N. 11 - Novembre 2008
(XLII)
Zwingli e Lutero
Due Riformatori
divisi dal
significato
dell’eucaristia
di Carlo Siracusa
La teologia sacramentale
rappresentava, agli occhi dei Riformatori, quel che di
male c’era nella teologia medievale. Riconoscevano il
bisogno di giungere a una versione più antica e più
semplice della teologia cristiana. Per loro la teologia
sacramentale si presentava come una pianta che
necessitava di una potatura radicale. Venne lanciato,
così, un attacco contro la concezione medievale del
numero, della natura e della funzione dei sacramenti,
riducendoli da sette a due: il battesimo e l’eucaristia.
Per ciò che concerneva la teologia dell’eucaristia, si
aprì un grave contrasto tra Lutero e Zwingli, i leaders
delle due ali della Riforma classica, i quali non
riuscirono a trovare un’intesa sul significato della
presenza di Cristo nell’eucaristia.
Secondo la teoria classica della transustanziazione, il
pane e il vino della messa, dopo la consacrazione, pur
mantenendo la loro apparenza esterna, sono trasformati
rispettivamente nella ‘sostanza’ del corpo e del sangue
di Cristo. Ma i Riformatori non erano dello stesso
pensiero, in quanto la messa sarebbe divenuta una sorta
di ‘ripetizione’ continua del sacrificio di Cristo.
La Riforma, invece, dava risalto al tema
dell’adattamento divino alla debolezza umana, un’idea
che si rifà a Calvino, il quale faceva questo
ragionamento: tutti i buoni oratori conoscono i limiti
intellettuali del loro uditorio e adattano il loro modo
di esprimersi e modificano il proprio linguaggio, per
venire incontro alle necessità del loro uditorio
evitando parole e concetti difficili, e sostituendoli
con locuzioni più adeguate. Ebbene, Dio fa lo stesso: si
adatta alle nostre limitazioni, scende al nostro livello
usando un linguaggio di immagini vigorose che gli
permettono di rivelarsi a una grande varietà di persone.
Il fatto che Dio usi dei mezzi molto umili per
rivelarsi, non implica alcuna debolezza o carenza da
parte sua; piuttosto, la necessità di adottare mezzi
espressivi, rispecchia la nostra debolezza e le nostre
limitazioni, che Dio riconosce e di cui tiene conto.
Egli usa svariati modi per creare e sostenere la fede:
parole, concetti, analogie, modelli, segni e simboli. Il
pane e il vino, vanno intesi come un elemento importante
in questo arsenale di risorse. Dio ha così aggiunto alla
sua Parola dei segni visibili e tangibili del suo favore
e della sua misericordia. Insomma, una sorta di
adattamento alle nostre limitazioni, al bisogno di avere
dei segni. Il pane e il vino sono, per l’appunto, dei
segni sacramentali che accrescono la nostra fede in Dio,
ci rassicurano sulla realtà della divina promessa di
perdono rendendoci più facile accettarla.
Lutero spiegò il pane e il vino della Santa Cena, usando
l’idea di ‘testamento’, inteso come ‘atto di ultime
volontà’. Ne trattò in modo esauriente nel suo scritto
“La cattività babilonese della chiesa” (1520) in Scritti
politici cit., pp.253-4:
“Si chiama testamento la promessa di chi sta per morire,
promessa con cui definisce la sua eredità ed istituisce
gli eredi. Il testamento comporta pertanto innanzitutto
la morte del testatore, e in secondo luogo la promessa
di un’eredità e la designazione degli eredi […]. Ciò noi
vediamo chiaramente anche nelle parole di Cristo. Egli
testimonia della sua morte quando dice: ‘Questo è il mio
corpo che sarà dato, questo il mio sangue che sarà
versato’; nomina e precisa l’eredità quando dice: ‘in
remissione dei peccati’; istituisce poi gli eredi
dicendo: ‘per voi e per molti’, cioè per quelli che
accettano e credono nella promessa del testatore”.
