filosofia & religione
Zalmoxis, signore d’immortalità
sul dio dei Geti
di Alessio Guglielmini
Le menzioni antiche che danno testimonianza sulla
figura di Zalmoxis non sempre aiutano a definirne i
contorni e la collocabilità all’interno di un
preciso reticolo cultuale e religioso. Erodoto (Storie,
paragrafi 93-96 del IV Libro) cita due usanze a
proposito di questa divinità dei Geti, popolo di
stirpe tracia. La prima riguarda la necessità di
individuare, attraverso il sacrificio di un
sorteggiato buttato su tre lance, un emissario da
inviare periodicamente nell’aldilà a conferire con
il dio. La seconda concerne l’atto di scagliare
frecce contro il tuono e contro il fulmine,in segno
di minaccia verso il dio. Di quale dio stiamo
parlando è oggetto di discussione.
Questa seconda prassi tratta da Erodoto è stata
commentata da Matteo Taufer in
Un’oscura menzione di Zálmoxis in Gregorio
Nazianzeno.
Gregorio, Padre della Chiesa vissuto nel III secolo
d.C., nel suo poemetto in esametri dedicato al
governatore della Cappadocia Nemesio, per indurlo a
convertirsi al Cristianesimo, ripercorreva in un
passaggio quelle che intendeva dipingere come le
superstiziose pratiche degli antichi pagani:
l’abitudine di colpire con sferze i giovani
spartani, in onore di Artemide Ortia, i sacrifici
cruenti operati dai Tauri e appunto un’usanza
riferita al “geta Zalmoxis che tramite la folla
scaglia frecce contro ogni dio” (Taufer
2013, p. 84).
Questa traduzione del passo di Gregorio permette di
recuperare il bizzarro gesto di lanciare le frecce
verso l’alto. Gregorio, secondo Taufer, dava
verosimilmente per assodata la brutalità del
sacrificio delle lance, mentre qui preferiva
concentrarsi sulla grossolana pretesa dei Geti di
intimidire gli dèi non loro, con lo scagliare frecce
verso il cielo. L’intento di Gregorio restava
parimenti denigratorio.
Carlo Marcaccini, nel breve saggio
Hdt.
4.93-96: Zalmoxis Dioniso del nord,presenta
questa immagine in una visuale più complessa. “Il
dio minacciato” dalle frecce potrebbe essere sì il
cielo adorato dai Greci e rifiutato dai Geti,
inserendosi quindi nell’interpretazione dello stesso
Nazianzeno esaminato da Taufer. Ma Marcaccini
aggiunge un’altra ipotesi, ossia che la “minaccia”,
ammesso che di minaccia si possa parlare, fosse
rivolta proprio contro il loro unico dio (Marcaccini
1998, p. 137).
Marcaccini, nella nota 7, citando, tra gli altri, il
Mircea Eliade di
Da
Zalmoxis a Gengis-Khan,
riporta come Zalmoxis fosse associato a una divinità
nota con il nome di Gebeleizis che era
effettivamente un dio dei temporali. Non è insomma
detto che i Geti se la prendessero con gli dèi
stranieri, ma che in questo modo scongiurassero la
loro divinità o una sua manifestazione.
Erodoto in Marcaccini è anche la fonte di una
successiva manipolazione della figura di Zalmoxis
ispirata alle testimonianze dei Greci del Ponto e
dell’Ellesponto. Secondo loro Zalmoxis era “solo
un uomo, per di più uno schiavo, e a Samo fu preso
in servizio nientemeno che da Pitagora. In seguito,
divenuto libero e arricchitosi, fece ritorno nella
sua terra. La precedente esperienza con i Greci, e
soprattutto con Pitagora, lo rese in grado di
civilizzare i rudi Traci della zona” (Marcaccini
1998, p. 138). Erodoto non badava seriamente a
queste notizie, anche perché Pitagora sarebbe
vissuto diversi anni dopo.
Questa prospettiva aiuta tuttavia a porre Zalmoxis
al centro di una disputa culturale, parecchio
antecedente rispetto alla polemica di Gregorio di
Nazianzo. I Greci che abitavano le colonie del Ponto,
a ridosso dei Geti, avevano infatti la pretesa di
ricondurre a un sapiente della loro stessa cultura,
Pitagora, le doti civilizzatrici che venivano
attribuite a Zalmoxis, educatore illuminato tra i
barbari Traci, ma appunto separato dalla sua
comunità d’origine, grazie alla formazione maturata
presso un illustre greco.
