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N. 30 - Giugno 2010 (LXI)

YaZD

LA SPOSA DEL DESERTO
di Giulia Gabriele

 

Tra i ricordi c’è un racconto leggendario. Una città, i suoi colori e le sue arsure. Dei bambini seduti in cerchio su un prato in primavera… e una voce persasi prematuramente nel vento ormai qualche luna fa.

 

Lo sguardo è tremolante come l’aria incandescente, cammelli sonnolenti avanzano blandamente per la strada, senza fretta, c’è tempo.

 

Si aprono le dune e s’avvicina un’oasi.

 

Case rosse di terra, magnifiche torri del vento si stagliano nel cielo, azzurro…

 

Ci troviamo in Iran, nella città di Yazd.

 

Chiamata dai locali “la sposa del deserto” (arus-e kavir) poiché situata in un’oasi fra i deserti del Dasht-e Kavir (salato) e del Dasht-e Lut (sabbioso), sorge a 1.216 metri s.l.m., è la più arida tra le città iraniane e se d’estate si possono registrare temperature superiori ai 40°C, d’inverno invece, nonostante dei picchi in ribasso sotto gli 0°C, il clima è generalmente mite.

 

Importante centro dello Zoroastrismo (l’antica religione dell’Iran preislamico) già in epoca sassanide, deriverebbe il nome attuale proprio da un re di questa dinastia: Yazdgar I (399-420/421 d.C.).

 

Per la serie che non ci siamo inventati niente, in questa città le case hanno sul tetto le cosiddette “torri del vento” (badgirs), delle specie di comignoli (over size e arabeggianti) che anziché cacciar fuori il fumo della legna che arde, tirano dentro l’aria esterna così da rinfrescare l’ambiente, meglio (sotto tutti gli aspetti) dei condizionatori moderni, nelle calde giornate estive.

 

La città, dopo 3000 anni di storia, si è saputa ben adattare all’ambiente desertico che la circonda. Non a caso i costruttori di qanat (labirinti sotterranei che trovano l’acqua nel sottosuolo e riescono a renderla fruibile dalla popolazione) di Yazd sono considerati i più abili in tutto l’Iran. Ed esistono persino degli esempi di yakhchal (‘fossa del ghiaccio’), di cui alcuni ancora usati per la conservazione del ghiaccio proveniente dalle montagne vicine (la più alta è quella dello Shir Kuh, che supera i 4000 metri).

 

Attività eccellenti e famose di Yazd sono quella tessile (soprattutto nel trattamento della seta), informatica e… dolciaria. Pare che i suoi pasticceri siano gelosissimi delle ricette delle leccornie tradizionali (baghlava, ghotab e pashmak i più richiesti) e alcuni laboratori rimangono a conduzione famigliare ormai da molti anni. Al mio ricordo quei sapori mai assaggiati non dispiacevano…

 

Stavamo tutti lì, attenti, gli sguardi sospesi nelle sue pause, mani in grembo e gambe incrociate, con il cuore ormai lontano, insieme al suo. Ci siamo persi tra le vie della città vecchia, i cui edifici sono tutti costruiti con adobe (un impasto di argilla, sabbia e paglia) che dà al paesaggio quel tipico colore rossastro.

 

Abbiamo curiosato nella parte nuova della città, con larghi viali, abitazioni in mattoncini beige, rondò e giardini curati. Abbiamo guardato dal basso verso l’alto la Torre del Silenzio.

 

Qui, fino agli anni Settanta, gli abitanti portavano i loro defunti che venivano dilaniati dagli avvoltoi. Tale cerimonia, presieduta da un sacerdote, è l’unica possibile poiché il fuoco e la terra sono due elementi sacri per la religione zoroastriana (una delle prime monoteiste e ancora oggi professata da una minoranza dei locali), e vengono quindi a mancare la cremazione e la tumulazione.

 

Vola il ricordo sui bellissimi tappeti di Yazd, sui minareti, sulla Tomba dei dodici imam, su Ateshkadè (il Tempio del Fuoco) dove è conservata (e protetta da una bacheca di vetro) la fiamma sacra che arde (dicono) ininterrottamente dall’anno 470 a.C. e che qui fu posta nel 1940. Vola il ricordo e si posa sulla splendida Moschea del Venerdì (Masjed-e Jame', XIV secolo), dall’imponente portale d’ingresso interamente rivestito da piastrelle di maiolica e dalle forme slanciate e grandiose. È dall’alto di questo edificio che si può godere di un suggestivo panorama della città.

 

In nessun altro luogo dell’Iran, come a Yazd, fuoco, acqua, terra e aria si fondono così armoniosamente tanto da essere parte integrante della sua architettura, come dimostrato da quanto già scritto. A dirla tutta nessun’altra città, forse, è così visceralmente iraniana…

 

Vedo, come se fosse davanti a me ora, le sue mani che crepitano, ondeggiano come ali, scorrono come fiumi, molleggiano come cammelli sotto il caldo del deserto.

 

Il racconto si riavvolge, siamo di nuovo a casa, è ancora primavera. Sorride la sua voce.

 

Noi, bambini, abbiamo visto Yazd con i suoi occhi. Gli occhi di un viaggiatore ormai impegnato su altre vie, ben oltre il cielo della sposa del deserto.  



 

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