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N. 2 - Luglio 2005

MEDIORIENTE, USA ED EUROPA NELLA POLITICA DI CRAXI

Intervista all'onorevole Lelio Lagorio

di Viola Vallini

 

Anni Ottanta: nuovo corso della politica estera italiana. Si può parlare di continuità fra Cossiga, Spadolini e Craxi?

 

D) La storiografia individua i due momenti salienti del nuovo corso della politica estera italiana degli Anni Ottanta nella decisione del 1979 di installare gli Euromissili sul territorio italiano e in quella di partecipare con un proprio contingente alla missione internazionale di pace in Libano a partire dal 1982. In entrambe le occasioni il contributo del ministro della difesa Lelio Lagorio fu determinante. Secondo Lei, onorevole Lagorio, si può individuare nei governi Craxi una linea di continuità in politica estera rispetto alla politica dei governi Cossiga e Spadolini?

 

R)  Una politica scaturisce anche dalle radici culturali di chi la fa. Ora le radici di Cossiga, Spadolini e Craxi erano diverse. Tutti e tre – con una terminologia di oggi – si possono definire “riformisti”, ma le caratteristiche cattolico-liberali di Cossiga non si trovano negli altri, l’impronta risorgimentale è tipica del solo Spadolini, Craxi è figlio del suo tempo, più pragmatico e meno ideologico degli altri. La loro politica estera non è legata da un unico filo, non ha cioè identici obiettivi.

 

Evoluzione della politica internazionale del PSI e ricadute sul primo governo a presidenza socialista in Italia

 

D) Secondo Lei, quale è stato il rapporto tra l’evoluzione delle posizioni di politica internazionale assunte dal PSI e la prima esperienza di un governo socialista in Italia?

 

R) Dopo la Liberazione, nel PSI le posizioni di politica estera sono mutate con gli anni. Dall’iniziale e lungo neutralismo (a cui in sostanza rimase fedele fino alla fine l’ala sinistra di Lombardi) si arriva gradualmente, attraverso varie tappe, alla totale accettazione della NATO e dell’Europa comunitaria. C’è comunque una costante che lega la politica socialista di tutti i tempi: ricerca della coesistenza fra est e ovest, rifiuto di ogni oltranzismo, solidarietà col Terzo Mondo. Negli Anni Ottanta il governo a presidenza socialista restò fedele a questa piattaforma politica del PSI.

 

 

Diversità di politica estera all’interno anche dell’ultimo PSI

 

D) Leggendo il saggio pubblicato su “Rivista Marittima” (autunno 2003), intitolato “La spedizione militare in Libano”, parlando della discussione che si era aperta in Italia sul “New Deal” e che vedeva contrapporsi i “neo-nazionalisti” e i “neo-pragmatici”, Lei, on. Lagorio, pone una interessante discriminante. In quello scritto infatti si legge che il Ministro della Difesa apparteneva a pieno titolo al primo gruppo, mentre si ha cura di sottolineare che “il suo compagno di fede, Bettino Craxi, per alcuni aspetti di quel nuovo corso non era classificabile sulla stessa lunghezza d’onda”. Potrebbe spiegare in che cosa il suo pensiero si differenziava rispetto a quello di Craxi? All’interno del PSI esistevano diverse percezioni sui temi di politica estera?

 

R)  Negli organi dirigenti del PSI i temi di politica estera non sono mai stati il pane preferito. Pochi dirigenti erano esperti di queste cose. Craxi lo era più di altri. Fin dalla fine degli Anni Sessanta quando accettò di rappresentare il PSI nella presidenza collegiale dell’Internazionale Socialista (e vi è rimasto per più di venti anni), Craxi dimostrò interesse alle questioni internazionali, visitò molti Paesi, conobbe un gran numero di leader, strinse relazioni importanti, studiò molti dossier, ridusse così la nomea che il socialismo italiano si era fatto di “partito provinciale”. Craxi – la cui scelta di fondo è stata la trasformazione dell’antico PSI massimalista in un partito socialdemocratico occidentale e autonomista – aveva in politica estera tre punti fermi: l’amicizia con gli Stati Uniti, il terzomondismo e l’indipendenza nazionale. L’amicizia con l’America, tuttavia, ebbe alti e bassi e subì nel tempo qualche erosione. Fu la forte carica terzomondista, più che l’indipendentismo, a spingere talvolta Craxi su posizioni critiche verso questa o quella scelta occidentale. Il caso Palestina è il più evidente.

