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N. 3 - Agosto 2005

LA TOMBA FRANÇOIS. UNA GUIDA, IV

I pannelli con affreschi a soggetto mitico

di Antonio Montesanti

 

ANFÌARAO (AMPHARE) E SISIFO (SISPHE)

 

Entrando nella tomba, s’inizierà la visione dalla raffigurazione sulla parete d’ingresso a destra, dove si trova un pannello, ormai in gran parte irriconoscibile, che rappresenta Anfiarao e Sisifo.

 

Anfiarao, poeta ed indovino, identificato dall’iscrizione etrusca AMPHARE, nel dipinto è rappresentato in atteggiamento pensieroso, con la gamba destra posta in alto su una roccia e la mano destra che sostiene il mento , faceva parte degli Argonauti In un secondo momento, fu costretto dalla moglie Erifile a partecipare alla guerra, nella saga dei sette contro Tebe e, pura sapendo che la sorte dei combattenti argivi era a loro ostile. Cercò di scampare alla morte e nel tentativo di darsi alla fuga dall’assedio con il suo carro della città, viene inghiottito presso Oropo da una voragine aperta nella terra da un fulmine scagliato da Zeus (Pind., Nem. IX 24 ss.; Pind., Od. Ol. VI 13 ss.). A Tebe vi era un oracolo detto Amphiareion, presso il quale si svolgevano dei giochi a cadenza annuale. Il mito era ben noto in Etruria, portato da vasi attici a figure nere e inciso su specchi in bronzo di fattura locale.

 

Anfiarao osserva Sisifo, che aveva tentato di violentare la madre degli Dei. Condannato a tenere sul lato sinistro della schiena, con le braccia un enorme sasso, di forma sferica e di color grigio. Sopra il sasso, appesantendolo con entrambe le mani, si trova  una figura femminile, le cui ali interrompono il fregio animalistico, che si sarebbe esteso oltre la zona di pertinenza del pannello. Questa può trovare confronto con il demone femminile etrusco Vanth, chiaramente però connotata dall’iscrizione etrusca: la Vendetta. La scena è la più classica della vendetta e della crudeltà divina, già ricordata da Omero nell’Odissea. Sisifo, dopo aver portato, lascia la pietra in cima ad una salita ripida sul bordo e questo da solo  ricade sempre a valle, in eterno (Od. 11,592-600).

 

Sisifo ed Anfiarao vengono affiancati, in quanto l’uno rappresenta l’opposto dell’altro. Il primo è infatti un empio, che sconta per l’eternità negli Inferi la giusta pena infertagli, il secondo è un eroe, in onore del quale furono istituiti molti culti, il principale ad Oropo, in Beozia e nel Peloponneso, dopo che da innocente era finito negli Inferi.

 

AIACE (AIVAS) E CASSANDRA (CAŠNTRA)

 

Sul lato a sinistra della porta d’ingresso e connotato dall’iscrizione AIVAS opposto è invece Aiace Oileo, a capo dei Locresi nella guerra di Troia era considerato "il più veloce dei Greci" dopo Achille nell’assedio di Ilio (II. XII, 355 s.) ed al momento della contesa del corpo di Patroclo (II. XVI 256). Considerato tra i peggiori peccatori è paragonato specularmene a Sisifo per aver violentato Cassandra, sacerdotessa di Apollo, subisce in vita l’odio di Atena con una serie di sventure che lo perseguiteranno fino alla fine dei suoi giorni.

 

Di fronte a se Cassandra (CASNTRA), che come Anfiarao è vittima il fato, per aver subito e respinto la passione di Apollo che prima le concesse il dono della profezia e poi la punì facendo in modo che non venise mai creduta, per non essersi concessa.