Lutero scagliò un forte attacco contro la concezione
cattolica dei sacramenti, ma Enrico VIII, re
d’Inghilterra, ricevuto dal papa il titolo di Fidei
Defensor (difensore della fede), riaffermò l’esistenza
di sette sacramenti.
Nel corso dell’XI secolo, capitò che, alcuni laici poco
attenti al modo in cui ricevevano il vino, versarono sul
pavimento delle chiese, quello che la teologia della
transustanziazione considerava il vero e proprio sangue
di Cristo. Onde evitare un incidente così forte, nel
corso del XIII secolo, i laici vennero esclusi dal
ricevere il vino. Per Lutero, il rifiuto di offrire il
calice ai laici era un peccato. Così, l’offerta del
calice divenne un segno distintivo dell’adesione alla
comunità della Riforma. Ma la dottrina della
transustanziazione per Lutero era un’assurdità. Per lui,
ciò che si deve credere è che Cristo è realmente
presente nell’eucaristia.
La teoria della transustanziazione sostiene che il pane
e il vino (ossia il loro aspetto esteriore) rimangono
invariati, mentre cambia la ‘sostanza’ invisibile: cessa
di essere quella del pane e del vino per diventare
quella del corpo e del sangue di Gesù Cristo. Lutero
rifiutò come assurda questa pseudo-filosofia e chiese
che l’uso di tali idee aristoteliche venisse
abbandonato. Non c’era posto per tali idee nella
teologia cristiana! Lutero non contestava la ‘presenza
reale’, ma soltanto quel determinato modo di spiegare
tale presenza. Affermava che, se si fosse potuto
dimostrare che tale idea era anti-biblica, sarebbe stato
il primo ad abbandonarla. Perchè secondo lui, Matteo
26:26 “Questo è il mio corpo”, era perfettamente chiaro
nel suo senso letterale e non ammetteva alcun’altra
spiegazione.
Andrea Carlostadio, che era stato suo collega ed amico,
aveva un’opinione diversa: secondo lui, nel dire quelle
parole, Cristo indicava se stesso. Non fu difficile per
Lutero liquidare tale idea come un’errata
interpretazione del testo. Ma gli fu molto più difficile
confutare l’affermazione di Zwingli secondo cui la
parola “è” era una semplice figura retorica per dire
“significa”, o “rappresenta”, e non andava quindi intesa
letteralmente. La si doveva accostare ai casi in cui
Gesù disse: “Io sono la porta”, o “Io sono la via”, come
vedremo anche più avanti.
Zwingli era cappellano delle milizie della
Confederazione svizzera. Ispirandosi all’uso militare
del giuramento, Zwingli spiegò che il “sacramento” è
sostanzialmente una dichiarazione di fedeltà che un
individuo fa a una comunità. Come il soldato giura
fedeltà al suo esercito, così il cristiano giura fedeltà
ai suoi correligionari cristiani. Per Zwingli il
sacramento è il mezzo con cui una persona dimostra alla
chiesa di voler essere, o di essere ormai, un soldato di
Cristo.
Mentre la predicazione della Parola di Dio è l’elemento
fondamentale, i sacramenti sono come il sigillo su una
lettera: si limitano a confermarne il contenuto.
Il cristiano commemora l’evento storico che diede
origine alla chiesa cristiana (ossia la morte di Gesù
Cristo) come segno del suo impegno verso la chiesa.
L’eucaristia è dunque un memoriale dell’evento storico
che ha determinato il sorgere della chiesa cristiana e
una pubblica dimostrazione della fedeltà del credente
alla chiesa e ai suoi membri.
