[ISSN 1974-028X]

[REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE CIVILE DI ROMA N° 577/2007 DEL 21 DICEMBRE] *

 

189 / SETTEMBRE 2023 (CCXX)


filosofia & religione

Zalmoxis, signore d’immortalità
sul dio dei Geti

di Alessio Guglielmini

 

Le menzioni antiche che danno testimonianza sulla figura di Zalmoxis non sempre aiutano a definirne i contorni e la collocabilità all’interno di un preciso reticolo cultuale e religioso. Erodoto (Storie, paragrafi 93-96 del IV Libro) cita due usanze a proposito di questa divinità dei Geti, popolo di stirpe tracia. La prima riguarda la necessità di individuare, attraverso il sacrificio di un sorteggiato buttato su tre lance, un emissario da inviare periodicamente nell’aldilà a conferire con il dio. La seconda concerne l’atto di scagliare frecce contro il tuono e contro il fulmine,in segno di minaccia verso il dio. Di quale dio stiamo parlando è oggetto di discussione.

 

Questa seconda prassi tratta da Erodoto è stata commentata da Matteo Taufer in Un’oscura menzione di Zálmoxis in Gregorio Nazianzeno. Gregorio, Padre della Chiesa vissuto nel III secolo d.C., nel suo poemetto in esametri dedicato al governatore della Cappadocia Nemesio, per indurlo a convertirsi al Cristianesimo, ripercorreva in un passaggio quelle che intendeva dipingere come le superstiziose pratiche degli antichi pagani: l’abitudine di colpire con sferze i giovani spartani, in onore di Artemide Ortia, i sacrifici cruenti operati dai Tauri e appunto un’usanza riferita al “geta Zalmoxis che tramite la folla scaglia frecce contro ogni dio” (Taufer 2013, p. 84).

 

Questa traduzione del passo di Gregorio permette di recuperare il bizzarro gesto di lanciare le frecce verso l’alto. Gregorio, secondo Taufer, dava verosimilmente per assodata la brutalità del sacrificio delle lance, mentre qui preferiva concentrarsi sulla grossolana pretesa dei Geti di intimidire gli dèi non loro, con lo scagliare frecce verso il cielo. L’intento di Gregorio restava parimenti denigratorio.

 

Carlo Marcaccini, nel breve saggio Hdt. 4.93-96: Zalmoxis Dioniso del nord,presenta questa immagine in una visuale più complessa. “Il dio minacciato” dalle frecce potrebbe essere sì il cielo adorato dai Greci e rifiutato dai Geti, inserendosi quindi nell’interpretazione dello stesso Nazianzeno esaminato da Taufer. Ma Marcaccini aggiunge un’altra ipotesi, ossia che la “minaccia”, ammesso che di minaccia si possa parlare, fosse rivolta proprio contro il loro unico dio (Marcaccini 1998, p. 137).

 

Marcaccini, nella nota 7, citando, tra gli altri, il Mircea Eliade di Da Zalmoxis a Gengis-Khan, riporta come Zalmoxis fosse associato a una divinità nota con il nome di Gebeleizis che era effettivamente un dio dei temporali. Non è insomma detto che i Geti se la prendessero con gli dèi stranieri, ma che in questo modo scongiurassero la loro divinità o una sua manifestazione.

 

Erodoto in Marcaccini è anche la fonte di una successiva manipolazione della figura di Zalmoxis ispirata alle testimonianze dei Greci del Ponto e dell’Ellesponto. Secondo loro Zalmoxis era “solo un uomo, per di più uno schiavo, e a Samo fu preso in servizio nientemeno che da Pitagora. In seguito, divenuto libero e arricchitosi, fece ritorno nella sua terra. La precedente esperienza con i Greci, e soprattutto con Pitagora, lo rese in grado di civilizzare i rudi Traci della zona” (Marcaccini 1998, p. 138). Erodoto non badava seriamente a queste notizie, anche perché Pitagora sarebbe vissuto diversi anni dopo.