La scena è composta nell’attimo prima in cui avvenga la violenza: Aiace con la mano sinistra protesa in avanti afferra Cassandra per i capelli bruni, corti e scompigliati, la trae a sé, mentre con la destra sguaina la spada dallo splendido fodero, minacciando la fanciulla che tiene stretto il sacro Palladion a cui è avvinghiato il braccio sinistro, per cercare protezione. Il braccio destro spinge sul bacino dell’aggressore cercando allontanarne l’oggetto della violenza. La scena rappresenta la minaccia a cedere sotto le armi della sacerdotessa che recando in mano la statuetta di Atena, – che si dice abbia chiuso gli occhi per non assistere allo scempio – la invoca, nel momento in cui sta per essere violentata da Aiace Oileo. La punizione dell’eroe inferta dalla dea è narrata dalla stessa Cassandra nell’Alexandra (vv. 349/373), poema ellenistico di Licofrone nel 197/196 a.C. La sacerdotessa narra con toni veementi, quasi assaporandone il gusto della vendetta, le peregrinazioni, le torture e le ignominie subite dal locrese.

 

La resa grafica è ottenuta con agili e veloci pennellate a cui si accompagnano ombreggiature studiate per un contorno plastico dell’asimmetria corporea in tensione.

 

Questo particolare ottenimento pittorico è in realtà una innovazione artistica dell’epoca. L’uso del chiaroscuro, la resa plastica ed una movimentazione nuova dei corpi, viene attribuita da Plinio (N.h., XXXV,130) al pittore ateniese Nicia che inventò il gioco di ombre e luci e soprattutto l’uso dei riflessi tanto da "… dipingere con particolare cura le donne. Faceva attenzione a luce ed ombre e provvedeva con raffinatezza a renderne plasticamente le immagini”. L’artista raggiunse l’apice artistico nelle Olimpiadi del 329/5 a.C., vivendo fino ai tempi di Tolemeo I (306-280 a.C.). Per questo motivo l’attribuzione a questo periodo della Tomba è resa certa dalle sue pitture parietali collocata cronologicamente tra il 320 ed il 310 a.C. Il corpo della sacerdotessa è dato da un profilo più scuro e rinforzato da una pennellata bruna, mentre il contorno da una più ampia e di colore ocra rosso mentre l’interno, ossia la pelle è via via più chiara. Anche se, a detta di alcuni, “le proporzioni non risultano particolarmente riuscite, essendo la parte superiore del corpo troppo larga di quella inferiore”, la scena, oltre a destare un estremo senso di realismo, determina una scomposizione planimetrica in cui il bacino è allontanato appositamente dall’aggressore, attratto evidentemente dalle movenze sinuose ed estremamente erotiche della fanciulla, dall’ampio ventre e dalle due cosce serrate.

 

La straordinarietà di questa icona s’evince anche dalla possibilità coloristica sul corpo maschile, evidentemente abbronzato, al contrario di quello femminile, e che per questo motivo deve essere “necessariamente” reso con sfumature più convincenti: una certa rotondità dei muscoli maggiori, come nelle cosce ed una definizione muscolare notevolmente accurata in quelli minori, come nell’addome e nelle braccia. Questo pittore è stato considerato un tardo contemporaneo di Nicia di Atene e per questo motivo le sue pitture vengono considerate di inestimabile valore artistico, poiché uniche.

Cassandra ed Anfiarao hanno in comune il dono della preveggenza, mentre Sisifo ed Aiace Oileo quello di aver peccato di superbia contro gli dei e per questo vennero puniti con la morte e con la vendetta divina.

 

FENICE (PHOINIS) E NESTORE (NESTUR)

 

 

Sul lato breve sinistro dell’ambiente orizzontale, ai lati della porta, si trovano le immagini ben conservate degli eroi greci Fenice (PHOINIS) e Nestore (NESTUR). Della prima immagine ci è giunto solo il busto, mentre la seconda è integra. Nestore è il più anziano tra i capi greci che rappresenta l’apice della saggezza e della moderazione. Nell’Iliade egli svolge il più importante ruolo, in occasione della vana ambasceria presso Achille.