 

Fedeltà del PSI alle idee politiche della socialdemocrazia

 

D) Innanzi al “New Deal” della politica estera italiana degli Anni Ottanta – che mostrò un attivismo inconsueto per la tradizione italiana in campo internazionale - e in relazione alle nuove responsabilità di governo, il PSI rimase pienamente fedele ai tradizionali principi ispiratori oppure si può individuare una revisione delle priorità?

 

R)  In casa PSI, l’occidentalismo non ha mai messo in forse alcuni indirizzi cruciali di politica internazionale che sono patrimonio di ogni buon partito popolare socialista. Ad esempio: l’aiuto del PSI ai movimenti di liberazione (dovunque esistenti) e ai perseguitati dai regimi tirannici (senza distinzione di colore) è sempre stato netto e alto.

   

Continuità e differenze fra il 1° e il 2° governo Craxi

 

D) Per quanto riguarda la politica mediorientale dei governi Craxi, secondo Lei c’è continuità o ci sono state significative differenze nel modo di procedere fra le due esperienze di governo? In altre parole, fra il 1983 e il 1987, si può parlare di evoluzione o di perfezionamento degli indirizzi e degli obiettivi di politica estera?

 

 R) Fra i primi governi del “New Deal” (1980-1983) e i successivi governi Craxi le differenze ci sono e si vedono. Poi, dal 1983 e il 1987, qua e là qualche ulteriore discontinuità c’è stata ma è stata figlia di umori e di stati d’animo, piuttosto che di ragionate scelte operative. Prendiamo ad esempio gli euromissili, il Medio Oriente e la Libia. Dopo la scelta del riarmo nucleare (1979) l'attuazione di quella scelta non è sempre risultata lineare. C'è stata più volte, da parte del governo a presidenza socialista, la sottolineatura che delle due decisioni del 1979 (riarmo e negoziato) andava privilegiata l’opzione della trattativa. Ciò fece rumore fra gli alleati. Qualcuno si chiese infatti se il governo di Roma aveva una concezione “atmosferica” delle relazioni internazionali. In Medio Oriente il favore verso Arafat crebbe col tempo. Nel contenzioso USA-.Libia non mancò da parte dell’Italia un occhio di riguardo per Tripoli. Da tutto questo si sprigionò qualche ombra ( o veleno ) nei rapporti con Washington e alla fine credo che Sigonella sia stata interpretata   oltre-Atlantico come  la riprova conclusiva che nel governo di Roma non c’era sempre la necessaria fermezza. Sigonella ha fatto guasti duraturi.

 

Che cosa è rimasto del “New Deal”

D)  Negli Anni Ottanta l’Italia si impegnò per la prima volta nel perseguimento di una politica autonoma di intervento nel bacino mediterraneo, in Medio Oriente e in Africa. L’azione internazionale svolta dall’Italia era orientata a definire con maggiore precisione i campi e gli obiettivi di una politica stera nazionale, che non fosse appiattita ed anzi superasse il presupposto della subalternità verso gli Stati Uniti. Alla fine del secondo governo Craxi, l’Italia parlava di una politica integrativa della NATO. Perché, dopo di voi, non è stata colta e perseguita questa eredità? Era forse prettamente ed unicamente socialista?  