Zwingli spiegò l’espressione di Gesù: “Questo è il mio
corpo” (Matteo 26:26), dicendo che queste parole furono
pronunciate da Cristo per indicare in che modo voleva
essere ricordato dalla sua chiesa. E’ come se Cristo
avesse detto: “Vi affido un simbolo di questa mia
rinuncia che è il mio testamento, per ravvivare in voi
il ricordo di me, di modo che, quando vedrete questo
pane e questo calice offerti pubblicamente in questa
cena commemorativa, vi ricorderete di come sono stato
dato per voi, come se allora mi vedeste davanti a voi
come mi vedete ora, mentre mangio con voi”.
Per Zwingli, l’eucaristia era “un memoriale delle
sofferenze di Cristo, non un sacrificio”, e le parole:
“Questo è il mio corpo”, non si possono prendere alla
lettera, eliminando così il concetto di una ‘presenza
reale di Cristo’, teologia sostenuta invece da Lutero.
Come un uomo che parte per un lungo viaggio lontano da
casa può dare a sua moglie il proprio anello perché essa
lo ricordi fino al suo ritorno, così Cristo lascia alla
sua chiesa un segno affinché essa lo ricordi fino al
giorno in cui egli ritornerà in gloria. Questo era per
Zwingli il significato che assumevano il pane e il vino
usati da Gesù nell’ultima Cena.
Vediamo di seguito, quali sviluppi portarono Zwingli a
questa conclusione, in antitesi col pensiero di Lutero.
Nel 1509, una piccola Biblioteca dei Paesi Bassi,
richiese un inventario. Il lavoro fu affidato a un certo
Cornelius Hoen, il quale scoprì che la Biblioteca
conteneva un’importante collezione degli scritti
dell’umanista Wessel Gansfort (1420-89). Gansfort, pur
non negando la dottrina della transustanziazione,
sviluppava l’idea di una comunione spirituale tra Cristo
e il credente.
Hoen, attirato da quest’idea, la rielaborò come critica
radicale alla dottrina della transustanziazione, e la
redasse sotto forma di lettera.
In questa lettera Hoen sostiene che la parola est non
dev’essere interpretata letteralmente, come se
significasse “è”, o “è identico a”, bensì come
significat, “significa”, “indica”. Per esempio, quando
Cristo dice: “Io sono il pane della vita” (Gv 6:48)
evidentemente non s’identifica con una pagnotta, e
neppure con il pane in generale. Qui la parola “è” va
intesa in senso metaforico, non letterale. I profeti
dell’AT hanno certamente detto che Cristo sarebbe
“divenuto carne (incarnatus)”, ma ciò doveva avvenire
una volta, e una volta sola. “In nessun momento i
profeti annunziarono, o gli apostoli predicarono, che
Cristo sarebbe, per così dire, ‘divenuto pane (impanatus)’
tutti i giorni mediante l’intervento di un qualsiasi
prete che offrisse il sacrificio della messa”.
Hoen espresse l’idea che l’eucaristia sia come un anello
che un giovane dà a una ragazza per rassicurarla sul
proprio amore per lei. E’ un pegno d’amore: un’idea che
si ritrova in tutti gli scritti di Zwingli su tale
argomento. Gesù aggiunse alla promessa un pegno, nel
caso vi fosse da parte loro una qualsiasi incertezza:
come un giovane, nell’intento di rassicurare la sua
donna, le dà un anello dicendo: “prendilo, sono io
stesso che mi do a te”. E lei, nell’accettare l’anello,
ha la certezza che lui le appartiene e distoglie il suo
cuore da ogni altro pretendente e per compiacere il suo
uomo si volge a lui e a lui soltanto.
L’altra idea sviluppata da Hoen è quella della
commemorazione di Cristo in sua assenza. Hoen osserva
che le parole: “questo è il mio corpo” sono
immediatamente seguite dalle altre: “fate questo in
memoria di me”, quindi suggerisce esplicitamente la
commemorazione di una persona che è assente fisicamente.
Nell’estate del 1525 il dotto Ecolampadio, Riformatore
di Basilea, pubblicò un libro in cui sosteneva che gli
scrittori del periodo patristico non sapevano nulla
della transustanziazione, né delle idee di Lutero sulla
presenza reale, ma tendevano verso una posizione che
veniva sempre più accostata al nome di Zwingli.
