N. 31 - Dicembre 2007
ZINGARI
Note varie
di
Arturo Capasso
La musica...
Negli anni passati
andavo spesso in Ungheria. Ogni volta ero attratto,
fra l’altro, dalla musica sempre presente per
strada, nelle piccole osterie, nei grandi
ristoranti. E a casa ho gelosamente conservato i
dischi che compravo sul posto e che poi integravo
coi classici.
Inizio queste mie note
proprio …sulle note della musica di quel popolo, che
ha ispirato fortemente un grande compositore: Franz
Liszt.
Leggo nel saggio
introduttivo al terzo album a lui dedicato nel 1965
dai Fratelli Fabbri Editori: “Le Rapsodie non sono
altro che il tentativo di riprodurre sul pianoforte
le melodie, i ritmi, e più ancora il caratteristico
modo di suonare degli Zingari…
Liszt, prima ancora di
ascoltare sul posto la musica zigana, ne era venuto
a conoscenza attraverso la rielaborazione di molti
musicisti. Haydin, per esempio, si era lasciato più
volte influenzare dalle melodie zingaresche…e
qualcosa di queste melodie traspariva anche da certe
pagine beethoveniane
Ma era soprattutto
Schubert a essere più profondamente ispirato da temi
zigani”
Le forti emozioni
in Liszt...
Ma sentiamo cosa dice
il nostro Franz: “Ho passato delle ore ad ascoltare
le migliori orchestre zigane, che suonano con una
animazione indescrivibile. La musica aveva la furia
degli elementi scatenati, i suoni e i tuoni
precipitavano
come frane fragorose
di pietre e di detriti.
I violinisti e le
danzatrici sembravano parvenze di sogno, i loro
occhi avevano bagliori irreali di carboni ardenti,
le loro mani si protendevano con avido desiderio
verso l’invisibile e l’inafferrabile…verso la
felicità che il cuore dell’uomo presente sempre,
sempre cerca con esasperata frenesia e non trova se
non per dei minuti, per dei secondi.” (La scoperta
della musica popolare, terzo album, op.cit.)
Non sempre questi
apprezzamenti sono stati ben visti dagli storici.
Nel volume Hungarian
etnography and folklore di Ivan Salassa e Gyula
Ortutay, pubblicato in Ungheria nel 1984, a pagina
432 leggo che fin dalla metà del 19° secolo “Liszt
in uno dei suoi lavori definì, erroneamente, la
musica ungherese “musica zigana”. Questo concetto
divenne così radicato – soprattutto all’estero – che
ancora oggi in molti casi la musica popolare
ungherese è uguagliata a quella zigana”
Lo scritto al quale si
fa riferimento apparve nel 1859 col titolo “Des
Bohémiens et leur musique en Hongrie” Nel 1861 fu
pubblicato in tedesco.
Dello stesso parere è
Max Sylvius Handman: “E’ stata ritenuta
insostenibile la tesi di Liszt che tutta la musica
ungherese è musica zigana” (voce Gypsies su
Encyclopaedia of the Social Sciences, vol.7 pag.232).
Le due tesi trovano un
accordo in Béla Bartok, che ha sottolineato i
reciproci influssi fra musica popolare ungherese e
musica di popoli vicini.
… e vennero
dall’India
Per molto tempo
l’origine degli Zingari è stata oggetto di varie
ipotesi. Ora ricerche recenti hanno appurato che i
loro dialetti appartenevano a lingue parlate nel NW
dell’India e nelle regioni dell’Indo Cush nel quinto
secolo d.C
Attraverso la Persia e
l’Armenia giunsero fino all’Europa occidentale.
In passato si riteneva
che fossero di origine egiziana e perciò li
chiamavano gitanos in Spagna e gypsies in
Inghilterra.
In Francia – invece –
si è ritenuta la Boemia come Paese di provenienza e
li hanno chiamati bohémiens.
Da noi abbiamo due
etnie: i rom e, in misura minore, i sinti.
Due scenari presi
dalla civica raccolta di stampe Bertarelli
Due stampe
La prima è una stampa
da un dipinto del 1864 di T.Valerio. Un uomo è
seduto su una panca, indossa un ampio vestito e un
cappello con piume; suona il violoncello e alla sua
destra una ragazza siede su un tappeto sdrucito.
