N. 74 - Febbraio 2014
(CV)
Andropov
una rivoluzione incompiuta
di Filippo Petrocelli
Trent’anni
fa
moriva
Yuri
Andropov,
segretario
del
PCUS
dopo
Lenin,
Stalin,
Chruscev
e
Breznev
e
leader
dell’Unione
Sovietica
prima
di
Cernenko
e
Gorbacev.
Dopo
solo
quattordici
mesi
dalla
sua
elezione,
il 9
Febbraio
1984,
finiva
la
sua
agonia
durata
otto
mesi,
lasciando
profondamente
incompiuta
la
sua
“rivoluzione”.
Andropov
aveva
infatti
cercato
di
riparare
alla
evidente
crisi
sovietica
di
fine
anni
Settanta,
tentando
un’energica
ristrutturazione
ed
una
razionalizzazione
dell’intero
sistema
al
di
là
della
cortina
di
ferro,
senza
però
riuscire
nel
suo
intento.
Sulla
sua
figura
molto
si è
discusso
e
per
la
storiografia
Andropov
ha
rappresentato
un
caso
ambiguo.
Grazie
alla
“giusta
distanza”
da
quei
giorni
e da
quegli
eventi,
è
oggi
possibile
fare
un
bilancio
più
sincero
dell’esperienza
andropoviana.
La
vita
Prima
di
arrivare
al
vertice
dell’impero
sovietico,
Andropov
era
stato
direttore
generale
del
KGB
ed
aveva
fatto
le
sue
fortune
in
Polonia,
dove
aveva
partecipato
alla
repressione deL’56
a
Budapest.
Persona
ricca
di
cultura
e di
carisma,
figlio
del
XX
congresso
e
del
disgelo,
era
tuttavia
fortemente
ancorato
ad
un
orizzonte
sovietico:
convinto
marxista
ma
anche
pragmatico
uomo
d’ordine,
aveva
fatto
del
KGB
l’istituzione
più
salda
dell’URSS,
guidandolo
con
vigore
e
intelligenza
fin
dal
1967.
Tutt’altro
che
un
liberale,
bensì
un
fedele
uomo
d’apparato,
un
tecnocrate
dalla
forte
personalità,
la
sua
leadership
si
caratterizzò
per
un
serie
di
campagne
moralizzatrici
contro
l’alcool,
la
corruzione
ed a
favore
della
disciplina
sul
lavoro.
Comportamenti
antisociali
e
abuso
di
alcoolismo
erano
per
Andropov
veri
cancri
da
estirpare.
Non
risparmiò
dissidenti,
né
nazionalisti
ed è
innegabile
che
durante
il
suo
mandato
si
assistette
ad
un
irrigidimento
della
repressione
interna
oltre
che
ad
un
risveglio
marxista
in
ambito
ideologico.
In
politica
estera
i
rapporti
con
gli
Stati
Uniti
di
Reagan
non
furono
dei
migliori:
l’abbattimento
di
un
aereo
coreano
nello
spazio
sovietico
e la
questione
degli
SS-20,
contribuirono
ad
appesantire
lo
stato
di
tensione
con
l’Occidente.
Il
principale
nemico
di
Andropov
fu
la
corruzione,
molti
i
processi
contro
esponenti
del
potere
sovietico
invischiati
in
traffici
ed
affari
illeciti:
dal
1980
al
1985
i
reati
di
appropriazione
indebita
crebbero
del
50%
mentre
i
casi
di
concussione
furono
circa
10.000.
In
quel
periodo
divenne
di
uso
comune
il
termine
mafja,
usato
per
la
prima
volta
in
un
processo
contro
esponenti
del
partito
di
Mosca
avvezzi
alle
bustarelle,
anticipando
una
delle
questioni
chiave
degli
anni
post-sovietici.
Anche
contro
le
elite
locali
delle
altre
repubbliche
sovietiche,
in
cui
era
molto
diffusa
la
corruzione,
Andropov
fece
pesare
la
sua
autorità
sostituendo
circa
il
20%
dei
segretari
regionali
e
locali,
interrompendo
quel
generale
clima
di
impunità
che
aveva
regnato
nell’era
di
Breznev.
Furono
resi
pubblici
i
dati
sulla
crisi
economica
e
sui
progressi
scientifici,
allo
scopo
di
rendere
più
consapevole
la
società
dell’Urss,
anticipando
almeno
in
nuce
la
glasnost
gorbaceviana.
Andropov
insomma
fu
capace
di
individuare
i
mali
della
società
di
allora,
i
suoi
punti
critici,
senza
però
riuscire
ad
offrire
soluzioni
concrete,
orizzonti
interpretativi
alternativi.
Il
problema
infatti
non
era
una
semplice
revisione
di
un
sistema
difettoso,
quanto
piuttosto
una
sua
radicale
e
profonda
ristrutturazione.
Le
ragioni
di
un
fallimento
Uno
dei
motivi
del
fallimento
di
questo
onesto
tentativo
di
riforma
è
stato
proprio
quello
di
poggiare
su
uno
schema
osbsoleto,
su
un
paradigma
interpretativo
errato,
che
poggiava
ancora
sull’idea
della
superiorità
dell’economia
pianificata.
Le
conseguenze,
gli
effetti
venivano
confusi
con
le
cause,
in
una
continua
rincorsa
di
falsi
problemi.
Sicuramente
anche
a
causa
della
brevità
del
suo
mandato
Andropov
non
è
riuscito
ad
ultimare
la
sua
rivoluzione
ma
in
parte
ha
anche
mancato
di
coraggio,
non
riuscendo
ad
offrire
niente
di
più
che
una
genuina
politica
paternalista
fatta
di
proibizionismo
e
repressione.
Fra
i
suoi
meriti
c’è
sicuramente
quello
di
aver
promosso
una
serie
di
giovani
–
Gorbacev
su
tutti
– ai
vertici
dell’Ufficio
Politico
del
PCUS,
svecchiando
parzialmente
la
gerontocrazia
sovietica
e
preparando
il
terreno
per
la
perestroijka.
Alcune
linee
guida
dell’epopea
gorbaceviana
furono
infatti
simili
a
quelle
di
Yuri
Andropov
ed è
possibile
vedere
nell’ex
numero
uno
del
KGB,
soprattutto
a
livello
simbolico,
un
anticipatore
delle
riforme
successive.
A
testimonianza
di
questo
è
sopravvissuto
una
sorta
di
“spirito andropoviano”,
sinonimo
tutt’oggi
di
onestà
e
politica
moralizzatrice,
di
battaglie
contro
corruzione,
lassismo
e
alcoolismo.
Persino
nella
Russia
odierna.