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N. 21 - Febbraio 2007

PETR GRIGORENKO

Il generale dissidente

di Stefano De Luca

 

Pëtr Grigorenko, nato nel 1907 nel villaggio di Borisovka, sin da adolescente fu un convinto sostenitore del socialismo, un attivista del Komsomol.

Nel 1931 entrò nell’Accademia tecnica militare di Leningrado, riuscendo a fare carriera. Combatté la Seconda guerra mondiale sul fronte occidentale, ottenendo il grado di generale e la direzione della Sezione studi e ricerche all’Accademia militare Frunze di Mosca.

La svolta cruciale della sua vita avvenne il 7 settembre del 1961 quando, in qualità di delegato dell’Accademia militare sovietica, pronunciò ad una conferenza del Partito un discorso che fu l’inizio delle sue tribolazioni. Disse infatti che il culto di Stalin era ben lungi dall’essere stato rimosso, e chiedeva delle libere elezioni democratiche come garanzia di un effettivo cambiamento del regime. La conferenza venne sospesa, e Grigorenko cacciato. Destinato ad altro incarico, partì per Ussurijsk, nell’Estremo Oriente sovietico, dove cominciò la propria attività di dissidente.

Formò, assieme al figlio Grigorij, un gruppo clandestino di opposizione al regime. Grigorenko avrebbe presto rigettato la tattica della clandestinità, che considerava una reminiscenza del proprio modo di pensare marxista, decidendo di agire pubblicamente contro i crimini del regime. Arrestato nel febbraio del 1964, venne interrogato alla Lubjanka dal KGB, e poi sottoposto ad una perizia psichiatrica presso l’Istituto Serbskij. Gli venne riscontrata una forma patologica, il «profetismo», in quanto aveva dichiarato che Chruščëv non sarebbe durato oltre l’autunno.

Questo fu, suo malgrado, un bene, in quanto quando Chruščëv venne defenestrato, i medici pensarono che Grigorenko, ben informato, avesse amici influenti tra i nuovi dirigenti. Privato del grado militare e della pensione, l’ex generale cominciò a pubblicare alcuni testi del samizdat, tra i quali il più famoso era il saggio intitolato Stalin e la Seconda guerra mondiale, nel quale criticava apertamente la condotta impressa dal dittatore durante le operazioni belliche. Prese a cuore la causa dei popoli deportati, rendendosi molto utile soprattutto per i tatari di Crimea.

Nel mese di maggio del 1969 vennero arrestati a Taškent 10 attivisti del movimento tataro: Bairamov, Kadyev, Bariev, Chairov, Gafarov, Jazydziev, Ametova, Chalilova, Umerov, Eminov. Grigorenko aveva ricevuto una lettera di 2000 tatari che lo invitavano al processo in qualità di difensore degli imputati. Giunto il 2 maggio a Taškent, venne preventivamente arrestato il 7 maggio in base all’art. 191 della Repubblica uzbeka (equivalente al 190/1 della RSFSR), e poi sottoposto ad una nuova perizia psichiatrica, all’Istituto Serbskij ovviamente. Riconosciuta per una seconda volta la sua ‘malattia’, l’ex generale venne mandato nell’ospedale psichiatrico speciale di Černjachovsk (in territorio ex prussiano), dove trascorse tre anni e mezzo in una cella in compagnia di un maniaco omicida, che gli creò non pochi problemi.

Nel marzo del 1970, la moglie di Grigorenko scrisse un Appello per aiutare il marito, rivolto alle organizzazioni che difendevano i diritti umani, ed a “tutti gli uomini di spirito libero”. Il marito, data la palese inconsistenza delle prove, era stato “privato del diritto di difendersi” e giudicato malato di mente: questa sentenza, superava a suo avviso “tutte le altre per inumanità e cinismo”.

Grigorenko venne trasferito nell’ospedale psichiatrico comune di Leningrado nel 1973, dove le sue condizioni migliorarono sensibilmente. Fu espulso il 26 giugno del 1974 dall'Unione Sovietica: il 27 era prevista la visita di Nixon a Mosca, e Solženicyn si era rivolto al presidente statunitense affinché intercedesse presso il governo sovietico per ottenere la liberazione dell’ex generale. Trasferitosi negli Stati Uniti, Grigorenko venne esaminato da psichiatri americani, che lo trovarono perfettamente sano.

Riferimenti bibliografici

Convegno Internazionale: i Giusti nel Gulag, Milano 9-11 dicembre 2003, www.gariwo.net

La Russie contestare, Paris, 1971

 



 

 

 

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