Zwingli sosteneva che la Scrittura usa diversi tipi di
linguaggio, perciò la parola “è” significa talvolta: “è
assolutamente identico a”, ma altre volte vuol dire:
“rappresenta” o “significa”.
Nel suo trattato Sulla Cena del Signore (1526) egli
scrisse: “In tutta la Bibbia troviamo delle figure
retoriche, chiamate in greco tropos, ossia un parlare
metaforico, che va inteso in un senso diverso. Per
esempio in Giov.15 Cristo dice: “Io sono la vite”. Ciò
significa che Cristo è come una pianta di vite nei
confronti di noi che siamo sostenuti e cresciamo in lui
come i tralci crescono dal ceppo […]. Allo stesso modo,
in Giov.1, leggiamo: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie
il peccato del mondo”. La prima parte del versetto è un
tropo, poiché Gesù non è un agnello in senso letterale”.
Zwingli conclude dicendo che, ci sono “innumerevoli
passi della Scrittura in cui “è” vuol dire “significa”.
Il problema da affrontare è dunque di sapere se in quel
contesto la parola “è” non può essere intesa in senso
letterale. Deve essere compresa in senso figurativo o
metaforico. Nelle parole: “questo è il mio corpo”, il
termine “questo” indica il pane, e il termine “corpo”
indica il corpo che è stato messo a morte per noi.
Perciò la parola “è” non può venir presa in senso
letterale, perché il pane non è il corpo”.
Ecolampadio sostenne che, “trattando di segni,
sacramenti, immagini, parabole e interpretazioni,
occorrerebbe intendere le parole in senso figurato e non
in senso letterale”.
L’essenziale per Zwingli è il rapporto tra il segno e la
cosa significata. Egli si serve di questa distinzione
per sostenere che è inconcepibile che il pane potesse
essere il corpo di Cristo.
“Il sacramento è il segno di qualcosa di santo. Quando
dico: ‘Il sacramento del corpo del Signore’ mi riferisco
semplicemente al pane che è simbolo del corpo di Cristo,
che fu messo a morte a nostro favore[…]. Ma il vero
corpo di Cristo è quello che è seduto alla destra di
Dio, e il sacramento del suo corpo è il pane e il
sacramento del suo sangue è il vino, cui partecipiamo
con rendimento di grazie. Ma il segno e la cosa
significata non possono essere identici. Perciò il
sacramento del corpo di Cristo non può essere il corpo
stesso”. (ZWINGLI, Eine klare Unterrichtung vom Nachtmal
Christi (1526), in Z, vol.91 (Lipsia, Heinsius, 1927),
pp.796-800)
Per Lutero, Cristo è presente nell’eucaristia. Chiunque
riceve il pane e il vino riceve Cristo. Ma Zwingli
faceva notare che le confessioni di fede (i credi) e la
Scrittura dicono che Cristo è attualmente “seduto alla
destra di Dio”. Ciò implica che Cristo non è presente
corporalmente nell’eucaristia. Non può trovarsi in due
luoghi nello stesso tempo. Lutero sostiene invece che
“la destra di Dio” è un’espressione metaforica che non
va presa alla lettera.
L’idea di nutrirsi di Cristo, è un’immagine
tradizionalmente collegata alla dottrina della
transustanziazione. Se il pane è il corpo di Cristo, si
può ben dire che mangiandolo il credente si nutre di
Cristo. Zwingli insiste nell’affermare che tale immagine
biblica va intesa in senso figurato come allusione alla
fiducia che si ha in Dio per mezzo di Cristo.