Anche lei ha un abito
molto ampio, che lascia comunque intravvedere il
piede scalzo. Il volto è ovale, lo sguardo dolce è
rivolto altrove.
Alle spalle, un’altra
donna, un uomo, una coppia abbracciata.
La seconda stampa
riprende un loro accampamento. Il paesaggio è
rupestre. Sotto una grotta naturale è stata posta
una capanna .
Tre uomini sono
intenti a forgiare del ferro per utensili
giornalieri. Altri mostrano un cavallo ad eventuali
compratori.
Una donna confeziona
un cesto di vimini.
Il problema...
Quanti zingari abbiamo
incontrato, sulla nostra strada?
Li ho visti
dappertutto. Le più attive sono sempre le donne, che
vogliono predire il futuro. C’è un sistema
matriarcale: il comando della famiglia è della
moglie, che produce più del marito.
Nel canto
carnascialesco La zingara, del poeta slavo Andrea
Cubranovic, pubblicato a Venezia nel 1599, la
protagonista predice il destino a sei signore: La
prima avrà un figlio fortunato, la seconda è tradita
dal marito ed è giusto ricambiarlo, la terza riceve
preziosi consigli sulla tecnica di farsi amare
dagli uomini; la quarta è iniziata alle erbe
magiche, la quinta è addestrata ad incantare gli
uomini, la sesta ha un futuro pieno di felicità.
Già, ma non hanno mai
predetto il proprio futuro?
Fin da quando si sono
insediati in Europa, nel quindicesimo secolo, sono
stati tenuti a bada, cacciati.
Le loro bizzarrie e le
loro abitudini hanno spinto le popolazioni che li
ospitavano ad accusarli di stregoneria,
avvelenamento di pozzi e bestiame, rapimento di
bambini.
L’Encyclopaedia of the
Social Sciences a pagina 231 del volume 7 rileva:
“Non è improbabile che
la loro occupazione come fabbri e lavoratori di
metallo abbia contribuito al timore col quale erano
visti dai popoli indigeni, giacché il fabbro
storicamente è stato visto con timore
superstizioso”.
D’altra parte, Giorgio
Sangiorgio nel suo libro “Agricoltura celeste” a
pagina 112 scrive: “nella società antica il fabbro
assunse sempre più connotati ambigui e temuti, quasi
diabolici, che lo spinsero ai margini della
collettività”.
Nell’ Inghilterra di
Enrico VIII erano esposti al rischio di sequestro
dei propri beni; i funzionari che procedevano a
tale operazione potevano trattenerne la metà,
consegnando al tesoriere del re l’altra metà.
Erano espulsi dal
paese, a meno che non avessero intenzione di
stabilirsi in modo adeguato o mettersi al servizio
di qualche “onesto e capace abitante”.
Purtroppo,le loro
innate capacità verso la musica ( sembra siano stati
loro ad introdurre il violino in Europa) e
l’artigianato spesso sono soffocate da scarso
impegno, mancanza di volontà, un vivere alla
giornata, a discapito degli altri.
Perciò non sono ben
voluti.
Quando poi le
devianze prendono ulteriore sopravvento, devono
alzare i tacchi e cambiare aria.
Sta accadendo, in
misura esponenziale maggiore, quanto riportato a
pagina 1553 (vol. X) del Grande Dizionario
Enciclopedico: “Di frequente, non appena ne abbiano
agio, sono accattoni e soprattutto predoni a danno
dei campagnuoli, accanto alle terre e alle cascine
dei quali stabiliscono i loro accampamenti, composti
il più spesso di semplici tende e di carri coperti,
ovvero, dove le condizioni del terreno lo
consentano, di grotte naturali chiuse e adattate
alla meglio ad uso di abitazione per mezzo di
stuoie, assi e tavolati”.
Auspicio...
Mi rifiuto di credere
che un uomo debba essere trattato con disprezzo,
senza pietà e dignità.
Mi rifiuto di
crederlo. Ma la realtà non lascia molto spazio ai
sentimenti.
E che si dovrebbe
fare?
Loro, gli Zingari,
devono saperlo. Sono loro i padroni del proprio
destino.
Devono interrogarsi e
programmare, senza predire il futuro agli altri. |