L’associazione a Dioniso di Zalmoxis, che è resa
esplicita dal titolo dello studio di Marcaccini,
aggiunge ulteriori elementi di riflessione. Si
tratta di una variante illuminata di Dioniso: non il
liberatore, estatico e incontrollabile, degli
istinti, non l’artefice dell’invasamento bacchico,
bensì un Dioniso “riformato”, come sottolinea
Marcaccini (Marcaccini
1998, p. 146), adattando un’espressione di Erwin
Rohde che in
Psiche
sostiene che gli orfici avessero, di fatto,
revisionato il culto del Dioniso greco,
recuperandone lo spirito originale proveniente dalla
Tracia.
Questa idea di un Dioniso “riformato” si affianca
per certi versi alla famosa immagine degli “sciamani
razionalizzati” di Eric R. Dodds che, nel suo
celebre
I
Greci e l’Irrazionale,
li
descrive come “Custodi platonici […] preparati
all’alto ufficio, al pari dei loro predecessori
primitivi, mediante una speciale disciplina intesa a
modificarne l’intera struttura psichica” (Doods
2021, p. 262). Nel capitolo V, intitolato
Gli
sciamani greci e le origini del puritanesimo,
tra questi sciamani ellenici, ammesso che questa sia
la definizione più adatta a delineare tali profili,
figurano Abari, Ermotimo di Clazomene, Epimenide,
Empedocle, Pitagora, e infine anche il tracio
Zalmoxis “che, come dice Erodoto, riunì ‘i migliori
cittadini’, e annunciò loro non che l’anima umana è
immortale, ma che
essi e
i loro discendentisarebbero
vissuti per sempre” (Doods
2021, p. 192).
La comune originege ografica di Orfeo e di Zalmoxis
porta inoltre Dodds a concludere che “Orfeo è un
personaggio tracio sul tipo di Zalmoxis, ossia uno
sciamano mitico o prototipo degli sciamani” (Doods
2021, p. 195). Ora, Dodds definisce“sciamano” “una
persona psichicamente instabile, dotata di vocazione
religiosa” (Doods
2021, p. 188) che dopo un certo apprendistato
consegue, tra le altre, la possibilità di spostarsi
a piacimento verso regioni lontane o ultraterrene
attraverso il distaccamento dell’anima.
Parlare, nello specifico, di “sciamani
razionalizzati” significa spiegare perché gli
sciamani del mondo greco, sul genere di Zalmoxis,
fossero ricollegati da Dodds alle “origini del
puritanesimo”. Gli insegnamenti di Pitagora, e di
Zalmoxis inteso come suo discepolo, prevedevano,
come ha segnalato lo stesso Marcaccini,
comportamenti purificatori, tra cuil’adozione di un
preciso regime alimentare che escludeva la carne e
che s’inseriva nel solco della“speciale disciplina”
degli “sciamani razionalizzati” teorizzati da Dodds.
Lo Zalmoxis narrato dai Greci del Ponto rientra in
questo scenario, aderendo nella sua biografia
leggendaria a molti dei tratti attribuiti a
Pitagora. Tra essi, il viaggio sapienziale (Zalmoxis
a Samo; Pitagora in Egitto), la creazione di
un’élite di iniziati che partecipavano sia alla vita
cultuale che a quella politica (Zalmoxis, una volta
rientrato in Tracia; Pitagora a Crotone), la
possibilità di diventare immortali tramite
l’iniziazione a particolari dottrine segrete. Il
Rohde di
Psiche
sottolinea, sulla scia di Erodoto, come i Geti, dopo
la morte, credessero di raggiungere Zalmoxis nel suo
cavo montano. Il riferimento a un antro sotterraneo,
nascondiglio in cui Zalmoxis sparisce per tre anni
prima del suo ritorno, consente al Marcaccini di
dire che Zalmoxis è accostabile alle divinità delle
caverne simili a Trofonio e allo Zeus del monte Ida,
sfumandone così le caratteristiche propriamente
sciamaniche (Marcaccini
1998, p. 142).