 

Nestore, con il braccio destro in avanti, impugna con la mano un bastone che poggia a terra, è vestito con un chitone a maniche corte bianco con una banda porpora, coperto a sua volta da un himation purpureo bordato a spirali bianche è tenuto su una spalla, coprendo un braccio, mentre l’altro angolo del tessuto ricade pesantemente sulle gambe, il piede destro è in fase avanzante mentre il sinistro è rappresentato frontalmente. La testa barbata, dalla splendida resa, presenta una bicromia tra barba e capelli, grigia la prima ad indicare la saggezza e biondo rossicci i secondi o connotarne lo spirito guerriero.

 

Lo sguardo è perso nel vuoto e la bocca semiaperta. La figura benché venga tentato “un arrotondamento” dei volumi nelle parti cilindriche del braccio e del collo, appare piatta ed impostata frontalmente. Più precisa anche se non di ottima fattura invece le pieghe del vestiario in particolare il mantello porpora. La rappresentazione sembra derivare direttamente da modelli vascolari greci di maestri, filosofi o precettori. Alle sue spalle è rappresentata una palma con sei grandi foglie ed un ciuffo ampio ad “ombrello” rappresentata come simbolo di pace e saggezza, non propriamente realistica ma vicina al vero.

 

Alla sinistra della porta, la figura speculare di Fenice, insegnante e araldo che accompagna Achille a Troia (Il. IX, 168 ss.) è a petto nudo; appare più giovane di Nestore, portando un mantello anch’esso porpora, con la mano sinistra avvolta nello stesso e la destra appoggiata sul fianco e con una sola spalla coperta, la figura molto lacunosa dalla cintola in giù, è completata dalle locali calzature a punta. La testa barbata rivolge lo sguardo a Nestore in segno d’attesa quasi ascoltando le parole di Nestore; anche alle sue spalle s’intravede una palma.

 

ETEOCLE E POLINICE (EVZICLE E ...NICE)

 

Di fronte al pannello di Aiace e Cassandra, nell’ala sinistra dell’ambiente orizzontale quasi frontalmente all’ingresso, si trova un pannello con la rappresentazione dei fratelli Eteocle e Polinice (EUZICLE - …NICE) che, nudi, si uccidono vicendevolmente. I fratelli tebani erano figli di Edipo, dopo essere stati maledetti dal padre ed essersi spartiti il potere si trovano uno contro l’altro per una mancanza della parola data, finendo per uccidersi a vicenda. Questa saga era già narrata in antichi poemi e ripresa nell’ultima rappresentazione della trilogia tragica di Eschilo, "I Sette contro Tebe" (vv. 692-875), messa in scena ad Atene, in onore delle Panatenee nel 467 a.C.

 

Eteocle è rappresentato con la gamba sinistra avanzata e sottomette l’avversario in modo da avere le gambe del fratello, andate perdute, tra le sue, in questo modo è reso più realistico il gesto in cui viene infilzato il corpo di Polinice.

Polinice, proveniente da Argo, da cui era venuto per riprendersi il trono che gli spettava per un anno secondo i patti, è a terra in posizione seduta e trafigge dal basso verso l’alto nel petto il fratello, che invece tenendo l’altro per i capelli gli trapassa la giugulare entrando poi nella clavicola fuoriuscendo dal pettorale basso.

I corpi sono affusolati, le fasce muscolari ben conosciute – come nel caso della spalla sinistra di Eteocle – ed appena accennate, non appaiono gonfi, questo fatto insieme al fatto che sembrino privi di barba, potrebbe voler indicare la loro giovane età.

 

Le stesse spade sono piantate in posizione inversa, che indica il contrasto, ma ambedue mirano e trapassano il cuore; l’artista raffigura gli schizzi di sangue che ne fuoriescono, come se ne sottolineasse l’importanza, dall’organo vitale.

 

Le foto sono tratte dal libro "La Tomba François di Vulci" a cura di Francesco Buranelli, Edizioni Quasar 1987 e dai siti www.canino.info e http://spazioinwind.libero.it/popoli_antichi

Vedi anche: LA TOMBA FRANÇOIS. UNA GUIDA, III - L’affresco del ciclo animalistico



 

 

 

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