 

Questa prospettiva aiuta tuttavia a porre Zalmoxis al centro di una disputa culturale, parecchio antecedente rispetto alla polemica di Gregorio di Nazianzo. I Greci che abitavano le colonie del Ponto, a ridosso dei Geti, avevano infatti la pretesa di ricondurre a un sapiente della loro stessa cultura, Pitagora, le doti civilizzatrici che venivano attribuite a Zalmoxis, educatore illuminato tra i barbari Traci, ma appunto separato dalla sua comunità d’origine, grazie alla formazione maturata presso un illustre greco.

 

L’associazione a Dioniso di Zalmoxis, che è resa esplicita dal titolo dello studio di Marcaccini, aggiunge ulteriori elementi di riflessione. Si tratta di una variante illuminata di Dioniso: non il liberatore, estatico e incontrollabile, degli istinti, non l’artefice dell’invasamento bacchico, bensì un Dioniso “riformato”, come sottolinea Marcaccini (Marcaccini 1998, p. 146), adattando un’espressione di Erwin Rohde che in Psiche sostiene che gli orfici avessero, di fatto, revisionato il culto del Dioniso greco, recuperandone lo spirito originale proveniente dalla Tracia.

 

Questa idea di un Dioniso “riformato” si affianca per certi versi alla famosa immagine degli “sciamani razionalizzati” di Eric R. Dodds che, nel suo celebre I Greci e l’Irrazionale, li descrive come “Custodi platonici […] preparati all’alto ufficio, al pari dei loro predecessori primitivi, mediante una speciale disciplina intesa a modificarne l’intera struttura psichica” (Doods 2021, p. 262). Nel capitolo V, intitolato Gli sciamani greci e le origini del puritanesimo, tra questi sciamani ellenici, ammesso che questa sia la definizione più adatta a delineare tali profili, figurano Abari, Ermotimo di Clazomene, Epimenide, Empedocle, Pitagora, e infine anche il tracio Zalmoxis “che, come dice Erodoto, riunì ‘i migliori cittadini’, e annunciò loro non che l’anima umana è immortale, ma che essi e i loro discendentisarebbero vissuti per sempre” (Doods 2021, p. 192).

 

La comune originege ografica di Orfeo e di Zalmoxis porta inoltre Dodds a concludere che “Orfeo è un personaggio tracio sul tipo di Zalmoxis, ossia uno sciamano mitico o prototipo degli sciamani” (Doods 2021, p. 195). Ora, Dodds definisce“sciamano” “una persona psichicamente instabile, dotata di vocazione religiosa” (Doods 2021, p. 188) che dopo un certo apprendistato consegue, tra le altre, la possibilità di spostarsi a piacimento verso regioni lontane o ultraterrene attraverso il distaccamento dell’anima.

 

Parlare, nello specifico, di “sciamani razionalizzati” significa spiegare perché gli sciamani del mondo greco, sul genere di Zalmoxis, fossero ricollegati da Dodds alle “origini del puritanesimo”. Gli insegnamenti di Pitagora, e di Zalmoxis inteso come suo discepolo, prevedevano, come ha segnalato lo stesso Marcaccini, comportamenti purificatori, tra cuil’adozione di un preciso regime alimentare che escludeva la carne e che s’inseriva nel solco della“speciale disciplina” degli “sciamani razionalizzati” teorizzati da Dodds.

 

Lo Zalmoxis narrato dai Greci del Ponto rientra in questo scenario, aderendo nella sua biografia leggendaria a molti dei tratti attribuiti a Pitagora. Tra essi, il viaggio sapienziale (Zalmoxis a Samo; Pitagora in Egitto), la creazione di un’élite di iniziati che partecipavano sia alla vita cultuale che a quella politica (Zalmoxis, una volta rientrato in Tracia; Pitagora a Crotone), la possibilità di diventare immortali tramite l’iniziazione a particolari dottrine segrete. Il Rohde di Psiche sottolinea, sulla scia di Erodoto, come i Geti, dopo la morte, credessero di raggiungere Zalmoxis nel suo cavo montano. Il riferimento a un antro sotterraneo, nascondiglio in cui Zalmoxis sparisce per tre anni prima del suo ritorno, consente al Marcaccini di dire che Zalmoxis è accostabile alle divinità delle caverne simili a Trofonio e allo Zeus del monte Ida, sfumandone così le caratteristiche propriamente sciamaniche (Marcaccini 1998, p. 142).