Sulle orme di Pitagora, Zalmoxis avrebbe tuttavia
dato vita a un’aristocrazia di puri, un’élite
religiosa e politica che credeva all’immortalità del
loro leader, inteso dapprima come sapiente e
sacerdote, poi come intimo collaboratore del re,
infine come dio. Proprio l’epiteto “re e dio”, a
proposito di Zalmoxis, è presente nel
Carmide
platonico, analizzato, tra gli altri, da Franco
Ferrari in
L’incantesimo del Trace: Zalmoxis, la terapia
dell’anima e l’immortalità nel Carmide di Platone.
In questo dialogo, Socrate narra in prima persona
l’incontro con Carmide, all’epoca un adolescente, in
un lasso di tempo che precede di poco la guerra del
Peloponneso (431-430 a.C.). Proprio l’interesse di
Socrate per il bellissimo Carmide, di cui il
filosofo intende sondare anche la bellezza
interiore, crea il pretesto del riferimento a
Zalmoxis. Poiché Carmide soffre di emicranie,
Socrate gli propone di provare una pianta che, con
l’ausilio di un incantamento, può guarire il suo
male. L’incantesimo, spiega il filosofo, l’aveva
appreso nei pressi di Potidea da un medico
trace,seguace di Zalmoxis,a cui venivano attribuite
sia facoltà regali che divine (“il nostro re, che
è un dio”,
Ferrari
2013, p. 30). Secondo la dottrina di Zalmoxis
riportata da Socrate per bocca di Platone, il corpo
poteva essere curato attraverso l’anima e l’anima
veniva curata con gli incantesimi che sono da
intendersi come “i bei discorsi”.
Questo passaggio lascia intendere come la
disponibilità a provare l’incantesimo da parte del
giovane Carmide equivalga, per metafora,
all’accettazione della “saggezza”, su cui s’impernia
del resto il dialogo platonico. “I bei discorsi”
sarebbero infatti, presumibilmente, le
“argomentazioni razionali (…) condotte da Socrate
nei dialoghi” e “le narrazioni consolatorie o
protrettiche alla virtù del tipo di quelle relative
all’immortalità dell’anima esposte nel
Fedone
e altrove”
(Ferrari
2013, p. 31).
Resta da dire che il Zalmoxis del
Carmide
viene affiancato dalla figura affine di Abari
l’Iperboreo, ossia un altro degli “sciamani” citati
da Dodds. Il passo del
Carmide,
benché s’inserisca in un contesto teoretico preciso,
colora pur sempre la figura di Zalmoxis di sfumature
ben distinte dalla visione originale, offerta da
Erodoto, di un dio adorato da una popolazione che
effettuava il sacrificio delle lance o aggrediva il
cielo con le frecce. Lo Zalmoxis “pitagorizzato” o
allineato al Dioniso orfico presenta, in definitiva,
ben altre facoltà rispetto alla divinità
ridicolizzata, inevitabilmente, dal poemetto del
cristiano Gregorio Nazianzeno.
Riferimenti bibliografici:
E.R. Dodds, I Greci e l’Irrazionale, Bur,
Milano 2021.
M. Eliade,
Da
Zalmoxis a Gengis-Khan,
Astrolabio Ubaldini, Roma 1978.
F. Ferrari,
L’incantesimo del Trace: Zalmoxis, la terapia
dell’anima e l’immortalità nel Carmide di Platone
in
Sguardi interdisciplinari sulla religiosità dei
Geto-Daci,
Rombach Verlag KG, Friburgo-Berlino-Vienna, 2013,
pp. 21-41.
C. Marcaccini, HDT 4.93-96: Zalmoxis Dioniso del
Nord in Sileno-Rivista di studi classici e
cristiani, XXIV, n. 1/2, Agorà
Edizioni, Sarzana 1998, pp. 135-158.
E. Rohde,
Psiche,
Laterza, Bari 1982.
M. Taufer, Un’oscura menzione di Zálmoxis
in Gregorio Nazianzeno (carm. II 2,7, 274)
in
Sguardi interdisciplinari sulla religiosità dei
Geto-Daci,
pp. 71-89, Rombach Verlag KG,
Friburgo-Berlino-Vienna, 2013. |