 

R)  Al termine degli Anni Ottanta è cambiato lo scenario mondiale con la fine della Guerra Fredda e la caduta dell’URSS. In politica estera i socialisti hanno avuto ancora un po’ di voce in capitolo con De Michelis, Amato, Andò e Fabbri, ma i temi all’ordine del giorno dei governi non erano più quelli del decennio precedente. Ora l’attenzione si concentrava su altri scacchieri e su nuove questioni: Balcani, Paesi dell’Est, Golfo Persico, integrazione politica dell’Europa comunitaria, nuovo ruolo della NATO senza più nemici, iniziative collegiali della alleanza occidentale come unica potenza mondiale. E’ così accaduto che lo spazio entro il quale, durante la Guerra Fredda, era stato progettato l’attivismo italiano, dopo il crollo del Muro di Berlino ha perduto buona parte della sua rilevanza. Va tuttavia detto che anche nel nuovo contesto internazionale l’Italia, se avesse voluto, avrebbe potuto assumere iniziative proprie secondo lo spirito “interventista” del decennio precedente. Ma non mi pare che lo abbia fatto.

    

I limiti del “New Deal” e la politica verso la Libia

 

D) L’Italia dei governi Craxi ricercò la distensione nel Mediterraneo, prima attraverso una maggiore presenza militare nell’area, anche in funzione di rilanciare il suo ruolo internazionale, poi attraverso la ricerca di canali di dialogo politico. La sua azione tuttavia si scontrò con le esigenze dell’alleato maggiore. Secondo Lei, quali erano i limiti più grandi del processo iniziato? Che opinione si era fatto dei rapporti con la Libia, esisteva una strategia per migliorare quei rapporti?

 

R)  Il limite più grande sta nel fatto che quel processo iniziato dai socialisti non è stato proseguito da nessuno quando i socialisti sono usciti dalle luci della ribalta. Quanto alla Libia i socialisti volevano instaurare veri e durevoli rapporti di amicizia politica con Tripoli, oltre ai consueti traffici commerciali. Ma il colonnello Gheddafi negli Anni Ottanta era imprevedibile e inaffidabile. Spesso faceva cadere le braccia e talvolta era irritante. Craxi avrebbe voluto essere il premier italiano che inaugurava un’epoca di “pace calda” con la Libia, ma la dirigenza libica in quel tempo non era pronta e si occupava d’altro. Craxi ebbe uno scoppio d’ira quando Tripoli – oltre a dar fastidio alla Tunisia e a minarne la stabilità – prese a stuzzicare militarmente Il Cairo organizzando addirittura una specie di invasione dell’Egitto. Era una sceneggiata ma Craxi si indignò. “Ora Mubarak –mi disse – deve  prendere la palla al balzo e tirargli il collo a questo Gheddafi!”

   

“New Deal” e ruolo dell’Europa. Euroscetticismo e guerra delle Falkland

 

D) Secondo Lei, on. Lagorio, il ruolo dell’Europa poteva essere la via per creare una politica estera autonoma dagli Stati Uniti. Esisteva nel governo Craxi la percezione che l’Europa potesse svolgere un ruolo autonomo, non conflittuale, in politica internazionale, e soprattutto nella politica mediorientale?

 

 R)  Negli Anni Ottanta la definizione di “euroscetticismo” non era stata ancora coniata, ma se potessimo utilizzarla anche per quel periodo si potrebbe dire che il governo italiano a presidenza socialista era un po' euroscettico. Spadolini non lo era, certamente, ma il premier e vari altri.... E tuttavia il vertice europeo di Milano (1985), presieduto dagli italiani, va ricordato perché fece una scelta che nel suo nocciolo anticipava molti temi di euforia europeista di oggi. A Milano si stabilì infatti, per la prima volta, che si poteva decidere a maggioranza, addirittura senza (o contro) la Gran Bretagna. Non credo che la signora Thatcher ci sia rimasta riconoscente. In precedenza, del resto, c’era stato l’episodio delle Falkland che Londra non ha mai mandato giù. Il leader socialista, in quella occasione, infischiandosi del fatto che a Buenos Aires c’era una fosca tirannide, aveva sentenziato che in fin dei conti gli argentini a rivendicare le loro Malvinas non avevano tutti i torti.

 

Firenze, 25 giugno 2004

 



 

 

 

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