 

Sulle orme di Pitagora, Zalmoxis avrebbe tuttavia dato vita a un’aristocrazia di puri, un’élite religiosa e politica che credeva all’immortalità del loro leader, inteso dapprima come sapiente e sacerdote, poi come intimo collaboratore del re, infine come dio. Proprio l’epiteto “re e dio”, a proposito di Zalmoxis, è presente nel Carmide platonico, analizzato, tra gli altri, da Franco Ferrari in L’incantesimo del Trace: Zalmoxis, la terapia dell’anima e l’immortalità nel Carmide di Platone.

 

In questo dialogo, Socrate narra in prima persona l’incontro con Carmide, all’epoca un adolescente, in un lasso di tempo che precede di poco la guerra del Peloponneso (431-430 a.C.). Proprio l’interesse di Socrate per il bellissimo Carmide, di cui il filosofo intende sondare anche la bellezza interiore, crea il pretesto del riferimento a Zalmoxis. Poiché Carmide soffre di emicranie, Socrate gli propone di provare una pianta che, con l’ausilio di un incantamento, può guarire il suo male. L’incantesimo, spiega il filosofo, l’aveva appreso nei pressi di Potidea da un medico trace,seguace di Zalmoxis,a cui venivano attribuite sia facoltà regali che divine (“il nostro re, che è un dio”, Ferrari 2013, p. 30). Secondo la dottrina di Zalmoxis riportata da Socrate per bocca di Platone, il corpo poteva essere curato attraverso l’anima e l’anima veniva curata con gli incantesimi che sono da intendersi come “i bei discorsi”.

 

Questo passaggio lascia intendere come la disponibilità a provare l’incantesimo da parte del giovane Carmide equivalga, per metafora, all’accettazione della “saggezza”, su cui s’impernia del resto il dialogo platonico. “I bei discorsi” sarebbero infatti, presumibilmente, le “argomentazioni razionali (…) condotte da Socrate nei dialoghi” e “le narrazioni consolatorie o protrettiche alla virtù del tipo di quelle relative all’immortalità dell’anima esposte nel Fedone e altrove” (Ferrari 2013, p. 31).

 

Resta da dire che il Zalmoxis del Carmide viene affiancato dalla figura affine di Abari l’Iperboreo, ossia un altro degli “sciamani” citati da Dodds. Il passo del Carmide, benché s’inserisca in un contesto teoretico preciso, colora pur sempre la figura di Zalmoxis di sfumature ben distinte dalla visione originale, offerta da Erodoto, di un dio adorato da una popolazione che effettuava il sacrificio delle lance o aggrediva il cielo con le frecce. Lo Zalmoxis “pitagorizzato” o allineato al Dioniso orfico presenta, in definitiva, ben altre facoltà rispetto alla divinità ridicolizzata, inevitabilmente, dal poemetto del cristiano Gregorio Nazianzeno.

 

 

Riferimenti bibliografici:

 

E.R. Dodds, I Greci e l’Irrazionale, Bur, Milano 2021.

M. Eliade, Da Zalmoxis a Gengis-Khan, Astrolabio Ubaldini, Roma 1978.

F. Ferrari, L’incantesimo del Trace: Zalmoxis, la terapia dell’anima e l’immortalità nel Carmide di Platone in Sguardi interdisciplinari sulla religiosità dei Geto-Daci, Rombach Verlag KG, Friburgo-Berlino-Vienna, 2013, pp. 21-41.

C. Marcaccini, HDT 4.93-96: Zalmoxis Dioniso del Nord in Sileno-Rivista di studi classici e cristiani, XXIV, n. 1/2, Agorà Edizioni, Sarzana 1998, pp. 135-158.

E. Rohde, Psiche, Laterza, Bari 1982.

M. Taufer, Un’oscura menzione di Zálmoxis in Gregorio Nazianzeno (carm. II 2,7, 274) in Sguardi interdisciplinari sulla religiosità dei Geto-Daci, pp. 71-89, Rombach Verlag KG, Friburgo-Berlino-Vienna, 2013. 

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[ iscrizione originaria (aggiornata 2007) al tribunale di Roma (editore eOs): n° 215/2005 del 31 maggio ]