Nella sua ultima opera, la Expositio christianae del
1531, indirizzata a Francesco I, re di Francia, il
concetto è chiarissimo: “Mangiare spiritualmente il
corpo di Cristo significa aver fiducia, con il cuore e
con la mente, nella misericordia e nella bontà di Dio,
per mezzo di Cristo, ossia, avere la costante certezza
di fede che Dio ci concederà il perdono dei peccati e la
gioia della salvezza eterna per merito di suo figlio che
ha dato se stesso per noi… Perciò, quando vi avvicinate
alla Cena del Signore per nutrirvi spiritualmente di
Cristo, voi ringraziate il Signore per questo suo grande
favore, per la redenzione che vi libera dalla
disperazione, e per il pegno che vi dà la certezza della
salvezza eterna”.
Che cosa, dunque, caratterizza il pane della comunione?
Che cosa lo rende diverso da un altro pane qualsiasi? Se
non è il corpo di Cristo, che cos’è? Zwingli risponde
con un’analogia. Pensate all’anello di una regina e
vedetelo in due contesti diversi. Potete immaginare che
l’anello sia posato su un tavolo, e non ha alcun
significato particolare. Ma pensatelo in un altro
contesto, ossia al dito della regina come un dono che le
ha fatto il re. Esso acquista dei connotati personali
che derivano dal suo rapporto con il sovrano, con
l’autorità, potere e maestà. In questo caso il valore
dell’anello trascende di gran lunga il prezzo dell’oro
di cui è fatto. Tutto ciò deriva dal fatto di passare da
un contesto a un altro: ma l’anello in sé non cambia per
nulla.
Zwingli si serve con particolare efficacia di tale
analogia nella sua Expositio Fidei: “L’anello con cui
Vostra Maestà è stato fidanzato alla regina Vostra
consorte non è da lei valutato solo in quanto oggetto
d’oro. E’ d’oro, ma in pari tempo non ha prezzo perché è
il simbolo del suo regale consorte. Per questo motivo
ella lo considera il più importante di tutti i suoi
anelli, e se le capitasse di dover elencare e valutare i
suoi gioielli direbbe: ‘Questo è il mio re, ossia,
questo è l’anello con cui il mio regale sposo si è
fidanzato a me. E’ il segno di un’unione e di una
fedeltà indissolubili’”.
L’anello acquista dunque significato e valore secondo il
contesto: non sono inerenti, ma acquisiti. Così, dice
Zwingli, accade con il pane della comunione. Il pane,
come l’anello, in se stesso non si trasforma, ma il suo
significato cambia enormemente. Tale significato, ossia
ciò che viene associato all’oggetto, può variare senza
che vi sia alcuna modificazione nella natura
dell’oggetto stesso. Zwingli avanza l’idea che, nel caso
del pane e del vino, si realizzi lo stesso processo. Nel
consueto contesto giornaliero sono pane e vino ordinati
e comuni, senza significato particolare. Ma, trasferiti
in un contesto diverso, assumono nuovi e importanti
significati. Quando sono messi al centro di una comunità
riunita per il culto e quando vengono nuovamente narrate
le vicende dell’ultima notte della vita di Cristo, essi
diventano efficacissimi ricordi degli eventi che fondano
la fede cristiana. Il nuovo contesto dà loro questo
significato, ma in se stessi rimangono inalterati.
è vero
che ambedue i Riformatori rifiutarono lo schema
sacramentale medievale. Il Medioevo aveva identificato
sette sacramenti, mentre essi insistevano sul fatto che
due soli sacramenti, il battesimo e l’eucaristia (o
santa Cena), sono riconosciuti nel Nuovo Testamento.
Tuttavia, Lutero e Zwingli non poterono trovarsi
d’accordo sul significato delle parole: “Hoc est corpus
meum”, di Matteo 26:26, ritenute fondamentali
nell’eucaristia. Per Lutero est vuol dire “è”; per
Zwingli vuol dire “significa”. Due maniere molto diverse
d’interpretare la Scrittura.
Riferimenti bibliografici:
ALISTER E. MCGRATH – “Il pensiero della Riforma” –
Claudiana, Torino – 1999 |