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N. 109 - Gennaio 2017 (CXXXX)

ZYGMUNT BAUMAN E “GLI STRANIERI ALLE PORTE”
I migranti e la società liquida

di Giovanna D’Arbitrio

 

Lo scorso 7 gennaio 2017 si è spento a Leeds, nel Regno Unito, l'illustre sociologo Zygmunt Bauman, considerato tra gli intellettuali più aperti al dialogo e al confronto umano e culturale nell’epoca postmoderna. Nato nel 1925 a Poznan, in Polonia, ne fuggì durante l'invasione nazista in quanto di origini ebraiche. Al termine la guerra tornò quindi nel proprio Paese laureandosi in sociologia a Varsavia. Studioso di Gramsci e del sociologo Georg Simmel, divenne presto marxista ortodosso e per questo gli fu tolta la cattedra all'università (1968). Insegnò quindi alle università di Tel Aviv e di Leeds.

 

In Inghilterra e poi nel mondo intero Bauman è divenuto celebre per le sue teorie sulla società postmoderna da lui definita "società liquida" per il suo particolare tessuto sociale e politico, divenuto sfuggente e inafferrabile a causa della globalizzazione, del consumismo e del crollo delle ideologie, con consequenziali omologazioni collettive, frustrazioni, incertezze e precarietà.

Da ricordare in particolare la "solitudine del cittadino globale”, da lui sottolineata. Secondo Bauman l’indebolimento della sovranità nazionale degli Stati, ha incrementato il crollo di ideologie e partiti politici, disorientando il singolo nel non sentirsi più parte di una comunità un tempo capace di interpretare i suoi bisogni: ciò ha favorito individualismo sfrenato, caduta di valori, competizione, diffidenza verso gli altri.

 

Un particolare interesse è stato evidenziato da Bauman verso le massicce ondate migratorie che si sono riversate in occidente dopo le primavere arabe e la guerra civile in Siria: sempre in prima linea a favore dell'accoglienza dei profughi e dei migranti scappati da orrori e devastazioni, egli si è costantemente opposto a razzismo, muri, divisioni e soprattutto al distruttivo demone della paura. Significativo su tali temi il suo libro Stranieri alle porte (Laterza).

 

Interessanti pertanto le idee da lui espresse nel suddetto libro: "Questi migranti, non per scelta ma per atroce destino, ci ricordano quanto vulnerabili siano le nostre vite e il nostro benessere. Purtroppo è nell'istinto umano addossare la colpa alle vittime delle sventure del mondo. E così, anche se siamo assolutamente impotenti a imbrigliare queste estreme dinamiche della globalizzazione, ci riduciamo a scaricare la nostra rabbia su quelli che arrivano, per alleviare la nostra umiliante incapacità di resistere alla precarietà della nostra società. E nel frattempo alcuni politici o aspiranti tali, il cui unico pensiero sono i voti che prenderanno alle prossime elezioni, continuano a speculare su queste ansie collettive, nonostante sappiano benissimo che non potranno mai mantenere le loro promesse. Ma una cosa è certa: costruire muri al posto di ponti e chiudersi in 'stanze insonorizzate' non porterà ad altro che a una terra desolata, di separazione reciproca, che aggraverà soltanto i problemi".

 

Secondo Bauman è dall’inizio della modernità che arrivano profughi in fuga da guerre, dispotismi, violenze e fame. Considerati stranieri difficili da integrare, oggi più che mai sono rifiutati per via del loro numero crescente, che ha generato un vero attacco di isteria collettiva pronta ad additarli come una minaccia per il benessere della società. Il filosofo polacco pertanto afferma: "Quei nomadi (non per scelta, ma per il verdetto di un destino inclemente) ci ricordano in modo irritante, esasperante e raccapricciante quanto vulnerabile sia la nostra posizione nella società e fragile il nostro benessere. Dovremmo soffermarci e intendere le parole di papa Francesco: «Cancelliamo ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, e chiediamoci: chi ha pianto? Chi ha pianto oggi nel mondo?». Le migrazioni di massa non sono certo un fenomeno recente per l’Europa. Quello che è nuovo è invece l’enorme aumento del numero di rifugiati e richiedenti asilo che bussano alle nostre porte, effetto collaterale e indesiderato dei disastrosi interventi militari condotti dalle potenze occidentali in Afghanistan e in Iraq. La violenza inaudita dei nuovi teatri di guerra ha infatti spinto decine di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case e i propri averi, aggiungendosi al flusso dei cosiddetti migranti economici, che continuano a muoversi perché spinti dal desiderio di vite migliori. Non c’è da meravigliarsi che queste masse in movimento siano viste da chi vive in Europa come “messaggeri di cattive notizie”, per citare Bertolt Brecht. È facile attribuire a cause esterne il crollo delle certezze e delle stabilità che caratterizza il nostro tempo, mentre è difficile per i politici resistere alla tentazione di far cassa elettorale sulle ansie e sulle paure determinate dal flusso inarrestabile di stranieri. C’è bisogno di inaugurare una nuova stagione, costruire ponti invece di muri. Perché costruire muri porta a un drammatico peggioramento della situazione e la distanza crescente tra persone e comunità alimenta pericolosamente la violenza. La sfida che ci attende negli anni a venire è quella di superare le distanze e le diffidenze. Solo il dialogo, la fusione degli orizzonti potrà evitare il disastro”.

 

In effetti non siamo un solo pianeta, una sola Umanità? L’unica via percorribile dunque è quella della convivenza pacifica, basata su collaborazione e solidarietà. Non ci sono alternative praticabili per il mantenimento della pace e, oseremmo dire, per la difesa della vita sulla Terra.



 

 

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