inizio ottobre 1957, nella redazione milanese di Feltrinelli. Dopo un acceso faccia a faccia con l’editore, durato tre ore, Surkov ne uscì sconfitto, perché Feltrinelli non avrebbe rinunciato a pubblicare in Italia, nei tempi preventivati, il romanzo di Pasternak. Durante la conferenza stampa milanese del 22 ottobre Surkov delineava già quella che sarà la linea adottata dai sovietici nei mesi successivi: “Pasternak ha scritto al suo editore italiano e lo ha pregato di restituirgli il manoscritto del romanzo per poterlo rielaborare. […] Ciononostante ‘Il dottor Živago’ sarà pubblicato contro la volontà del suo autore. La guerra fredda si intromette nella letteratura. Se è questa la libertà dell’arte come la intende l’Occidente, allora devo dire che a questo riguardo la nostra opinione è ben diversa”. Le implicazioni che seguirono la pubblicazione in Occidente del romanzo, avrebbero da un alto coinvolto Pasternak, che aveva consegnato il manoscritto agli stranieri, e dall’altro l’Occidente stesso, che aveva coinvolto la letteratura nella guerra fredda. Il 23 novembre 1957 usciva l’edizione italiana de Il dottor Živago, e poco dopo anche quelle degli altri Paesi dell’Europa occidentale. Il successo dell’opera fu immediato.

 

L’intera faccenda divenne insostenibile il 23 ottobre del 1958, quando l’Accademia di Svezia conferì a Pasternak il Premio Nobel per la Letteratura, “per il ragguardevole contributo alla lirica contemporanea e alla grande tradizione dei prosatori russi”. La reazione delle autorità sovietiche fu immediata. Il 25 ottobre la ‘Literaturnaja Gazeta’ pubblicò un lungo articolo che  attaccava apertamente Pasternak, mentre al contempo si svolse una manifestazione ‘spontanea’ contro il poeta. Su di un cartello, racconta la Ivinskaja, c’era scritto “via dall’URSS, Giuda”. La campagna era volta a far passare Pasternak come un traditore del popolo, e le accuse a lui rivolte durante la riunione dell’Unione degli scrittori del 27 ottobre lo dimostrano chiaramente.

 

Pasternak non si presentò, ma fece consegnare una lettera nella quale delineava la sua posizione: “Credo che chi ha scritto il romanzo Il dottor Živago possa restare uno scrittore sovietico, […] non mi considero un parassita, […] nulla mi obbliga a rifiutare l’onore di essere un premio Nobel, […] non mi attendo giustizia da voi. Potete fucilarmi, espellermi, fare di me tutto quello che vi pare”. La risoluzione finale della riunione così recitava: “Pasternak è diventato un’arma della propaganda borghese […]. Il suo tradimento del popolo sovietico, della causa del socialismo, della pace, del progresso, il suo tradimento pagato con il premio Nobel, […] privano Boris Pasternak della qualifica di scrittore sovietico, e lo escludono dall’effettivo dell’Unione degli scrittori dell’URSS”.

 

Per non essere espulso dall’Unione Sovietica, il 5 novembre Pasternak fu costretto ad inviare alla redazione della ‘Pravda’ una lettera nella quale rifiutava il premio Nobel: “Ho considerato il premio Nobel come un’onorificenza letteraria, e ne sono stato lieto […]. Mi sbagliavo. In capo a una settimana, quando vidi quali dimensioni stava assumendo la campagna politica organizzata intorno al mio romanzo, mi convinsi che il conferimento del premio era stato soltanto un passo politico, e di mia iniziativa comunicai all’Accademia il mio volontario rifiuto”. Pasternak, le cui condizioni fisiche peggiorarono progressivamente, morì nella notte tra il 30 e il 31 maggio del 1960. L’incapacità dell’intelligencija di opporre una qualche forma di resistenza alla brutalità con la quale egli era stato denigrato, scatenò tra le sue fila una reazione propositiva, che prevedeva una riscoperta dell’azione diretta per riaffermare i propri diritti.

  

Il sacrificio di Pasternak non risulto’ vano, perché il fermento intellettuale che la sua vicenda aveva introdotto nella società sovietica, ebbe l’effetto positivo di destare gli animi dal torpore, e permise di canalizzare nuove energie sul fronte della battaglia contro il regime per l’affermazione dei diritti fondamentali dell’individuo. Non è un caso se il 2 giugno, ai funerali di Pasternak a Peredelkino, la bara contenente la salma del poeta era portata a spalla da Julij Daniel e Andrejj Sinjavskij, due giovani scrittori che ebbero in seguito un ruolo di fondamentale importanza per la nascita del dissenso in Unione Sovietica.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

Carlo Feltrinelli, Senior service, Milano, Feltrinelli, 1999

Olga Ivinskaja, La mia vita con Pasternak, Milano, Bompiani, 1978 Boris Pasternak, Autobiografia, Milano, Feltrinelli, 1958

Boris Pasternak - Varlam Šalamov, Parole salvate dalle fiamme. Lettere, 1952- 1956, Milano, Archinto, 1988

 



 

 

 

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